Analisi – Il 12 luglio in Spagna, dopo il rinvio causato dalla pandemia di Covid-19, si sono tenute elezioni regionali in importanti comunità autonome come Galizia e Paesi Baschi. Quest’ultima tornata elettorale in particolare, la prima dopo il formale scioglimento dell’ETA, rappresentava un test cruciale per fotografare lo stato di uno dei più forti sentimenti indipendentisti d’Europa e di come l’emergenza di Covid-19 lo abbia condizionato.
LA STORIA
Il 3 maggio del 2018 resta una data impressa a fuoco nella storia dei Paesi Baschi. Con un video-messaggio viene annunciato lo scioglimento definitivo dell’ETA, organizzazione terroristica e nazionalista che ha condotto decenni di lotta armata a partire dal 1968 per giungere all’indipendenza del popolo basco, causando 822 morti e lacerazioni del tessuto sociale ancora oggi lontane dall’essere rimarginate. La violenza degli abertzale (patrioti, in lingua basca), supportata dal braccio politico Batasuna, ha condizionato per anni il panorama politico basco, conducendo una lotta spietata contro chi non supportasse la causa nazionalista, imponendo prevaricazioni e violenza e spargendo fiumi di sangue tra i cittadini e i politici locali appartenenti al PSOE e al Partido Popular. Sebbene il ricorso alla violenza fosse imputabile solo ad una ristretta minoranza del popolo basco, la causa nazionalista (moderata) ha da sempre raccolto i favori della maggioranza della popolazione, puntualmente concretizzatisi nelle urne con il dominio del Partito Nazionalista Basco (PNV), indipendentista ma opposto all’ETA, centrista ma sufficientemente scaltro da evitare costrizioni ideologiche soffocanti. Un quadro di violenza aggravato dagli omicidi messi in atto dalle milizie paramilitari di estrema destra, nostalgiche del franchismo e insofferenti verso le spinte nazionaliste basche, che hanno aumentato vertiginosamente il numero delle vittime e reso la pacificazione sociale ancora più faticosa. Passata la fase più lugubre della violenza politica, ottenute forme di autonomia sempre più ampie dal Governo centrale, i Paesi Baschi si sono avviati a diventare una delle economie più floride della Spagna, un’oasi di benessere capace di allentare almeno parzialmente la morsa del nazionalismo militante.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Un manifestante espone l’ikurrina, bandiera nazionale basca, a sostegno di militanti dell’ETA detenuti
IL VOTO
Un nazionalismo che nel tempo si è trasferito dal piano delle armi e della violenza a quello della politica. Questo maggior pragmatismo ha prodotto forme più ampie di autonomia, pur conservando uno sguardo fisso all’indipendenza, grazie in parte agli equilibrismi del PNV, sempre molto attento a non scontentare nessuno, e grazie anche al fragore creato negli ultimi anni dall’altro grande sentimento indipendentista mai sopito, quello catalano. In questo quadro le elezioni del 12 luglio per il rinnovo del Parlamento della Comunità Autonoma Basca hanno assunto una rilevanza speciale. Sia perché sono state le prime svolte da quando l’ETA ha cessato di esistere, sia per capire quale possa essere l’impatto di una delle più gravi crisi sanitarie ed economiche della Spagna democratica sul movimento per l’indipendenza basca. Gli esiti del voto, contrariamente alle aspettative di chi pensava che la paura potesse sopire le spinte centrifughe, sono stati in linea di continuità col passato, seppure non scontati da decifrare.
Il Lehendakari (capo del Governo in lingua basca) uscente Iñigo Urkullu, sostenuto dal PNV e in carica dal 2012, si è confermato vincente col 39% dei voti, consentendo al PNV di mantenere il controllo del potere che detiene quasi ininterrottamente dal 1979. Si è confermato anche il buon risultato dei socialisti, che incrementano i loro seggi e proseguono la coalizione di Governo locale proprio con il PNV. Tracollano invece senza appello Popolari, Ciudadanos e soprattutto Podemos. Risalta poi l’ottimo risultato di EH Bildu, formazione della sinistra abertzale, nazionalista, pro-indipendenza e, secondo i suoi detrattori, eccessivamente contigua all’ideologia e agli uomini dell’ETA, che raccoglie 21 deputati e ottiene il miglior risultato dal 2012.
Un voto che sembra dunque premiare la continuità, le politiche sociali del PNV e la collaborazione con il PSOE, che ha importanti riflessi in campo nazionale, con la maggioranza del Premier Sánchez sempre in preda a numeri traballanti. Eppure non c’è mai stato un Parlamento basco così nazionalista. 52 deputati su 75, un’enormità che in altri tempi avrebbe messo in allarme Madrid e gettato nel panico il Governo. Questo nuovo indipendentismo meno secessionista, forse più maturo o forse solo più scaltro del passato, pare però preoccupare meno, ora che la violenza sembra alle spalle e altri indipendentismi e altre paure di tipo economico incombono.
Fig. 2 – Íñigo Urkullu, in carica dal 2012, è stato riconfermato Lehendakari, Presidente della Comunità Autonoma Basca
IL FUTURO DI EUSKAL HERRIA
La pandemia di Covid-19 dunque, e la pesante recessione che si presenta alle porte della Spagna, non sembra aver provocato un forte riavvicinamento tra i Paesi Baschi e il Governo centrale di Madrid, non alterando meccanismi di potere ormai cristallizzati e continuando a spingere, lentamente, in direzione di un nazionalismo più sfumato rispetto al passato, più adulto eppure ancora netto. La crisi deve ancora mostrare tutta la sua potenzialità, è dunque ancora presto per capire se gli effetti finiranno per esasperare le fratture interne alla società basca riaccendendo fuochi mai sopiti, o se la paura finirà per accantonare almeno momentaneamente le spinte centrifughe. Il voto regionale del 12 luglio sembra produrre indicazioni contrastanti. E nonostante l’indipendentismo catalano dreni da anni le attenzioni del Governo spagnolo, molti osservatori si chiedono ancora quale sia il futuro di Euskal Herria (il popolo che parla la lingua basca). Nella terra descritta magistralmente dal romanzo Patria di Fernando Aramburu, best seller che narra la difficoltà di una comunità nel ricucire le proprie ferite, la strada sembra ancora lunga. Impossibile cancellare di colpo il baratro ideologico e politico che fino a pochi anni fa portava a imbracciare le armi, a non rivolgere parola al proprio vicino, a separare famiglie e a lacerare amicizie. Un processo di pacificazione reso ancora più complesso dall’atteggiamento di frange del fronte nazionalista nei confronti dei familiari delle vittime del terrorismo. Non più ignorati o insultati come in passato, ma vissuti comunque con fastidio dai sostenitori dell’indipendenza. Sebbene la lotta armata sia finita e l’ETA solo un fantasma, le strade e i vicoli dei paesini baschi raccontano anche un’altra storia. Fatta di violenza ereditaria, rivendicazioni politiche mai soddisfatte e ferite mai suturate. Una storia fatta di nuovi inizi, ma di ricostruzioni sociali tra vittime e carnefici ancora inesistenti. Tutto pacificato fino ad oggi da una situazione economica e un progresso sociale invidiabili, tutto posto a tacere dall’idea che la politica debba prevalere sulla violenza. Questo fragile equilibrio può essere messo a repentaglio dalla pandemia e dalla crisi economica che ne sta scaturendo, che rischia di riaccendere il fuoco mai spento nelle viscere di Euskal Herria.
Luca Cinciripini
Immagine in evidenza: “Basque Country” by Iker Merodio | Photography is licensed under CC BY-ND