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La pandemia che non spaventa gli Houthi

In 3 sorsi In seguito al primo caso di Covid-19 rilevato in Yemen è stato indetto un cessate il fuoco. L’Arabia Saudita sembra sempre più convinta ad abbandonare ogni speranza di vittoria nella guerra agli Houthi, i quali, a loro volta, stanno cercando di prolungare il più possibile i combattimenti, al fine di avere maggior potere negoziale durante un ipotetico processo di pace.

1. IL CESSATE IL FUOCO

Il 9 aprile la coalizione a guida saudita che da anni è in guerra contro gli Houthi in Yemen ha acconsentito ad un cessate il fuoco temporaneo che, finalmente, potrebbe aprire qualche spiraglio per un processo di pace. La decisione dei sauditi è arrivata in seguito all’appello del delegato ONU Martin Griffiths, il quale, alla luce dei recenti sviluppi riguardanti l’epidemia di Covid-19, che sembrerebbe aver raggiunto anche lo Yemen, ha invitato le parti ad impegnarsi per raggiungere una tregua. Griffiths ha dichiarato che la popolazione yemenita non sarebbe stata in grado di sostenere due fronti, quello bellico e quello della pandemia, che si va a sommare all’epidemia di colera che sta mettendo in ginocchio centinaia di migliaia di abitanti. Il primo cittadino yemenita contagiato dal coronavirus è un operaio di circa sessant’anni che sembrerebbe averlo contratto dopo essere entrato a contatto con dei marinai stranieri nel porto di al-Shihir, nella provincia di Hadhramaut. Malgrado il cessate il fuoco, il Governo saudita ha dichiarato di aver registrato innumerevoli violazioni da parte dei ribelli Houthi, che pare non abbiano rispettato gli accordi della tregua. Molti analisti considerano la decisione di Riyadh di imporre un cessate il fuoco come un segnale verso una possibile riapertura da parte dei sauditi nei confronti di un processo di pace, soprattutto dopo che questi ultimi avevano invitato gli stessi Houthi a Riyadh per delle negoziazioni solamente due settimane prima che il cessate il fuoco entrasse in vigore.

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Fig. 1: Due yemeniti al mercato di Sanaa indossano le mascherine protettive a seguito del primo caso di Covid-19 nel Paese

2. LA COALIZIONE PERDE PEZZI

La guerra in Yemen è entrata ormai nel suo quinto anno, dopo che nel settembre del 2014 gli Houthi avevano portato a termine un colpo di Stato. Ciononostante la situazione non sembra sbloccarsi, anche e soprattutto perché la coesione della coalizione a guida saudita comincia a vacillare. I primissimi segnali di rottura tra le fila della coalizione erano emersi già nel 2017, quando l’Arabia Saudita, a seguito della crisi interna al Gulf Cooperation Council, ha escluso dalle operazioni militari in Yemen il Qatar, il quale ha però continuato a sfruttare il suo legame con il partito Islah (il partito dei Fratelli Musulmani in Yemen) e utilizzato il suo impero mediatico per screditare la coalizione. In seguito anche gli Emirati hanno iniziato a distanziarsi dai sauditi. Infatti, con il passare degli anni, i due principali membri della coalizione hanno cominciato a sostenere fazioni diverse in Yemen, soprattutto a sud, dove gli emiratini hanno appoggiato i separatisti. Il colpo di grazia Riyadh l’ha ricevuto quando, l’11 luglio 2019, gli Emirati Arabi hanno annunciato il ritiro unilaterale delle loro forze impegnate nella guerra in Yemen. Alla luce di questa decisione, oltre alle divergenze strategiche dei due Stati, ci sono anche evidenti motivazioni legate alla figura di Mohammed bin Salman e alla sua competenza in ambito strategico-militare. L’Arabia Saudita sembra avere le spalle al muro, e sembra che anche Riyadh, finalmente, stia prendendo in considerazione l’eventualità di interrompere il conflitto una volta per tutte.

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Fig. 2: Mohammed Bin Salman, erede al trono della famiglia Saud e leader della coalizione che da 5 anni combatte in Yemen contro gli Houthi

3. LE PROSPETTIVE DI PACE

Per quanto l’Arabia Saudita sia intenzionata ad abbandonare le prospettive di successo in Yemen, gli Houthi, grazie ad alcune vittorie strategiche ottenute negli ultimi mesi, non sembrano molto propensi a lasciare che Riyadh si ritiri in fretta dal conflitto. Infatti gli Houthi stanno cercando di garantirsi, grazie alle vittorie militari nella regione di Marib, un potere negoziale maggiore nei confronti dell’Arabia Saudita, qualora iniziasse un processo di pace. Di fatto, l’atteggiamento remissivo di Riyadh ha iniziato a manifestarsi già verso la fine del 2019, quando i sauditi hanno dato il via ad una serie di trattative indirette con gli stessi Houthi, proprio perché le priorità della dinastia Saud sono cambiate e le prospettive di vittoria in Yemen si stanno facendo sempre più rare. Inoltre i fondi dei sauditi, per quanto ancora lontanissimi dall’esaurimento, si stanno riducendo notevolmente a causa di una costosissima guerra in Yemen che non può far altro che vanificare i tentativi di Mohammed bin Salman di diversificare l’economia del Paese, allontanandola dalla dipendenza dal petrolio. Petrolio il cui prezzo è sceso in picchiata di recente, per una serie di motivi, su tutti la Covid-19, ma anche una guerra di prezzi tra Arabia Saudita e Russia. Infine, gli Houthi, forti delle già citate vittorie ottenute nel nord del Paese, ancor prima che iniziasse il cessate il fuoco, avevano reso nota una lunga lista di richieste per poter porre fine al conflitto, tra cui il ritiro delle truppe straniere e la fine dell’embargo nei confronti dello Yemen. Prima che un processo di pace possa realmente iniziare, è necessario che gli interessi delle parti convergano, quindi che Riyadh si convinca definitivamente a porre fine alla guerra e che gli Houthi smettano di provocare i sauditi sperando di prolungare il conflitto ed ottenere ulteriori vittorie sul campo.

Emanuele Mainetti

Immagine di copertina: “Yemen” by Rod Waddington is licensed under CC BY-SA

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Perchè è importante

  • La Covid-19 sembra aver raggiunto anche lo Yemen, flagellato dalla guerra civile e dall’epidemia di colera.
  • La coalizione a guida saudita si è ormai sgretolata e Riyadh sembra pensare ad un ritiro dal conflitto.
  • Il processo di pace è compromesso dai continui attacchi degli Houthi, i quali cercano di guadagnare terreno e aumentare il proprio potere negoziale durante le trattative.

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Emanuele Mainetti
Emanuele Mainetti

Nato ad Angera nel 1994, ho conseguito una laurea triennale in Lingue e Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e un Master in Middle Eastern Studies al King’s College London. Durante i miei studi triennali ho maturato una profonda passione per il mondo arabo, la politica, la cultura e (ahimè) la lingua. Prima di cominciare il Master, ho trascorso cinque mesi in Giordania seguendo un corso intensivo di dialetto levantino e arabo standard. Sono particolarmente interessato alle dinamiche socio-politiche e alle relazioni internazionali nel Levante Arabo, con un occhio di riguardo per il Libano. Ho scritto la mia tesi magistrale sul processo di democratizzazione nel Libano post-Ta’if, per la quale ho condotto circa 20 interviste con membri della società civile libanese. Progetti per il futuro? Vorrei riuscire ad iscrivermi ad un corso di dottorato, Inshallah.

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