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I prodotti degli insediamenti israeliani: l’Europa prova a farsi sentire.

In 3 sorsi – La Corte di Giustizia Europea ha reso obbligatoria l’indicazione di provenienza per gli alimenti israeliani originari degli insediamenti in Cisgiordania. Riuscirà la decisione a indirizzare la politica estera europea verso il conflitto arabo-israeliano in modo più efficace?

1. COSA DICE LA SENTENZA

Il 12 novembre 2019 la Corte di Giustizia Europea (CGE) ha emesso una sentenza che obbliga i Paesi dell’Unione Europea a indicare quando un prodotto proviene dai territori occupati da Israele in Cisgiordania. La Corte ha detto: “I prodotti alimentari provenienti dai territori occupati dallo Stato di Israele devono avere l’indicazione del loro territorio di origine», in modo che i consumatori possano fare una «scelta informata” quando acquistano un bene. La CGE ha dichiarato che “l’indicazione del territorio di origine degli alimenti in questione è obbligatoria, al fine di evitare che i consumatori possano essere indotti in errore in merito al fatto che lo Stato di Israele è presente nei territori in quanto potenza occupante e non in quanto entità sovrana”. Nello specifico l’indicazione deve includere sia il “territorio” (Cisgiordania) che il “luogo di provenienza” (insediamento israeliano) all’interno del suddetto territorio. Se mancasse, infatti, l’indicazione del luogo di provenienza, “i consumatori potrebbero essere indotti a ritenere che tale alimento provenga, nel caso della Cisgiordania, da un produttore palestinese”. La sentenza mette quindi al centro la valenza etica del problema, poiché “la circostanza che un alimento provenga da un insediamento stabilito in violazione delle norme del diritto internazionale umanitario può essere oggetto di valutazioni di ordine etico che possono influenzare le decisioni dei consumatori”.

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Fig. 1 – La città di Gaza, 9 gennaio 2020

2. L’ORIGINE DEL PROBLEMA

Dopo la Guerra del 1967 Israele violò gli accordi di Rodi del 1949 che vedevano la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est liberi dal controllo israeliano (delimitati dalla cosiddetta Linea Verde), scatenando l’opposizione della comunità internazionale. Da quel momento l’Unione Europea ha continuato a mantenere una posizione d’intransigenza nei confronti dell’occupazione israeliana. Infatti l’UE ha in vigore due accordi bilaterali per il commercio economico con Israele e con i territori palestinesi: l’Accordo di Associazione con Israele del 2000 (subentrato a quello del 1975) e l’Accordo di Associazione con l’Autorità Nazionale Palestinese del 1997. Attraverso questi due strumenti economici l’Europa vuole tutelare ugualmente Israele e i territori palestinesi nelle reciproche relazioni economiche: solamente i beni effettivamente prodotti nel territorio di una delle due parti possono circolare liberamente nel mercato di libero scambio europeo, con i vantaggi che ne conseguono. Per sapere l’esatta indicazione di produzione dei prodotti, nel 2015 l’UE ha approvato le cosiddette Linee Guida per l’etichettatura dei prodotti provenienti dai Territori occupati da Israele, dando la possibilità agli Stati membri UE di segnalare sulle etichette i prodotti provenienti dai territori occupati. La recente sentenza della Corte di Giustizia ha reso ora obbligatorio questo passaggio.

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Fig. 2 – Una bandiera israeliana a Gerusalemme Est

3. PERCHÉ LA DECISIONE È IMPORTANTE?

Nonostante sia legata a una questione prettamente di carattere economico-legislativo la sentenza ha forte rilevanza per i prossimi sviluppi della politica estera europea. Da un lato la sentenza arriva in un momento storico particolare per l’Europa, dove il recente cambio di rotta americano, con l’annuncio del Segretario di Stato Pompeo di riconoscere come “legali” (o meglio, con un giro di parole, non necessariamente illegali) gli insediamenti creati da Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni, ha spazzato via anni di intensa collaborazione fra Europa e Stati Uniti per la risoluzione del conflitto arabo-israeliano. Dall’altro lato la nuova Commissione Europea e la sua Presidente Ursula von der Leyen, hanno dato grande importanza al ruolo che Unione deve avere in politica estera, mettendo in primo piano il rispetto per lo Stato di diritto e i diritti umani.
La decisione della CGE però presenta due incognite. La prima riguarda la valenza del diritto internazionale, che, dopo la dichiarazione di Pompeo, rischia di essere sempre più scavalcato dall’accettazione di situazioni de facto indipendentemente dalla loro legittimità de iure. La seconda riguarda la rilevanza europea in politica estera, per molti ancora insufficiente ed eccessivamente imbrigliata in un contesto politico incerto e debole. La sentenza della CGE rappresenta quindi un test. Un test per misurare la serietà della nuova Commissione nei riguardi della politica estera europea. Se la sentenza sarà rispettata e applicata dagli Stati membri e se sarà rafforzata da ulteriori meccanismi di controllo e sanzioni, allora il test potrà dirsi superato. Altrimenti della sentenza rimarrà solamente la valenza dichiaratoria e nulla più, e l’Europa continuerà ad agire inefficacemente fuori dai suoi confini.

Paolo Sasdelli

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Paolo Sasdelli
Paolo Sasdelli

Bolognese di nascita, giro l’Europa per studio e lavoro. Laureato in Lettere Classiche all’UNIBO (prima grande passione), ho frequentato due master in Relazioni Internazionali ed in Politiche Europee al King’s College London e alla London School of Economics. Ora mi occupo di affari europei a Bruxelles. Le opinioni espresse negli articoli sono quelle dell’autore e non rispecchiano (necessariamente) quelle di FiscalNote, Inc.

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