In 3 sorsi – Dopo il terribile inizio di ottobre, le proteste in Ecuador si sono placate, così come la violenza. Tuttavia, i problemi economici e politici rimangono.
1. IL PAQUETAZO
Il 1° ottobre, il Presidente dell’Ecuador Lenin Moreno annunciava nuove misure volte a dare una spinta all’economia. Un discorso breve: un elenco delle riforme condite da brevi spiegazioni. Il nuovo pacchetto – dispregiativamente: il paquetazo – ha scatenato un terremoto di proteste, con epicentri a Quito e Guayaquil, che ha scosso il Paese sudamericano per undici giorni.
Al centro della contestazione c’era l’aumento del costo del carburante e in particolare del diesel e della benzina “extra”, la più utilizzata nel Paese. L’aumento era dovuto all’eliminazione dei sussidi statali al prezzo del combustibile, misura in vigore dagli anni Settanta. Nel 2015 Rafael Correa eliminò i sussidi per i combustibili utilizzati dalle grandi industrie, mentre nel 2018 Moreno eliminò i sussidi alla benzina “super” (per tutti) e al diesel (solo per le imprese). In pochissime ore, dunque, l’Ecuador è esploso con una forte ondata di proteste. Da una parte gli indigeni, i lavoratori agricoli, i sindacati del settore dei trasporti (la cui protesta è poi rientrata) e gli studenti in rotta di collisione con le politiche di Moreno, dall’altra le Forze Armate e il Governo (che ha dichiarato lo Stato di emergenza, imposto il coprifuoco e spostato temporaneamente la sua sede da Quito a Guayaquil).
Le proteste e gli scontri sono stati così veementi da bloccare il Paese e costringere Moreno alla negoziazione immediata per trovare una soluzione. L’accordo è arrivato nella notte del 13 ottobre. Il bilancio del gasolinazo è disastroso: milioni di dollari di perdita economica e danni, 8 morti, circa 1.300 feriti e più di mille arresti.
Fig. 1 – Un’immagine degli scontri
2. UN’ESPLOSIONE ANNUNCIATA
Per comprendere le proteste in Ecuador bisogna capire il quadro economico-politico del Paese.
Nel 2017, alla fine delle amministrazioni Correa, l’economia ecuadoregna aveva già da tempo rallentato. Moreno ammise sin da subito di dover gestire un’economia squilibrata: debito sempre più ingestibile, soprattutto se coniugato alla spesa pubblica mastodontica, che, va ricordato, ha ottenuto buoni risultati in termini di aiuto concreto alle classi meno abbienti, ma che, con il rallentamento economico degli ultimi anni, vedeva sostanzialmente ridotti i suoi finanziamenti.
Il Presidente ha provato a trasformare l’economia ecuadoregna attraverso politiche di austerità e ha aperto a finanziamenti esteri e al mercato privato. Per evitare un crollo del sistema, Moreno ha poi bussato alle porte delle organizzazioni internazionali e ha ottenuto un prestito di 10,2 miliardi di dollari, di cui 4,2 miliardi solo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). Per ottenere il prestito, Moreno ha rassicurato che avrebbe avviato delle riforme economiche strutturali che avrebbero restituito equilibrio all’economia. Di sicuro le riforme annunciate hanno messo a durissima prova l’equilibrio socio-politico, in una situazione già riscaldata dalla rottura del partito di Governo, Alianza País (AP) e il ritorno di Correa sulla scena politica, all’opposizione.
Fig. 2 – Festa per le strade di Quito per l’accordo raggiunto tra Governo e CONAIE
3. DOVE VA L’ECUADOR?
La notte del 13 ottobre, rappresentanti del Governo e della Confederación de Nacionalidades Indígenas (CONAIE), affiancati da una delegazione di mediatori dell’ONU e della Conferenza Episcopale, hanno raggiunto un accordo. Gli indigeni hanno accettato di porre fine alle proteste, Moreno ha accettato di superare il Decreto 883 con un nuovo documento concordato dalle parti.
Rimangono parecchi punti interrogativi. In primo luogo, l’economia. L’Ecuador deve trovare un’alternativa valida alla misura sul combustibile. Un aumento dell’IVA, promessa al 12% nel Decreto 883, è impensabile perché con tutta probabilità farebbe nuovamente esplodere la situazione, ed è difficile trovare un elemento che corrisponda in peso economico al taglio dei sussidi. Sarà dunque da vedere quanto saranno disposte a cedere le parti al nuovo tavolo di negoziazione. Da sottolineare, infine, la scomodissima posizione del Presidente. Se, infatti, Moreno si trova a negoziare esternamente con entità neoliberiste, le forze interne che l’hanno messo all’angolo si trovano all’altra punta dello spettro politico e difficilmente accetteranno le richieste dei creditori. La buona notizia, per Moreno, è che il Governo è ancora in piedi. La cattiva notizia è che l’Ecuador ha una ferita aperta e sanguinante, e si è scoperto un Paese altamente infiammabile.
Elena Poddighe