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Xinjiang, dalla rieducazione politica al sospetto “genocidio” della minoranza uigura

In 3 sorsi – Un nuovo studio relativo alle politiche di controllo demografico potrebbe portare il Governo cinese di fronte alla CPI per rispondere dell’accusa di genocidio.

1. LA RIEDUCAZIONE POLITICA E RELIGIOSA DELLA MINORANZA UIGURA

Dopo essere stata al centro delle critiche internazionali per il tardivo invio di informazioni sulla pandemia di Covid-19 e dopo le tensioni generate dalla recente elaborazione della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, la Cina è balzata nuovamente agli onori della cronaca in seguito alla pubblicazione da parte del ricercatore Adrian Zenz e dell’Associated Press di informazioni che potrebbero portare il Governo cinese a dover rispondere dell’accusa di genocidio di fronte alla Corte penale internazionale (CPI) per il trattamento riservato alla minoranza uigura (perlopiù musulmana).
Gli uiguri sono un’etnia turca prevalentemente concentrata nella regione autonoma dello Xinjiang, nella Cina nord-occidentale. Il Governo cinese, come messo in evidenza da numerose organizzazioni umanitarie, a partire dal 2017 ha radunato oltre un milione di uiguri e altri musulmani turchi dello Xinjiang in quelli che vengono definiti dalle Autorità come semplici “centri di istruzione professionale” per apprendere il mandarino e alcune competenze professionali, al fine di allontanare la minoranza uigura dal terrorismo e dal separatismo. Tuttavia molti esperti sostengono che i soggetti internati in questi campi vengano sottoposti oltre che ai lavori forzati anche a rieducazione politica e religiosa, il tutto mentre i loro figli vengono indottrinati negli orfanotrofi.
Tali pratiche sarebbero la dimostrazione di un tentativo di assimilazione volto a eliminare completamente qualunque specificità culturale della minoranza uigura, mettendo in atto ciò che in molti hanno definito come “genocidio culturale”.

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Fig. 1 – Manifestazione a Istanbul a sostegno della minoranza uigura dello Xinjiang, 27 luglio 2020

2. DAL “GENOCIDIO CULTURALE” AL “GENOCIDIO DEMOGRAFICO”

Un’inchiesta pubblicata lo scorso giugno dall’Associated Press e un recente studio dell’antropologo tedesco Adrian Zenz hanno approfondito nel dettaglio la politica di assimilazione attuata da Pechino, dimostrando come potrebbe essere in realtà errato parlare solo di “genocidio culturale”.
Ai tempi della “politica del figlio unico”, ormai superata, le Autorità cinesi concedevano alle minoranze di avere due figli, con la possibilità per chi proveniva dalle campagne di arrivare anche fino a tre. Con il tempo si è giunti poi a una “politica di pianificazione familiare paritaria”, senza che vi fossero più distinzioni tra etnie. Si stabilì dunque che gli Han cinesi (etnia maggioritaria nel Paese) potessero avere due o tre figli proprio come le minoranze.
Tuttavia tale parità resta solo sulla carta: come riportato dai dati di Zenz, infatti, nel caso di violazione della politica di pianificazione familiare sono prevalentemente gli uiguri a essere vittime di aborti, sterilizzazioni e applicazione forzata di dispositivi intrauterini (IUD).
Come affermato da Zenz: “Questi risultati forniscono la prova più forte che le politiche di Pechino nello Xinjiang soddisfano uno dei criteri di genocidio citati nella Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, vale a dire quello della sezione D dell’articolo II: Misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo“.

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Fig. 2 – Jewher Ilham, figlia dell’intellettuale uiguro Ilham Tohti, condannato al carcere a vita per aver denunciato le politiche repressive di Pechino nello Xinjiang

3. LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE

Nei primi giorni di luglio degli avvocati londinesi hanno presentato alla Corte penale internazionale, per conto di due gruppi di attivisti, la richiesta di avvio di un’indagine volta a verificare se alti funzionari cinesi, tra cui Xi Jinping, possano essere o meno accusati di genocidio e crimini contro l’umanità a causa delle politiche attuate nei confronti degli uiguri. Nella richiesta si afferma che alcuni uiguri sono stati portati nello Xinjiang e sottoposti a torture e abusi dopo essere stati deportati illegalmente dal Tagikistan e dalla Cambogia. Rodney Dixon, l’avvocato alla guida del caso, ha affermato che poiché parte di questi crimini ha avuto luogo all’interno di Paesi firmatari dello Statuto di Roma (che ha istituito la CPI), la Corte è competente a discutere il caso anche se la Cina non ne ha accettato la giurisdizione.
Viene inoltre richiamata la decisione presa dalla CPI in merito alla questione dei Rohingya. Infatti, nonostante il Myanmar non abbia firmato lo statuto, la Corte ha potuto dare il via alle indagini perché i crimini commessi hanno coinvolto il Bangladesh, su cui la CPI invece ha giurisdizione.

Alessandro Di Folco

04.UyghurRights.XiJinping.WhiteHouse.WDC.25September2015” by Elvert Barnes is licensed under CC BY-SA

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Perchè è importante

  • Le politiche relative al controllo demografico messe in atto da Pechino rischiano di portare il Paese davanti alla Corte penale internazionale per rispondere dell’accusa di genocidio.
  • Una recente ricerca effettuata dall’antropologo tedesco Adrian Zenz porterebbe a pensare che nel Paese sia in atto un vero e proprio “genocidio demografico”.
  • Due gruppi di attivisti, rappresentati da alcuni avvocati londinesi, hanno recentemente presentato alla CPI la richiesta di avvio di un’indagine

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Alessandro Di Folco
Alessandro Di Folco

Nato a Roma, classe ’93. Ho conseguito il titolo di Laurea Magistrale in Scienze Politiche – Relazioni Internazionali –  presso l’Università Sapienza di Roma. Collaboro con il Caffè Geopolitico per l’area asiatica, di cui sono particolarmente interessato.

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