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Guerra in Siria: lo scacchiere internazionale

In 3 sorsiLa distanza di Erdogan da Trump dopo gli ammonimenti della Casa Bianca favoriscono il ruolo di Putin come ago della bilancia per la risoluzione del conflitto. L’Unione Europea intanto si impegna a vietare la vendita di armi alla Turchia.

1. IL PASTICCIO DI TRUMP

Poche ore dopo aver ricevuto da Donald Trump la benedizione all’invasione del Nord-Est della Siria, il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dato il via alla missione “Fronte di pace”, che consiste nell’avanzata nel Nord della Siria. La scorsa settimana effettivamente le truppe americane, circa un migliaio di soldati, hanno lasciato il Nord della Siria, ripiegando a sud, nella base di Tanf. È probabile che la mossa di Trump avesse l’obiettivo di rabbonire Ankara e isolare Teheran. In ogni caso l’opinione pubblica internazionale ha condannato pesantemente il “tradimento” inflitto al popolo curdo, in prima linea da anni nella lotta contro lo Stato Islamico. Trump difende la propria decisione di far lasciare al suo esercito la Siria, perché tanto “i curdi e i turchi si combattono da anni”, perciò non c’è soluzione: “Lasciamoli fare” ha affermato in un tweet. Nel frattempo però invia una lettera a Erdogan, in cui lo invita a “non fare il matto”, per poi affermare, durante l’incontro con Sergio Mattarella alla Casa Bianca, che “i curdi non sono poi degli angeli”. Nonostante le dichiarazioni, ha annunciato l’applicazione di sanzioni economiche alla Turchia, che però ha ritirato nelle ultime ore, a seguito della tregua raggiunta grazie all’intermediazione di Mike Pence, vicepresidente USA, iniziata il 17 ottobre.

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Fig. 1 – Soldati siriani lungo il confine con la Turchia, nel Nord della regione di Aleppo e nei pressi della città di Kobane, 18 ottobre 2019. Il 16 ottobre le forze siriane e russe sono entrate nella città di Kobane, a seguito di un accordo con le Autorità curde, durante un’attacco da parte delle forze turche. La città di Kobane ha un forte valore simbolico per i curdi siriani, che l’avevano sottratta allo Stato Islamico nel 2015

2. PUTIN PIGLIA TUTTO

La ritirata delle truppe americane dalla Siria è stata per Putin un vero regalo. Da un lato ha avuto la possibilità di consegnare a Damasco i curdi, i quali per sopravvivere non hanno avuto alcuna altra possibilità di resistere alla potenza militare turca, se non quella di stipulare un accordo – già benedetto da Mosca – con l’esercito di Bashar al Assad, infrangendo così il sogno dell’indipendenza. Dall’altra parte Vladimir Putin è ormai l’unico interlocutore di Erdogan. I due si sono incontrati a Sochi il 22 ottobre, vertice sfociato nell’accordo per prolungare di 150 ore la tregua e nella creazione di una zona cuscinetto larga circa 30 chilometri (ovvero l’obiettivo dell’operazione “Fronte di pace”) dalla quale cacciare i curdi e dove trasferire circa 2 milioni di profughi siriani, attualmente in Turchia. Le milizie russe, che da subito hanno occupato le basi americane di Manbij, insieme a quelle turche hanno già iniziato il pattugliamento della zona, mentre i curdi dell’YPG hanno dato il via alla ritirata. La tragedia siriana di questo ottobre, aggravata dalla presa di Kobane e dall’allarme per l’uso di fosforo e napalm denunciato dalla popolazione curda di Ras al Ayn, si rivela quindi particolarmente strategica per Putin per far emergere la Russia come superpotenza in grado di ristabilire l’equilibrio non solo del Nord della Siria, ma dell’intera zona mediorientale. E nel frattempo va indebolendosi la cooperazione tra i due eserciti più potenti della NATO: Turchia e Stati Uniti.

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Fig. 2 – Combattenti siriani appoggiati dalla Turchia bruciano una bandiera all’ingresso di un tunnel che si dice sia stato costruito dai combattenti curdi, nella città di confine siriana di Tal Abyad, il 21 ottobre 2019

3. INTANTO L’EUROPA

Una dichiarazione d’intenti. Di fatto è questo che i 28 Stati europei hanno firmato lunedì 14 ottobre, dopo aver speso molte parole di solidarietà per i curdi del Rojava. Una dichiarazione nella quale ogni Paese si impegna a stoppare l’invio di armi alla Turchia. Un impegno, non un obbligo, che consente la libera scelta interna a ogni membro e che per lo più riguarda gli accordi futuri e non quelli in essere. Per quanto riguarda l’impegno italiano, il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio sta premendo perché l’embargo venga applicato anche per i contratti in essere, vista la diffusione sui media delle foto degli aerei militari italiani utilizzati dall’esercito turco per bombardare i curdi. La motivazione è chiara: le minacce di Erdogan di “rilasciare” 3,6 milioni di profughi siriani presenti in Turchia sono prese alla lettera dai Governi e dalle Istituzioni europee. Il contraltare di tanta prudenza sarebbe dato dalla circostanza dell’applicazione da parte di Federica Mogherini di pesanti sanzioni economiche, già pronte da mesi, per le trivellazioni turche in acque cipriote, che i 28 premono tanto perché vengano applicate al più presto, per lanciare finalmente un segnale concreto all’opinione pubblica internazionale. Anche perché il vicepresidente turco Fuat Oktay ha già fatto sapere che ormai Ankara produce in casa ben il 65% delle armi di cui ha bisogno, senza dimenticare le forniture russe di S-400 recentemente acquistate da Erdogan, al posto degli F-35 americani.

Caterina Conserva

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Caterina Conservahttps://ca-mag-a.com

Giornalista, laureata in Giurisprudenza, ho intrapreso un percorso in editoria occupandomi di redazione e comunicazione in alcune case editrici. Attualmente lavoro in agenzia di comunicazione in diversi settori. Ho fondato un blog di informazione e approfondimento culturale e per il Caffè Geopolitico mi occupo principalmente di Turchia.

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