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Anni ruggenti

L'ultimo numero dell' “Economist” ha dedicato un inserto speciale alla straordinaria crescita di cui è protagonista l'America Latina. Il continente potrà giocare davvero un ruolo importante nei prossimi anni? Le carte in regola sembra averle anche se, come sempre, non è tutto oro ciò che luccica.

IL DECENNIO DEL SUDAMERICA? – Che gli anni '10 siano la decade in cui il continente latino possa iniziare a giocare un ruolo da protagonista sullo scenario globale? E' la domanda che si pone l' “Economist” nel numero pubblicato la scorsa settimana e che ospita un inserto speciale dedicato interamente alla straordinaria crescita economica che sta vivendo questa regione. Il “Caffè” l'aveva già ipotizzato alcuni mesi fa. Intendiamoci, lungi da noi voler apparire presuntuosi: non ci sogniamo neppure di metterci in competizione con il settimanale londinese. Però, se persino una rivista così importante sceglie di dedicare tutto questo spazio ad un continente di cui in Europa – e soprattutto in Italia – si parla colpevolmente troppo poco, un motivo ci sarà. Probabilmente il decennio che sta iniziando non sarà appannaggio solamente dell'America del Sud, però c'è da scommettere che questa zona farà sempre più parlare di sé. Vediamo perchè.

 

I PUNTI DI FORZA – Sono trascorsi ormai duecento anni tondi dall'inizio del processo di indipendenza degli Stati dell'America Latina dalla madrepatria, Spagna o Portogallo che fosse. In questi due secoli queste nazioni raramente sono state capaci di intraprendere percorsi di sviluppo stabili e duraturi, a dispetto di condizioni naturali e climatiche davvero invidiabili. Lo scarso dinamismo delle società, caratterizzate dal dominio delle élites dei proprietari terrieri sulle masse nullatenenti, insieme all'endemica instabilità politica, giocarono un ruolo preponderante nell'impedire all'America Latina di compiere lo stesso percorso virtuoso dei “fratelli” settentrionali, Stati Uniti e Canada.

Oggi, però, la tendenza si sta invertendo con chiarezza. Periodi di congiuntura macroeconomica favorevoli e una ritrovata stabilità politica da vent'anni a questa parte hanno creato il clima ideale per una crescita che, attualmente, sembra inarrestabile: basti pensare che la crisi finanziaria che ha rischiato di mettere in ginocchio Europa e Stati Uniti ha soltanto colpito di striscio l'America Meridionale (anche se Messico e il resto del Centroamerica ne hanno risentito maggiormente per la maggiore dipendenza dall'economia statunitense).

I tassi di crescita del PIL sono sorprendentemente alti e stabili: nell'ultimo quinquennio, secondo i dati riportati da Banca Mondiale e Cepal (Commissione Economica per l'America Latina e i Caraibi, facente capo all'ONU), l'intera regione è cresciuta ad un tasso medio del 4%, mentre il reddito pro capite è cresciuto del 2,7 %. Il tutto si è tradotto in una crescita reale a causa dei tassi di inflazione finalmente contenuti (ma non dappertutto, vedere ad esempio l'Argentina dove l'aumento dei prezzi si è mantenuto in doppia cifra percentuale) e a politiche di bilancio volte ad evitare pericolosi disavanzi che avevano contribuito a creare crisi devastanti come quella del debito pubblico degli anni '80 (definiti non a caso il “decennio perduto”).

Ma perchè l'America Latina ha questa performance sbalorditiva mentre il Vecchio Continente langue nella stagnazione? La risposta principale è che la regione ha tutto quello che serve alla Cina. La longa manus di Pechino è giunta anche qui, non tanto in termini di investimenti come in Africa quanto di commercio. Le materie prime di cui è dotata l'America Latina sono varie e ingenti: basti pensare che il 15% delle riserve di petrolio risiede in questa regione, e che potrebbero anche aumentare alla luce delle recenti scoperte in Brasile e delle esplorazioni che sta conducendo un po'dappertutto il colosso dell'energia Petrobras.

