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Petrolio: è davvero ora di non chiamarlo più “oro nero”?

Analisi – I prezzi del petrolio rimangono bassi e la ripresa non sembra avvicinarsi. Ne approfittiamo per spiegare alcune conseguenze indesiderate

LE PETROLIERE COSTANO

Come abbiamo spiegato in un recente Ristretto, la produzione di petrolio a fronte di scarsa domanda sta causando un progressivo riempimento di tutti i depositi e serbatoi, portando i futures del WTI con consegna a Maggio a prezzi negativi (per quelli con consegna a Giugno si è invece tornati a valori positivi, a indicazione di una distorsione molto particolare e temporanea, mentre molti altri gradi di petrolio non hanno nemmeno avuto lo stesso problema). Va segnalato che tra i “depositi” disponibili esistono anche le stesse petroliere: i produttori infatti affittano petroliere che vengono riempite e quindi stazionate in zone sicure come depositi galleggianti. Verranno poi inviate a consegnare il loro carico quando il mercato sarà più favorevole. Il problema è che questa idea, spesso sfruttata in periodo di bassi prezzi, sta ora raggiungendo i limiti ed entra in competizione con chi comunque deve consegnare: il numero di petroliere disponibili è infatti anch’esso in esaurimento e quelle disponibili costano ora molto di più. Per dare un’idea del problema, alcuni broker riportano che alcune VLCC (very large crude carrier, quelle che definiamo informalmente “superpetroliere”), che normalmente vengono noleggiate attorno ai 200.000 $/giorno, hanno raggiunto anche prezzi record di 10-13 milioni di $/giorno per la tratta Golfo del Messico-Cina.

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Fig. 1 – Siamo davvero arrivati al tramonto del petrolio?

OCCHIO ALLA DIFFERENZA TRA BREAKEVEN DEL BARILE E FISCAL BREAKEVEN

Quando si parla di prezzo del petrolio e del fatto che sia troppo basso per ripagare i costi, si parla di breakeven price”: il prezzo al quale le spese di estrazione sono pari al prezzo del barile stesso. In pratica non si perde e non si guadagna. I barili di petrolio sauditi o russi rimangono ancora profittevoli anche a un prezzo di 20$/barile, ma bisogna ricordare che questo non è l’unico parametro da considerare quando si parla di effetti del prezzo: esiste il fiscal breakeven, che è il prezzo del petrolio al quale il bilancio statale rimane in pari. Il petrolio infatti non deve solo ripagare se stesso, ma anche sostenere l’economia del Paese, incluse spese sanitarie, militari, stipendi, welfare… Quindi per esempio in Arabia Saudita (dove un barile può costare solo 2,5-2,8 $/barile) il fiscal breakeven è a circa 80$/barile, per cui gli attuali prezzi sono comunque problematici non per l’estrazione in quanto tale ma per gli equilibri statali. Per la Russia il fiscal breakeven è più basso (circa 43-45$/barile) mentre per gli USA c’è una situazione opposta: molti pozzi di shale hanno un breakeven price più alto degli attuali prezzi (attorno ai 50$/barile in Texas, un po’ più basso in Nord Dakota), ma il bilancio statale non ne è minacciato.

L’ARABIA SAUDITA AVREBBE BISOGNO DI DIVERSIFICARE… MA NON CE LA FA

Proprio l’Arabia Saudita costituisce uno dei Paesi maggiormente sotto osservazione. Il progetto Saudi Vision 2020 lanciato dal Principe Ereditario Mohammed bin Salman (MBS), attualmente il vero potere dietro al trono, vuole portare il Paese a una diversificazione dal petrolio. Per farlo, ha istituito un fondo sovrano che dovrebbe finanziare e guidare la trasformazione economica del Paese, ma come spiega Middle East Eye, finora i risultati sono pochi, i fondi impiegati insufficienti, la diversificazione ancora minima. E i bassi prezzi del petrolio stanno progressivamente erodendo la capacità saudita di invertire il trend, dato che l’economia è ancora basata pesantemente sul barile. In altre parole, l’iniziativa che doveva proteggere in prospettiva il Paese dalle fluttuazioni dei prezzi degli idrocarburi è ora ostaggio di quelle stesse fluttuazioni, e incapace di decollare. Come già successe nel 2014-2015, nel tentativo fallito di eliminare la concorrenza dello shale oil americano, la scelta saudita di riprovare una strategia di prezzi bassi per piegare i competitor continua a non avere successo e a creare problemi in primis in patria.

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Fig. 2 – L’Arabia Saudita potrebbe attraversare tempi molto difficili se il prezzo del petrolio resterà basso

NON BASTA TAGLIARE LA PRODUZIONE PER RIPORTARE IN ALTO I PREZZI

Il mercato del petrolio, così come molti altri mercati, non si basa sui dati reali ma sulle aspettative: i prezzi calano non solo se c’è alta offerta e poca domanda, ma anche se ci si aspetta che le cose non cambieranno a breve. Analogamente al contrario. Nel caso specifico attuale, al di là dell’imponente taglio annunciato dal gruppo OPEC+, che abbassa la produzione, il problema è che la domanda mondiale di petrolio rimane scarsa e si suppone che rimarrà scarsa ancora per vari mesi. Inoltre, anche quando dovesse aumentare, sarà per prima cosa assorbita da una parte delle enormi riserve attuali, incluse quelle bloccate in depositi a terra e galleggianti, cosa che porterà a un possibile “ritardo” alla ricrescita dei prezzi. Questi riprenderanno a salire (quanto rapidamente è ancora da vedere, e ogni ipotesi al momento sarebbe azzardata) solo quando il mercato si convincerà che la crisi è passata e ci aspettano mesi (e anni) migliori.

Lorenzo Nannetti

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  • Non solo petrolio… ma anche petroliere
  • Cosa si intende per “breakeven” del petrolio?
  • Non tutti i Paesi produttori affrontano le stesse dinamiche
  • E’ sempre una questione di domanda e offerta

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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