Analisi – Taipei, Washington e Pechino. La Cina ambisce alla completa unificazione con l’isola, ultimo retaggio del secolo delle umiliazioni. Intanto Washington irrobustisce le relazioni politico-militari e fornisce a Taiwan il più grande investimento militare dal 1992.
USA E TAIWAN: UN RINNOVATO SODALIZIO MILITARE
Taiwan. Un altro tassello del puzzle delle relazioni tra Washington e Pechino. L’isola di Formosa deve da anni la sua sopravvivenza – e la sua indipendenza de facto – all’ombrello protettivo dello Zio Sam e alla sua Settima Flotta. Proprio lo scorso luglio il Dipartimento di Stato americano ha approvato la vendita a Taiwan di un “pacchetto” di armamenti per un valore complessivo di 2,2 miliardi di dollari. La consistente vendita comprende 108 carri armati M1A2T Abrams e 250 missili Stinger con relativi equipaggiamenti. La decisione, inutile dirlo, ha scatenato l’ira di Pechino e il plauso di Taipei che, con una dichiarazione del suo Ministro degli Esteri Joseph Wu, ha approvato la vendita come una dimostrazione del “sostegno fornito da Washington di fronte alle minacce della Cina”.
La decisione statunitense è poi stata seguita, a fine estate, da una seconda tranche di armamenti. L’Agenzia per la Cooperazione nella Difesa e nella Sicurezza degli Stati Uniti ha annunciato al Congresso l’accordo per un valore complessivo di 8 miliardi di dollari. La vendita, che comprende 66 aerei Lockheed Martin F-16 fighter jets, è la più proficua da venti anni a questa parte ed è stata definita in linea con gli interessi nazionali degli Stati Uniti, per migliorare la sicurezza di Taiwan. In un post su Facebook, la Presidente Tsai Ing-Wen ha prontamente ringraziato gli USA per il “continuo sostegno alla difesa nazionale di Taiwan”.
Fig. 1 – Breve video di un’esercitazione aerea anti-invasione tenutasi a Taiwan lo scorso maggio
Il 2019 si sta rivelando un anno particolarmente denso per le relazioni tra Washington e Taipei. A quaranta anni dal Taiwan Relations Act, i rapporti tra i due Paesi non sembrano mai “essere stati migliori”, per usare le parole del Ministro taiwanese Joseph Wu.
Proprio quest’anno infatti è stato inaugurato l’American Institute of Taiwan: istituto “travestito” da ente culturale, ma de facto l’ambasciata statunitense sull’isola. L’iniziativa si iscrive nel più ampio progetto di “modernizzazione” dei rapporti tra i due Paesi, come il Taiwan Travel Act (2018), che promuove lo scambio e la collaborazione tra funzionari governativi di ambo le parti, in ambito sia civile che militare.
“GRAVE INTERFERENZA NEGLI AFFARI INTERNI DELLA CINA”
Agli occhi di Pechino l’isola di Formosa è una provincia “ribelle” da portare al più presto sotto il proprio controllo diretto e considera l’adesione alla One China Policy la conditio sine qua non per avere qualsiasi tipo di rapporto con la Repubblica Popolare Cinese. La decisione di armare Taipei ha suscitato la dura reazione della leadership comunista, che per bocca di Geng Shuang, portavoce del Ministero degli Esteri, ha ordinato a Washington di “annullare le transazione ed evitare future relazioni con Taiwan” prima che la Cina prenda “tutte le misure necessarie per tutelare gli interessi nazionali”.
Ma Pechino non sta ferma a guardare. Nel suo Libro Bianco della Difesa, pubblicato lo scorso 24 luglio dal Consiglio di Stato con il titolo China’s National Defense in the New Era, viene sottolineata la necessità di “annettere” Taiwan al continente, anche con un’offensiva militare. Senza ombra di dubbio, al momento, l’opzione militare non sarebbe la più consona, anche perché ciò innescherebbe immediatamente la reazione di Washington e Tokyo, ma rimane comunque un’opzione a lungo termine. In tale ottica la modernizzazione della Marina cinese gioca un ruolo essenziale. Proprio lo scorso settembre, Pechino ha “risposto” agli aiuti militari americani con l’inaugurazione della sua prima nave anfibia d’assalto appartenente alla classe Type 075. L’intento è chiaro: Pechino ora è perfettamente in grado sia di difendersi che di attaccare.
Fig. 2 – Il sottomarino Jin-B Project 094B durante una parata per i 70 anni della RPC
TAIPEI: TRA ISOLAMENTO E COOPERAZIONE
Se l’opzione militare rimane ad oggi poco praticabile, non si può dire lo stesso della strategia cinese di isolare l’isola di Formosa attraverso aiuti economici ai suoi (pochi) alleati. In un solo mese Taipei ha perso il riconoscimento ufficiale di altri due Paesi amici, “sedotti” da Pechino per sostenere la sua One China Policy. Le isole Salomone e Kiribati (entrambe nel Pacifico) hanno rotto le relazioni diplomatiche con Taipei.
Per il Governo taiwanese, anche questa volta, la “diplomazia del dollaro” di Pechino è riuscita ad acquistare il favore di altre nazioni, portando il numero di Paesi che riconoscono Taiwan a solo 15 nel mondo.
Tra l’isolamento generale, l’Amministrazione statunitense sembra però particolarmente attenta ai bisogni dell’isola. Lo scorso 30 ottobre infatti il Comitato degli Affari Esteri della Camera USA ha approvato il TAIPEI Act, che intende chiedere al Presidente Trump di riconoscere Taiwan come uno Stato indipendente e sovrano e di evitare che il Paese asiatico perda altri alleati.
Fig. 3 – Han Kuo-yu, il candidato Presidente del Partito Nazionalista, durante un comizio elettorale
Intanto Taipei si prepara ad andare alle urne nel 2020. Lo “scontro” elettorale vedrà fronteggiare Han Kuo-yu, Sindaco di Kaohsiung e candidato Presidente per il Partito Nazionalista, contro l’attuale Presidente Tsai Ing-Wen, in cerca di un secondo mandato per il suo Partito Progressista Democratico.
Le posizioni sui rapporti con Pechino divergono: il Partito Nazionalista opterebbe per una posizione più dialogante, mentre il Partito Progressista Democratico non ha mai nascosto le proprie ambizioni secessionistiche. A meno di due mesi dal voto, la Presidente in carica Tsai Ing-wen è data favorita con quasi il 43% delle preferenze contro il 26% di Han Kuo-yu.
Tra le elezioni e il rinnovato sodalizio con Washington, sarà il 2020 l’anno di definitiva rottura tra Taipei e Pechino?
Rocco Forgione