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L’autunno caldo di Caracas

Nel caliente autunno latinoamericano, caratterizzato dalle elezioni presidenziali in Brasile e legislative in Venezuela, spicca la nuova ondata di protesta contro la politica autoritaria del presidente Hugo Chávez. Dopo cinque mesi di sciopero della fame è morto lo scorso 31 agosto Franklin Brito, il quarantanovenne agricoltore e biologo venezuelano che protestava contro la politica di espropri del governo di Hugo Chávez. Le terre di Brito rientrano tra i cinque mila chilometri quadrati di terreni coltivabili confiscati dal governo.

EFFETTO DOMINO – Questo tipo di proteste non è nuovo in Venezuela: lo scorso maggio seimila detenuti hanno iniziato lo sciopero della fame lamentando la lentezza dei loro processi nelle Corti. Tuttavia, la morte di Brito (nella foto sotto) ha alzato il livello dello scontro innescando un effetto a catena nel paese. Migliaia di detenuti stanno facendo ricorso allo sciopero della fame: nello Stato di Yaracuy novecento prigionieri protestano per presunte scorrettezze nei loro processi, a Tocuyito vicino la Costa Caraibica altri trenta reclamano per aver subito maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie, più di tremila a Tocorón, nella parte ovest di Caracas, lamentano il sovraffollamento e la precarietà delle condizioni igenico-sanitarie della prigione.

CONDIZIONI ALLARMANTI – Le prigioni venezuelane sono tra le più violente e affollate in tutta l’America Latina. Secondo l’Observatorio Venezuelano de Prisiones (OVP), un’organizzazione non governativa composta da avvocati, più di 43.000 detenuti, i cui 4/5 non sono ancora stati condannati, si trovano in strutture che in realtà hanno una capienza di 15.000.

Le condizioni delle carceri venezuelane sono sempre state precarie, ma la situazione sembra essersi deteriorata durante la presidenza di Hugo Chávez. Il livello di criminalità è aumentato nell’ultimo decennio proprio in coincidenza della stretta giudiziaria attuata dal governo per colpire gli oppositori. Nonostante i vari proclami del governo relativamente agli innumerevoli sforzi che starebbe compiendo per migliorare le condizioni nelle carceri, al momento l’unico progresso registrato riguarda la costruzione di una nuova prigione. 

RICHIESTE IMPOSSIBILI – La storia di Brito inizia 7 anni fa quando i suoi 290 ettari di terra a Iguaraya, nello Stato di Bolivar a sud del Venezuela, sono stati confiscati dai vicini proprietari terrieri. Successivamente, Brito scoprì che l’Istituto Nazionale di Terre (INTI), l’agenzia governativa che si occupa della riforme agrarie, aveva dato loro i diritti per occupare le sue terre. Da quel momento l’agricoltore cominciò la sua lotta per rientrare in possesso della sua proprietà. Ai sei scioperi della fame che Brito ha fatto negli ultimi 7 anni, il governo ha risposto in vari modi: dalla disponibilità a un incontro, qualora avesse interrotto la sua protesta, all’offerta di 230.000 dollari come indennizzo per l’esproprio. Quest’ultima possibilità è stata sempre rifiutata dall’agricoltore sia perché avrebbe potuto essere accusato di corruzione.

Nel 2009, Brito porta la sua causa dinanzi la sede dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) a Caracas. Una delegazione accettò di mediare con il governo, il quale, nel dicembre del 2009, inviò come risposta un corpo di polizia che trasferì Brito con la forza nell’ospedale militare della capitale. 

PRO BRITO – L’organizzazione umanitaria Foro por la Vida ha dato la colpa allo Stato per la morte di Brito puntando il dito sulle autorità che “stimolano in maniera permanente le impunità”.  Il Foro, che raggruppa circa venti organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani, ha sostenuto che le decisioni politiche nei confronti dell’agricoltore non sono state in grado di garantire un’investigazione imparziale, al contrario si sono dimostrata complice di atti violanti la dignità dell’agricoltore.

