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E se la crisi ci insegnasse qualcosa?

La crisi economica globale, che ha colpito il mondo intero nel 2008 ma i cui effetti si sentono ancora, soprattutto in Europa, potrebbe cambiare in maniera decisiva gli scenari internazionali. Ecco un viaggio nel sistema della principale istituzione finanziaria mondiale, il Fondo Monetario, all’interno del quale i Paesi emergenti stanno iniziando a pretendere maggior peso decisionale

CONSEGUENZE DI BREVE PERIODO  – E’ innegabile che questa profonda crisi economica, colpendo le fondamenta stesse dell’Economia Mondiale, si sia dimostrata prova inconfutabile di un problema strutturale nell’organizzazione delle dinamiche globali. Gli economisti si dividono, ma in termini assoluti rimangono i numeri a dare dimostrazione di quanto debole possa risultare la rete di copertura per prevenire le imprevedibili (o prevedibili) variazioni del mercato: tra il 2007 e il 2010 ammonterebbero ad una cifra compresa tra i 3600 e i 4000 miliardi di Dollari le perdite dovute alla crisi, secondo le stime del Global Financial Stability Report del FMI (2009).

NORD E SUD DEL MONDO – Ma come si sono riassestati gli equilibri del mercato globale negli ultimi tre anni? Osservando in questo momento una mappa della crescita reale del PIL a livello globale, ci si accorgerebbe che il Nord e il Sud del mondo sembrano essersi invertiti di ruolo, con picchi del 10% di crescita in Cina, e una crescita compresa tra il 6 e l’8% in India, ed una quasi speculare perdita che arriva al  4% negli Stati Uniti, e sfiora punte del 10% in Russia. Al profondo scossone degli equilibri economici, si accompagna un riassestamento dei poteri, e dunque una ridistribuzione delle competenze nella governance globale. O per lo meno così vorrebbero i paesi delle economie emergenti, cui ovviamente si contrappongono gli interessi ormai consolidati dei paesi del Vecchio Continente. Ed è proprio in quest’ottica che i paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina) chiedono modifiche del sistema di distribuzione di quote del capitale per i membri del Fmi, per poter arrivare ad avere un maggior peso decisionale all’interno di uno dei più influenti, forse il più influente, strumento di decisione e di leva nell’assegnazione di potere economico globale: il Fondo Monetario Internazionale appunto. A queste richieste dei paesi emergenti, gli Stati Uniti rispondono con favore, poiché consapevoli da un lato di non poter più imbrigliare queste potenze emergenti, e dall’altro perché ormai decisi a riordinare le quote di potere sbilanciate a favore dell’Europa.

FMI– Dal maggio del ’46, data di creazione del FMI, moltissimi sono gli avvenimenti che hanno portato ad una riconsiderazione degli assetti economici globali, e benché ci siano stati dei passi verso una ricomposizione degli equilibri interni all’organizzazione, le quote partecipative dei paesi rispecchiano ancora una netta prevalenza di “una parte” degli attori decisionali globali: basti pensare che gli Stati Uniti con i loro 37149,3 milioni di DSP (dove la sigla DSP sta ad indicare i Diritti Speciali di Prelievo, ovvero una sorta di denominatore comune per il calcolo di un paniere tra le diverse valute) possiedono una quota superiore al 17%, e dato che il voto è ponderato rispetto alla la percentuale di partecipazione della quota, e considerando che per le decisioni di maggiore rilevanza servono maggioranze molto alte (dei 2/3 o dei 3/4), di fatto gli Stati Uniti e il blocco europeo hanno potere di veto nelle decisioni in seno al Fondo Monetario Internazionale.

LE PROMESSE DEL G-20 – Tappa fondamentale nell’orientamento delle politiche economiche è stato l’incontro del G-20 di Pittsburgh (settembre 2009) dove si sono decisi alcuni provvedimenti intesi a migliorare le condizioni economiche globali in una nuova ottica di sviluppo più coerente alle attuali condizioni economiche. In particolare, nello statement siglato dai venti paesi nella conferenza, si legge la volontà di “voltare pagina rispetto alla precedente era di irresponsabilità, e di adottare un insieme di politiche, regolamenti e riforme che incontrino i bisogni dell’economia globale del XXI secolo”. Sperando questa non rimanga solo una dichiarazione “d’intenti”, ci sono state promesse specifiche in numerosi settori, a partire dalla lotta alla disoccupazione, ad un generale riordino del comparto bancario, per finire alla lotta alle speculazioni e ad interventi atti ad evitare manipolazioni di mercato.

Ma alla conferenza di Pittsburgh si sono anche trattati temi di più “specifico” riordino degli equilibri capitali.

In particolare al punto 20 della dichiarazione, si legge la volontà di concedere almeno il 5% della quota dei paesi “over-represented” ai paesi in via di sviluppo (definiti “under-represented”) nel FMI e di contribuire con 500 miliardi di dollari per rinnovati e più estesi Borrow Arrangements (NAB, Nuovi accordi di prestito).

Inoltre, si legge all’articolo seguente, la volontà di cedere almeno il 3% del potere di voto dei paesi economicamente sviluppati ai paesi in via di sviluppo, all’interno della Banca mondiale, perché questa assuma il ruolo di “guida nella risoluzione dei problemi globali, sempre in -un’ottica di riordino- dei problemi economici”.

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DAL PUNTO DI VISTA DELL’EUROPA– Analizzando la situazione da un punto di vista europeo, non si riesce a scorgere una posizione comune, tale da permettere all’Europa di negoziare il “forzato ridimensionamento” cui dovrà far fronte. Infatti, benché nel 2009 sia stata avanzata questa proposta, ad oggi i provvedimenti promessi rimangono ancora inattuati, ma sono evidenti le pressioni di Cina e Russia, affinché ciò avvenga prima del prossimo meeting del G-20 a Seul. Ad oggi risulta essere 9 il numero di seggi di rappresentanza europea nel Fmi, ma con il blocco del rinnovo a 24 membri del board del fondo (ad opera degli Stati Uniti) e la prevista riduzione a 20, l’Europa dovrà sicuramente veder ridotto la sua quota di rappresentanti. Benché l’Europa risulti non proporzionatamente rappresentata (tanto che lo stesso presidente del FMI Stras-Kahn ha definito gli europei “lievemente sovra rappresentati in seno al Fondo), è ovviamente restia a concedere ai paesi in via di sviluppo i suoi attuali seggi.

In caso di riduzioni comunque, i seggi tolti all’Europa sarebbero due, e secondo la testata del 24ore, i posti sarebbero tolti dal gruppo di paesi formato da Italia, Spagna, Belgio, Olanda e Danimarca, seggi che andrebbero in rotazione con una delle constituencies emergenti.

COME DISSE SENECA –  Aliena vitia in oculis habemus, a tergo nostra sunt (Abbiamo davanti agli occhi i vizi degli altri, i nostri invece ci stanno dietro). Sicuramente spetta agli stati membri dell’Unione Europea prendere coscienza delle nuove e mutate condizioni sociali ed economiche globali. In quest’ottica sarebbe opportuna una posizione comune, per un rafforzato spirito di coesione interna all’Unione, perché essa si possa affacciare al Mercato mondiale come un unico blocco compatto. Anche da parte degli altri attori economici globali è richiesto uno sforzo affinché vi sia chiarezza sulla questione, e perché la crisi possa rappresentare anche un momento di crescita costruttiva, e al suo termine essa presenti una società migliore e più equa di quanto non lo fosse prima.

Samuele Poletto

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