In 3 sorsi – La morte dell’afroamericano George Floyd per mano di un poliziotto ha scatenato un’ondata di proteste negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Due le istanze principali che emergono dalle manifestazioni: “no” alla discriminazione razziale e “sì” ad una profonda riforma del corpi di polizia.
1. IL CASO GEORGE FLOYD
Lo scorso 25 maggio l’afroamericano George Floyd è deceduto dopo essere stato trattenuto da quattro agenti della polizia di Minneapolis a seguito del tentativo di acquistare un pacchetto di sigarette con una banconota da 20 dollari presumibilmente contraffatta. I dettagli dell’evento sono ormai noti a milioni di persone in tutto il mondo, che grazie a un video girato da un passante hanno potuto vedere il modo in cui Floyd è stato immobilizzato: sul suo collo il ginocchio di uno degli agenti è rimasto premuto per circa nove minuti, immobilizzando l’uomo a terra e causandone il decesso. Questo eclatante fatto di cronaca si inserisce nel contesto ben piĂą complesso della storia americana e rievoca due essenziali problematiche particolarmente sensibili. La prima relativa al potere delle forze dell’ordine: rendere gli ufficiali di polizia responsabili dei loro comportamenti e perseguibili per questi. La seconda di carattere sociale e razziale: la condizione di disparitĂ tra gli afroamericani e il resto della popolazione caucasica statunitense.
Fig. 1 – Manhattan, NY, un manifestante tiene in alto un cartellone con scritto “Black Lives Matter”, intorno tre ritratti di George Floyd realizzati con i colori panafricani: rosso, nero e verde.
2. CONTRO COSA PROTESTANO?
Secondo l’associazione We The Protesters e il suo database, che mappa le vittime degli scontri a fuoco con la polizia negli Stati Uniti, risulta che nel 2019 siano state uccise dalle forze dell’ordine 1.098 persone, di cui 931 presumibilmente armate o disarmate, con una probabilità per gli individui di colore di essere tra le vittime di questi conflitti di tre volte superiore rispetto ai caucasici. Risulta inoltre che il 99% delle uccisioni perpetrate da agenti di polizia non ha dato origine a condanne per quelli coinvolti. A ciò si aggiunga la disparità economica di fatto esistente tra afroamericani e bianchi residenti negli Stati Uniti: il tasso di disoccupazione, accresciuto dalla recente ondata di Covid-19, risulta doppio tra gli afroamericani rispetto ai bianchi. Piove sul bagnato per una fetta della popolazione statunitense, quella di colore, che in termini assoluti già nel 2018 aveva un reddito medio per famiglia pari a 41mila dollari, contro i 70mila dollari di una famiglia bianca caucasica. Come è stato largamente riconosciuto quest’ultima disparità affonda le proprie radici nella storia dello schiavismo statunitense. Dai tempi della Tratta Atlantica degli schiavi fino al movimento per i diritti civili di Martin L. King, la storia degli afroamericani negli Stati Uniti è stata una continua lotta per vedersi riconosciuti i diritti fondamentali. Fatti come la morte di Floyd non possono che far riaffiorare questo recente passato di lotte sociali, accrescendo il sospetto che il sentimento della supremazia bianca non sia ancora stato totalmente estirpato dal cuore della più grande potenza mondiale.
Fig.2 – Manhattan, NY, una manifestane afroamericana tiene alto un cartellone che dice “Defund the Police” mentre indossa una mascherina
3. WHAT’S NEXT?
Atti di violenza e solidarietĂ si sono mescolati nelle recenti proteste, con la differenza che oggi molti cittadini caucasici sembrano aver aderito alle manifestazioni degli afroamaricani che dicono “no” al razzismo e chiedono una profonda riforma del corpo di polizia. Sono due le evidenze che emergono dai recenti episodi. Prima di tutto molto ancora deve essere fatto negli Stati Uniti in termini di coesione sociale e assistenza alle fasce della popolazione piĂą debole, con programmi di istruzione piĂą mirati e riqualificazione delle aree piĂą degradate. In secondo luogo, mentre molti in preda alla furia della protesta vorrebbero tagliare drasticamente i fondi ai corpi di polizia, deve essere considerato uno studio dell’economista di Princeton Steven Mello, in base al quale piĂą poliziotti non significano automaticamente piĂą sparatorie e piĂą incarcerazioni, ma meno crimini e sobborghi piĂą sicuri. Recenti sondaggi sembrano mostrare che molti cittadini, indipendentemente dal colore della pelle, si lamentano di come i sobborghi piĂą problematici e criminalizzati siano spesso poco sorvegliati dalla polizia. Si potrebbe dunque, al contrario, investire di piĂą sulla formazione degli agenti, concentrandosi sull’apprendimento di tecniche di intervento mirato in situazioni di crisi e di riduzione della tensione in scenari potenzialmente violenti. Si potrebbero migliorare i criteri di selezione degli agenti. In altre parole, contemporaneamente a rendere i poliziotti responsabili per l’uso improprio o eccessivo della violenza o altro genere di condotta disdicevole, riducendo la famigerata qualified immunity, si potrebbe compensarli in termini di una migliore formazione e aumento della qualitĂ e del numero di assunti.
Eleonora Fabbri
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