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Huawei nei Paesi emergenti (II): un modello per il futuro?

AnalisiHuawei funge da piĂą di qualche vertebra nella spina dorsale di un Dragone che ora cresce con piĂą fatica. Ed è proprio l’economia cinese a lasciar supporre che Huawei oggi operi, in Cina e nel mondo, senza il supporto materiale che un tempo riceveva da Pechino, cercando di adattarsi a standard di trasparenza e sostenibilitĂ  globali. Ma, insieme a un buon numero di episodi controversi riguardanti Huawei, la natura stessa del sistema cinese inquieta alcuni osservatori, e l’ostinazione dei vertici dell’azienda nell’ignorare il problema non è d’aiuto.

La prima parte dell’articolo è disponibile qui.

LE INCOGNITE DEL DOMANI

Il mercato della Mainland cinese è unico come le sfide che pone. Se non bastassero le preoccupazioni degli stakeholder descritte nella prima parte di questo articolo, Pechino vincola l’apertura di succursali alla partecipazione di soci cinesi al 51%, a volte forzando le condizioni verso una condivisione de facto di importanti segreti industriali.
La mancanza di reciprocità e trasparenza in diversi frangenti crea, in certi casi, un clima di frustrazione nei partner occidentali, e timore in quelli provenienti da Paesi in via di sviluppo, alla ricerca del brevetto più disruptive per emergere in mercati già saturi. Tuttavia, due fattori suggeriscono un futuro rilassamento delle leggi in questione, già promesso al Boao Forum 2017: il primo è la minor crescita economica cinese, in parte legata alla necessità di un deleveraging dei conti pubblici, il secondo (conseguente) è la necessità cinese di attrarre più facilmente capitali esteri, mentre il costo del lavoro è ormai poco competitivo rispetto al Sud-est Asiatico. Su quanto e quando si allargheranno le maglie, però, mancano roadmap chiare.

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Fig. 1 – Una macchina per la realtĂ  virtuale nello stand Huawei durante il recente Web Summit di Lisbona, novembre 2019

HUAWEI FA BENE ALLE ECONOMIE EMERGENTI

Nei decenni scorsi Huawei ha approfittato dell’aiuto di Pechino, a partire da ingenti prestiti, fino ai progetti esteri finanziati unilateralmente, che affidavano l’intera catena del valore a compagnie cinesi. Tuttavia, le politiche di promozione dell’interesse nazionale cinese non potevano essere discusse dalla board di Huawei – anzi: rifiutare certi vantaggi sarebbe stato del tutto irrazionale, forse anche impraticabile. Nell’economia della Cina contemporanea, però, una grande compagnia come Huawei cammina ormai con le sue gambe, per virtĂą o per necessitĂ .
Huawei ha inoltre il merito di aver implementato un efficiente sistema di reclutamento e formazione, di aver diffuso know-how attraverso la propria ICT Academy, le collaborazioni con diverse universitĂ  e vari progetti di training rivolti non solo a tecnici, ma anche a clienti e fornitori. Queste iniziative hanno permesso a molti imprenditori di Paesi in via di sviluppo di creare un ecosistema di imprese fondamentali per lo sviluppo dell’economia locale, anche se queste tendono, in molti casi, a esistere in funzione di Huawei: un pattern non esclusivo, che si può riscontrare in simili iniziative di compagnie occidentali, anche in Paesi sviluppati.

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Fig. 2 – Liang Hua, attuale chairman di Huawei, parla con il giornalista inglese Geoff Cutmore durante un evento a Guangzhou, novembre 2019

IPOCRISIE GENERALIZZATE

Un’altra critica mossa a Huawei è quella di mantenere volontariamente una certa opacitĂ  rispetto alle proprie operazioni nei Paesi in via di sviluppo. In risposta, Huawei sta avviando dei programmi di reporting focalizzati su singoli Paesi, il cui esempio piĂą completo è quello kenyota pubblicato nel 2018, che valuta le tre aree chiave di sviluppo sostenibile, governance e ambiente. Come nel caso di altri grandi nomi del tech (ad esempio AMD), Huawei compila i propri report secondo gli standard GRI (Global Reporting Index), opzione Core, dove la disclosure è piĂą sintetica e quantitativa rispetto alla piĂą “leggibile” opzione Comprehensive. Ma gli standard GRI sono da tempo oggetto di critiche da parte degli ecologisti, secondo i quali un report GRI equivarrebbe a poco piĂą di una campagna di pubbliche relazioni.
Ciò è dovuto ad una struttura modulare del report che, di fatto, permette all’azienda di operare una selezione in merito alle proprie non-financial disclosures. Nonostante ciò, è bene notare che l’opzione in questione è utilizzata nel reporting di molte altre aziende occidentali, e che gli standard GRI rientrano nel framework delle mandatory non-financial disclosures dell’UE, assieme agli standard UNCG, OECD, ISO e ILO. Scoprire elementi d’inadeguatezza negli standard di sustainability reporting è senza dubbio una sviluppo positivo, a cui è lecito augurarsi facciano seguito inchieste – d’altra parte, è ipocrita evidenziare opacitĂ  esclusivamente nel reporting di Huawei.

