In 3 Sorsi – Nella Repubblica Democratica del Congo l’acqua abbonda, ma non può essere utilizzata: nonostante le ingenti risorse fisiche, infatti, la media delle persone che hanno accesso all’acqua potabile è di gran lunga inferiore a quella dell’Africa subsahariana.
1. IL PAESE SUBSAHARIANO PIÙ RICCO D’ACQUA
La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è caratterizzata da un’ingente quantità di “oro blu”: infatti, oltre al fiume Congo, il secondo più grande al mondo per portata d’acqua, è stata dimostrata – da uno studio condotto nel 2012 da Environmental Research Letter – anche la presenza di una grande riserva idrica sotterranea tra la RDC e la Repubblica Centrafricana. Tuttavia il livello di water security è fortemente sproporzionato rispetto alla disponibilità della risorsa, principalmente a causa di una crescita economica negativa in termini reali che ostacola gli investimenti infrastrutturali di base. Il risultato è che l’accesso all’acqua potabile, nella RDC, è disponibile per il 52% della popolazione, mentre i servizi igienici per un solo 29% – stando a quanto riportato da Global Water. Si tratta di una misura decisamente inferiore alla media della zona subsahariana (60%) e molto lontana dal 90% dell’Africa del Nord.
È da questa condizione che nasce il paradosso idrico nella RDC: il problema non è la mancanza della risorsa, ma un’inefficienza strutturale che non permette di giovarne.
Fig. 1 – Una donna trasporta l’acqua verso casa nel villaggio di Bonde, nella provincia del Congo Centrale
2. LE GUERRE DEGLI ANNI NOVANTA E LA DISTRUZIONE DELLE INFRASTRUTTURE
Nel 1998 la Repubblica Democratica del Congo prese parte alla cosiddetta Guerra mondiale dell’Africa, un conflitto che coinvolse 8 nazioni e numerosi attori non statali. Alla base dello scontro ci furono fattori eterogenei, tra i quali gli strascichi della guerra civile congolese terminata pochi mesi prima, l’accaparramento di risorse naturali e l’instabilità degli equilibri regionali. Alla fine della guerra la situazione era desolante e la disponibilità idrica iniziò a scarseggiare a causa della distruzione delle infrastrutture avvenuta durante il conflitto, tanto che, ad oggi, sono stati registrati più morti a causa della malaria, della dissenteria e di altre malattie connesse alla mancanza di acqua pulita che a causa della violenza.
La situazione si aggrava nelle zone rurali, nell quali la totale assenza di infrastrutture porta la popolazione ad attingere acqua direttamente dai corsi locali – che spesso sono contaminati da rifiuti, batteri e agenti chimici – o dall’acqua piovana ristagnante.
Solo la parte più facoltosa della popolazione può permettersi di acquistare l’acqua imbottigliata, ma a un prezzo molto alto, ossia circa un dollaro al litro: un lusso inarrivabile per una popolazione che, per la maggior parte, vive con 2 dollari al giorno.
È così che anni di conflitto, di mancati investimenti sulle infrastrutture e una popolazione in rapida crescita hanno determinato una progressiva regressione nell’offerta della risorsa idrica, in una nazione in cui l’abbondanza di risorse è una prerogativa fisica.
Fig. 2 – Rifiuti nel Makelele, un corso d’acqua che scorre nella capitale Kinshasa e confluisce nel fiume Congo
3. UN PROBLEMA DI GOVERNANCE
La Repubblica Democratica del Congo è un esempio di come il problema dell’acqua sia caratterizzato da molteplici sfumature che vanno dalla scarsità fisica alla governance. Quest’ultima, in particolare, dovrebbe preoccuparsi di far corrispondere la domanda con l’offerta, di assicurare che ci sia una quantità d’acqua necessaria almeno a soddisfare i bisogni primari, a un costo che le persone possono permettersi e sono disposte a pagare. Il dibattito economico non ha mancato di interrogarsi sul valore economico dell’acqua: già Adam Smith, infatti, aveva portato alla luce il “paradosso dell’acqua”, riferendosi alla differenza tra valore d’uso e valore di scambio e osservando come, in generale, ciò che ha un maggior valore d’uso ha spesso poco o nessun valore di scambio. Se l’acqua sia da considerare alla stregua di un bene economico è una questione aperta, così come se il suo valore possa essere misurato dal prezzo di mercato.
Al di là delle speculazioni teoriche resta l’abbandono di ingenti quantità d’acqua (un bene sempre più scarso anche a causa del cambiamento climatico) all’inefficienza: un’occasione di sviluppo nazionale mancata e che condanna all’insicurezza milioni di persone. Nonostante il problema sia di grandi dimensioni e il settore del water management sia ostacolato da numerosi vincoli, non si tratta di una situazione irreversibile. Il gap tra disponibilità e inefficienza, infatti, può essere sanato attraverso investimenti lungimiranti e riforme governative drastiche che portino il Paese verso il raggiungimento degli standard dell’obiettivo n. 6 dei Sustainable Development Goals (SDGs) individuati dall’ONU, secondo il quale l’accesso all’acqua potabile dovrebbe essere una prerogativa del futuro.
Serena Sonaglioni
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