 Nonostante le pressioni esercitate dalla Commissione Interamericana dei diritti umani, i Tribunali venezuelani, che nella maggior parte dei casi sembrano seguire le direttive chaviste, hanno negato il rilascio di Brito, in quanto, a loro avviso, non era nel pieno delle sue condizioni mentali, motivo per cui la detenzione era una misura per proteggerlo.

Tuttavia, il Ministro dell’Agricoltura Juan Carlos Lovo, ha definito lo sciopero della fame come un digiuno volontario piuttosto che una protesta. Secondo il governo, la morte dell’agricoltore è da imputare all’opposizione che ha sostenuto e alimentato la protesta per convertirla nell’ennesimo atto simbolico contro il presidente Hugo Chávez.  

GLI ALTRI CASI –  Negli ultimi anni si è riscontrato il ricorso allo sciopero della fame per chiedere il rispetto dei diritti fondamentali come nel caso del giornalista cubano Guillermo Fariñas che iniziò il suo digiuno il 24 febbraio, il giorno dopo la morte di Orlando Zapata Tamayo causata da uno sciopero della fame di 85 giorni, per chiedere la liberazione dei prigionieri politici del Grupo de los 75. Il giornalista Fariñas abbandonò la sua protesa l’8 luglio a seguito dell’annuncio del governo cubano di liberare i 52 dissidenti, conseguenza di un’inedita azione diplomatica con la Chiesa Cattolica e il governo spagnolo.

Il caso venezuelano sembra essere ben diverso: il governo avrebbe potuto evitare la morte dell’agricoltore, ridando semplicemente il diritto di proprietà terriero al legittimo proprietario. Ma Chávez ha ritenuto opportuno rimanere fermo nella sua posizione, considerando evidentemente questa mossa politicamente più vantaggiosa.

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ELEZIONI E CONTRADDIZIONI – L’autunno latinoamericano sarà all’insegna delle elezioni che avranno una rilevanza decisiva perché i protagonisti sono i due paesi che si contendono l’egemonia della regione: il Brasile e il Venezuela. Per quanto riguarda quest’ultimo, si rileva che a a dispetto della grande popolarità di Chávez, risultato anche degli innovativi programmi di redistribuzione, c’è il rischio che nelle prossime elezioni legislative programmate per il 26 settembre la destra ottenga avanzamenti significativi.

A vantaggio del Partito Socialiasta Unito del Venezuela (PSUV) diretto da Chávez, vi sono una serie di elementi, tra cui una crescita economica elevata e la diminuzione della disoccupazione. Contro una riconferma del partito di maggioranza, invece, si rilevano i 18 mesi di recessione, un alto tasso di inflazione e criminalità, e soprattutto l’aumento delle contestazioni contro le politiche governative.

Queste contraddizioni sono ben presentate nella campagna elettorale in corso: mentre la destra punta sulla corruzione governativa e sul traffico di droga, l’opposizione segnala che il Procuratore Generale del Venezuela ha annunciato l’avvio di processi giudiziari per 2700 casi di corruzione e 1700 di traffico di droga; e ancora, mentre la destra pone l’accento sull’incapacità del sistema di distribuzione statale (PDVAL) di canalizzare le tonnellate di alimenti che sono finiti nei rifiuti (vedi articolo de “Il Caffè”: “Qué pasa en Caracas?”,), il Partito del presidente ricorda che il Ministero per l’alimentazione si occupa di distribuire nel paese un terzo degli alimenti di base a un prezzo più basso fino al 50% rispetto a quelli praticati nei supermercati privati.

Nonostante ciò, il partito di maggioranza non sembra essere realmente in pericolo di riconferma per le prossime elezioni: l’opposizione si presenta frammentata e non sarà agevolata dalla legge elettorale, che da un assetto proporzionale è stata modificata in senso maggioritario, con la chiara finalità di penalizzare le minoranze.

 

Valeria Risuglia

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