In 3 sorsi – Le elezioni locali del 24 novembre a Taiwan hanno segnato un’evidente sconfitta del Partito Progressista Democratico a favore del Kuomintang. Tutto questo non fa che allietare Pechino che potrebbe nuovamente trovare sull’isola sostenitori della One China Policy.
1. LE ELEZIONI E LA VITTORIA DEL KUOMINTANG
A fine novembre la Repubblica di Cina ha chiamato i suoi elettori alle urne per le elezioni amministrative, paragonabili ai midterm americani, visto che rappresentano un ottimo termometro attraverso il quale analizzare la presidenza in vigore. Il risultato è stato alquanto significativo: ben 15 città e contee su 22 hanno visto vincitore il Kuomintang (KTM), mentre il Democratic Progressive Party (DPP), partito della presidente Tsai, porta a casa un’amara sconfitta. Una città che ha rappresentato in maniera emblematica questa inversione di tendenza è quella di Kaohsiung, roccaforte del DPP, che la governava da ben vent’anni consecutivi. Il neo-eletto sindaco del KMT, Han Kuo-yu, sembrava non avere i requisiti per poter vincere in una città di tale importanza, ma, secondo molti, il suo punto di forza è stato lo stile comunicativo semplice e diretto, molto simile alla dialettica trumpiana. La presidente Tsai Ing-wen, dopo il risultato, ha deciso di rassegnare le dimissioni dalla leadership del DPP, scusandosi e ammettendo la sconfitta, mentre ha rifiutato inizialmente le dimissioni presentate dal primo ministro William Lai. Nei giorni scorsi, però, ha nominato come nuovo capo del Governo Su Tseng-chang, suo stretto alleato e co-fondatore del DPP.
Fig. 1 – Han Kuo-yu, nuovo Sindaco della città di Kaohsiung
2. I REFERENDUM E L’ACCUSA DI INFLUENZA SUI VOTI ALLA RPC
Non meno importanti sono stati i referendum associati alle elezioni locali. Molto atteso era quello sulla legalizzazione dei matrimoni fra coppie omosessuali, che non ha raggiunto il quorum per l’approvazione. Proprio nel 2017 la Corte Suprema di Taiwan aveva sollecitato il Governo affinché potesse elaborare e far approvare una legge in merito. Un altro referendum importante non andato a buon fine è quello sull’utilizzo del nome Paese “Taiwan” ai Giochi Olimpici del 2020, in sostituzione con quello in uso “Chinese Taipei”. Secondo alcuni esperti il risultato designa un disinteresse verso quelle che vengono definite Cross Strait Relations e un focus maggiore della popolazione per le tematiche economiche del Paese. Molti rappresentanti taiwanesi hanno accusato Pechino di aver influenzato i risultati tramite il supporto a specifici candidati e campagne di disinformazione. Secondo altri esperti, invece, la sconfitta del DPP evidenzia come la popolazione sia delusa rispetto all’operato di questo Governo. La stessa presidente Tsai è stata criticata per la gestione economica del Paese, soprattutto per le riforme sul lavoro e i tagli alle pensioni a fronte di una stasi sui salari che va avanti dai primi anni Novanta.
Fig. 2 – La presidente della Repubblica Popolare di Cina (Taiwan), Tsai Ing-wen
3. USA E CINA: VERSO UN NUOVO INASPRIMENTO DELLE RELAZIONI?
La sconfitta del DPP ha rappresentato in qualche modo una vittoria per Pechino, che tramite i suoi media ha dichiarato di essere aperta al confronto con i nuovi rappresentanti del KMT per migliorare i rapporti con l’isola. Il China Daily ha sostenuto che le posizioni separatistiche della presidente Tsai e del suo partito le abbiano fatto perdere l’appoggio della popolazione. Non è un caso che il neo-eletto sindaco Han Kuo-yu abbia immediatamente stabilito tra gli obiettivi quello di riportare al meglio le relazioni con la RPC sulla base del Consensus del 1992. In virtù di quanto accaduto non sarà affatto facile per il DPP vincere le prossime presidenziali del 2020 e questo pone notevoli dubbi sulle implicazioni geopolitiche dell’area per due attori principali, RPC e USA. L’isola di Formosa ha un’importanza fondamentale per ogni strategia di contenimento della Cina da parte degli Usa, che già detengono un’egemonia sulle rotte marittime nei mari asiatici. In passato il KTM intratteneva ottimi rapporti con gli States, ma la China policy delineata da Trump non lascia ben sperare in una convergenza di interessi. Proprio mercoledì 2 gennaio, nel discorso inaugurale di inizio anno, il presidente Xi ha ribadito che l’isola di Taiwan è parte della Cina. Con riferimento a quanto dichiarato più volte dalla presidente Tsai sull’indipendenza dell’isola, Xi ha continuato affermando la contrarietà a tutti quelli che vogliono «due Cine», «una Taiwan» o ancora una «Taiwan indipendente», parole incisive che non fanno che cavalcare quest’onda favorevole di cambiamento per la RPC.
Giulia Quarta
Foto di copertina: Office of the President, Republic of China (Taiwan), via Flickr | Licenza: CC BY 2.0