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Fig. 3 – Un negozio di smartphone in Kenya. Il Paese è uno dei maggiori mercati africani di Huawei

IL MATCH INDIANO PER IL CARRIER NETWORKING

Il 5G definirĂ  il progresso tecnologico del prossimo futuro, espandendo segmenti strategici come le data sciences, l’automazione e l’Intelligenza Artificiale (IA) in abito civile, militare e dual-use. In alcuni Paesi UE la partita rimane parzialmente aperta, ma nei Paesi emergenti si gioca un match ancora piĂą importante: in palio c’è infatti l’influenza politica e economica sulle nuove economie mondiali. Il caso dell’India è emblematico: Nuova Dehli è allo stesso tempo un rivale strategico del Dragone e un Paese dove le compagnie operanti nel settore telecomunicazioni sono spesso indebitate, le infrastrutture scarseggiano, ma il potenziale consumer market è secondo soltanto alla Cina stessa. Da Washington, il Segretario al commercio Wilbur Ross minaccia un deterioramento delle relazioni strategiche se Dehli dovesse scegliere Huawei come principale operatore, mentre Pechino risponde attraverso il CEO di Huawei India, Jay Chen, proponendo un contratto comprensivo di garanzie contro le backdoor. Ma c’è chi sente la pressione USA e chi pensa alle numerose accuse di spionaggio (addirittura nel QG dell’Unione Africana), prendendo le distanze come i top carriers indiani Jio e Airtel, che a settembre hanno scelto Ericcson ed escluso ogni compagnia cinese per i loro 5G trials. Vodafone, che con Huawei giĂ  collabora in molti Stati africani, prospetta invece una collaborazione con Huawei, Nokia ed Ericsson.

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Fig. 4 – Un negozio di Airtel a Mumbai. Pressata dagli USA, la compagnia indiana ha rifiutato di collaborare con Huawei per il 5G

UN PROBLEMA DI PUBBLICHE RELAZIONI

Le decine di contratti per infrastrutture 5G firmate nel solo 2019 sembrano suggerire che la comunicazione non sia un problema, ma è proprio in contesti come quello indiano che una storia di pubbliche relazioni efficiente può fare la differenza. Per il momento, però, su questo versante Huawei sembra carente, e le ombre non mancano: dalle storiche contese con Motorola e Cisco, fino a piccoli ma rilevanti casi di supposta violazione di brevetti o accordi di sampling, come nei recenti casi PanOptis, SolarEdge e Akhan Semiconductor, per finire ai legami con l’Esercito cinese.
Lo stesso Ren Zhengfei aveva negato legami con il PLA, salvo poi essere smentito da una ricerca della Fulbright University Vietnam, riportata da Bloomberg; il problema non sta nel fatto in oggetto quanto nella scelta di mentire, a fronte delle disclosure dei progetti di AT&T e Google per la difesa USA.
Una successiva intervista di Ren Zhengfei con CNBC nel 2018, concepita come esempio di trasparenza durante l’escalation della guerra dei dazi con gli USA, ha visto il CEO di Huawei schivare a suon di metafore le domande incalzanti della giornalista Deirdre Bosa: un vero imbarazzo, sia per quest’ultima che ignora il modo di comunicare cinese, sia per il CEO di Huawei che sembra glissare su molti punti.
Nel febbraio scorso il noto portale Android Authority aveva dato credito a un report di The Information che descriveva come Huawei avrebbe incoraggiato il furto di proprietà intellettuale tra i propri impiegati. Allora, Huawei aveva contattato il portale per negare ogni accusa, salvo poi far ritirare il messaggio, sostituendolo con un “no comment”.
L’incapacitĂ  o la non volontĂ  di comunicare in modo esaustivo con il pubblico non cinese rappresenta quindi un problema serio per l’azienda e potrebbe compromettere il suo futuro.

Federico Zamparelli

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Federico Zamparelli
Federico Zamparelli

Udinese per nascita e affinità calcistica, genovese nel cuore, cittadino del mondo anche se fa un pochino cliché. Ho studiato Scienze Diplomatiche al SID di Gorizia (Università di Trieste) e proseguito con una magistrale in Global Studies, in un programma di doppia laurea con la LUISS di Roma e la China Foreign Affairs University di Pechino. Ora frequento un corso intensivo di lingua e cultura cinese alla Tsinghua University di Pechino, perché proprio non riesco a resistere al fascino del “regno di mezzo”. Parlo correntemente inglese e francese, le mie aree di maggior interesse sono l’Africa e l’Asia – in particolare la Cina – e nel Caffè metto la mia passione per l’economia, l’high tech e le politiche energetiche.

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