Dopo aver annunciato il suo ritorno in Honduras, al presidente deposto Zelaya è stato impedito di rientrare. L’evoluzione della situazione nella repubblica centroamericana
DIVIETO D’ACCESSO – E’ trascorsa più di una settimana dal golpe che ha sconvolto la vita politica nella piccola repubblica centroamericana dell’Honduras. Il presidente deposto Manuel Zelaya, costretto all’esilio in Costa Rica, aveva annunciato il suo ritorno in patria, forte dell’appoggio dell’intera comunità internazionale, ma l’aereo che doveva riportarlo nella capitale Tegucigalpa è stato trattenuto in volo per il divieto di atterraggio imposto dall’esercito. Nei giorni scorsi Zelaya aveva ottenuto un sostegno pressoché unanime dagli altri Stati, che lo avevano confermato legittimamente al potere: i gesti più evidenti sono stati la condanna dell’OSA (Organizzazione degli Stati Americani), che ha sospeso l’Honduras dalla membership come era avvenuto decenni fa con Cuba, e il ritiro di numerose rappresentanze diplomatiche. Le condanne formali ricevute dalle organizzazioni internazionali non sembrano tuttavia aver impensierito il presidente ad interim (almeno ufficialmente) Roberto Micheletti, che non sembra intenzionato a consentire il ritorno in Honduras di Zelaya e ha dichiarato di voler indire nuove elezioni nel giro di qualche mese. Intanto nel Paese ci sono episodi di scontri tra i sostenitori dell’ormai ex presidente e le forze dell’ordine.

QUALI SCENARI? – Questi i fatti, dunque. Ma come si potrebbe evolvere la situazione? Il primo livello di analisi è quello che ha avuto più risonanza mediatica ma che è il più superficiale e consiste nella disapprovazione di Nazioni Unite, OSA, eccetera. È noto come in molti casi l’azione delle organizzazioni internazionali non riesca ad avere un’influenza concreta sulle decisioni di uno Stato sovrano. Ad un livello più profondo, occorre invece considerare le forze in gioco nell’area. L’attore principale è il Venezuela di Chávez, che ha manifestato pieno appoggio a Zelaya e ha imposto sanzioni all’Honduras bloccando le forniture petrolifere. Questa mossa potrebbe sortire effetti ben più importanti di una semplice sanzione “morale” da parte della comunità internazionale. Gli Stati Uniti, invece, per il momento si limitano ad intervenire in maniera "soft", con un tentativo di mediazione del Segretario di Stato Hillary Clinton tramite il presidente del Costa Rica Oscar Arìas. Washington ha attualmente altre priorità e non ha interesse a mostrarsi “interventista”, dopo che l’ingerenza sistematica negli affari interni delle nazioni latinoamericane durante la Guerra Fredda ha provocato un sentimento diffuso di antipatia nella regione e la fioritura di regimi spesso ostili. Perciò, una tattica attendista potrebbe essere l’ideale, anche perché se al potere dovesse salire un Governo antagonista del Venezuela per gli Usa non sarebbe poi così male. È indubbio però che l’isolamento in cui si trova attualmente l’Honduras è una condizione difficilmente sostenibile per uno Stato così piccolo e scarsamente dotato di risorse.
Davide Tentori redazione@ilcaffegeopolitico.it