Caffè lungo – Lo scorso agosto l’FMI ha autorizzato un prestito di circa $1,2 miliardi per Islamabad, sbloccando la settima e ottava tranche dei fondi previsti nell’ambito del programma Extended Fund Facility (EFF) e fornendo così gli aiuti tanto necessari al Paese che è alle prese con una grave crisi economica aggravata da massicce inondazioni.
INIEZIONE DI LIQUIDITĂ€… E FIDUCIA
L’estensione dell’Extended Fund Facility (EFF), annunciata dall’ex Ministro delle Finanze Miftah Ismail poche settimane prima delle proprie dimissioni, ha salvato il Pakistan, che era sull’orlo del default. Il Piano di aiuti da $6 miliardi, intende(va) sostenere un programma di riforma economica per dare il via ad una crescita sostenibile, obiettivo che ancora oggi sembra ben lontano.
Il Paese è alle prese con una crisi economica e politica senza precedenti, esasperata dalle peggiori inondazioni dell’ultimo decennio, che si stima abbiano causato danni per almeno $5 miliardi. Le riserve valutarie detenute dalla State Bank of Pakistan (SBP) diminuiscono a un allarmante ritmo di $300‑400 milioni a settimana a causa di inflazione alle stelle e aumento dei costi energetici, scendendo a $8 miliardi, valore-soglia che garantirebbe la copertura delle importazioni per una sola mensilità . Il debito estero continua a crescere.
Il salvataggio autorizzato dall’FMI non sarà in ogni caso sufficiente a far uscire il Pakistan dalla crisi, ma incoraggerà altre Istituzioni internazionali a impegnarsi con il Paese e a sbloccare ulteriori finanziamenti. In particolare ci sono già impegni a investire per altri $12 miliardi da parte di Cina, Arabia Saudita, Qatar e Emirati Arabi Uniti.
Fig. 1 – Motociclisti in fila per acquistare benzina presso una stazione di servizio a Karachi prima del temuto aumento del prezzo del carburante
LA STORIA SI RIPETE
Proprio come il Governo Khan nel 2018, anche l’esecutivo Sharif si è rivolto all’FMI per fare i conti con la grave crisi economica. Una dinamica tutt’altro che nuova per il Paese asiatico. A partire dagli anni Ottanta il Pakistan ha infatti partecipato a oltre 20 programmi di salvataggio, di cui almeno una decina negli ultimi 15 anni, la maggior parte dei quali sospesi poiché incapaci di raggiungere gli ambiziosi obiettivi prestabiliti o perché paralizzati da instabilità politica.
GiĂ nel 2012 Ehtisham e Azizali, ex consiglieri dell’FMI, enfatizzavano come Islamabad, il Fondo stesso e altri partner strategici non avessero alcun reale incentivo nell’introdurre riforme per affrontare i problemi strutturali del Pakistan, e porre fine a questo ciclo di salvataggi senza fine. Le ripetute iniezioni di liquiditĂ non sono infatti riuscite a risollevare le sorti del Paese, in quanto sempre subordinate alla richiesta di rigorose misure fiscali che si sono tradotte in aumento della pressione fiscale sui cittadini, combinata con drastici tagli alla spesa pubblica in settori chiave quali trasporti, infrastrutture, sanitĂ e sicurezza. Anche questa volta, per approvare l’ultimo finanziamento l’FMI ha chiesto al Pakistan di aumentare le tariffe dell’elettricitĂ e del carburante, eliminare molti sussidi e lasciare che il mercato determini il valore della rupia, giĂ in caduta libera.
Fig. 2 – Passeggeri su un treno della metropolitana Orange Line (OLMT) di Lahore, progettato e costruito nell’ambito del corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC)
TOO ‘IMPORTANT’ TO FAIL
Nel corso degli anni il Paese è stato tenuto a galla attraverso generosi programmi di aiuto internazionali e benefattori stranieri. Prima grazie all’alleanza con gli USA durante la guerra fredda e la lotta al terrorismo, poi con l’entrata in scena della Cina.
Lo stesso FMI ha concesso al Pakistan molteplici ristrutturazioni dei prestiti e una serie continua di deroghe. L’ultima cosa che si desidera è il crollo di uno Stato dotato di armi nucleari.
Nonostante i rapporti si siano inaspriti, resta poi inverosimile che Pechino possa lasciar fallire il Paese vicino alla luce dell’impegno nell’ambito del Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC). Un eventuale default non danneggerebbe solo Islamabad ma l’intera Belt and Road Initiative (BRI), manifesto della politica estera ed economica della Cina a livello globale.
Forti di essere “troppo importanti per fallire”, priorità dei Governi pakistani è stata quindi quella di garantire il rilascio della prossima tranche di aiuti, piuttosto che incoraggiare piani di sviluppo economici e riforme fiscali. Ma la situazione sta diventando sempre più difficile da controllare: il divario tra le spese per il mantenimento dello Stato e le entrate continua a crescere e gli alleati strategici stanno ricalibrando la loro politica nei confronti di Islamabad, riducendo o bloccando gli investimenti esteri.
Come affermato da Uzair Younus, direttore di Pakistan Initiative presso il South Asia Center del Consiglio Atlantico, affinché il Pakistan possa intraprendere un piano di sviluppo a lungo termine gli aiuti esteri devono essere investiti in “progetti incentrati sulle persone” e devono essere mobilitate risorse interne per lo sviluppo delle infrastrutture. Solo così il Paese potrà ripartire e crescere nel lungo periodo.
Jacopo Genovese
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