Ma non c'è solo il petrolio: rame in Cile, gas naturale in Bolivia, agricoltura ed allevamento in Brasile ed Argentina. Il Brasile è diventato il primo esportatore di carne del mondo ed è all'avanguardia nella produzione di biocarburanti.

 

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LE CRITICITA' – Il Sudamerica non è diventato di colpo l'Eldorado e non ha risolto con un tocco di bacchetta magica tutti i suoi problemi. Il “boom” economico è ancora eccessivamente dipendente dallo sfruttamento delle materie prime, che sono soggette alla volatilità dei prezzi sui mercati finanziari globali e non consentono un aumento considerevole della produttività del lavoro. Ad aggravare ulteriormente questo punto, pesano ancora i deboli sforzi in ricerca ed innovazione, per cui i Governi dedicano ancora risorse insufficienti. Inoltre, manca una leva fondamentale per lo sviluppo economico, ovvero gli investimenti. Questi ultimi sono legati al tasso di interesse: più è basso, più facilmente gli imprenditori avranno a disposizione capitali da investire. Il tasso di interesse è però generalmente alto nella regione, poiché in tale modo si cerca di comprimere verso il basso l'inflazione. E' come una coperta corta: se tiri da una parte, ti scopri dall'altra. Non si può avere tutto, ma sicuramente l'America Latina è sulla buona strada.

 

I PROTAGONISTI – L'abbiamo già detto e ripetuto, il Brasile è la “stella del Sud” destinato a diventare una grande potenza globale nei prossimi anni. Le elezioni presidenziali in programma fra poche settimane sembrano avere preso una piega ormai definita e lo schieramento guidato da Lula per otto anni dovrebbe continuare al Governo con Dilma Rousseff. Povertà estrema e criminalità elevata rimangono ancora i punti deboli dell'ex colonia portoghese, ma i progressi fatti negli ultimi anni lasciano ben sperare.

Il Messico è l'attore fondamentale in America Centrale, ma a nostro avviso è destinato ad una crescita più lenta e difficoltosa. L'insicurezza e la violenza legate al narcotraffico, così come il legame stretto con gli Stati Uniti, danno meno slancio al gigante centramericano.

Cile e Argentina sono stati definiti i “gemelli diversi”: simili per cultura e popolazione, sono in realtà molto differenti per le performance economiche. Se il primo è ben più dinamico e ha saputo affrancarsi dalla dipendenza dalle materie prime, la seconda è frenata dagli scontri tra gruppi di potere politico (i Kirchner) ed economico (gli agricoltori) oltre che da politiche poco inclini al mercato e all'efficienza.

E il Venezuela? Oscillante tra democrazia e una pericolosa deriva autoritaria, il Paese caraibico è la perfetta espressione della teoria chiamata “maledizione delle risorse”. Il petrolio di cui dispone Caracas è la croce e delizia dell'economia nazionale: non a caso, il Venezuela è uno dei pochi Stati dell'area a trovarsi in recessione.

 

Davide Tentori

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Davide Tentori
Davide Tentori

Sono nato a Varese nel 1984 e sono Dottore di Ricerca in Istituzioni e Politiche presso l’UniversitĂ  “Cattolica” di Milano con una tesi sullo sviluppo economico dell’Argentina dopo la crisi del 2001. Il Sudamerica rimane il mio primo amore, ma ragioni professionali mi hanno portato ad occuparmi di altre faccende: ho lavorato a Roma presso l’Ambasciata Britannica in qualitĂ  di Esperto di Politiche Commerciali ed ora sono Ricercatore presso l’Osservatorio Geoconomia di ISPI. In precedenza ho lavorato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dove mi sono occupato di G7 e G20, e a Londra come Research Associate presso il dipartimento di Economia Internazionale a Chatham House – The Royal Institute of International Affairs. Sono il Presidente del Caffè Geopolitico e coordinatore del Desk Europa

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