Lo scorso 21 ottobre a Città del Messico, il CNTE, secondo sindacato del Paese dei lavoratori dell’educazione pubblica, ha marciato sino al Palazzo legislativo federale della capitale per presentare circa 200mila ‘amparos’ (forma di protezione giuridica) contro le leggi secondarie che compongono la riforma del sistema educativo, promossa dal presidente Enrique Peña Nieto. La marcia de “los maestros” è solo la punta di un iceberg che affonda negli abissi più profondi di un Messico scosso da proteste, scontri e manifestazioni. Un Paese che ha un bisogno disperato di rinnovare la propria scuola pubblica, corrotta e abbandonata a se stessa, ma che non sa come salvarla.
I MAESTRI DI OAXACA – Città del Messico, luglio del 2013, un tardo pomeriggio d’estate inoltrata, l’aria è umida, carica di pioggia, Allo Zócalo, la piazza principale, una schiera di uomini in divisa impedisce l’entrata al Palacio Nacional. Poco lontano si stende un accampamento di tende: sono i maestri di Oaxaca che protestano contro la nuova riforma dell’educazione. Un gruppo di cittadini dall’età compresa tra i 25 e i 60 anni discute animatamente durante quello che sembrerebbe un banchetto improvvisato. Sono seduti a terra, sull’asfalto, e indossano jeans e magliette ormai logore, tute da ginnastica di seconda mano. Oaxaca è uno degli Stati più poveri del Paese, alcune scuole lì non hanno neanche la luce elettrica e i maestri questa riforma non la possono proprio accettare.
IL ‘PACTO POR MEXICO’ – Il 2 dicembre del 2012, all’indomani del proprio arrivo al Governo, il presidente Enrique Peña Nieto riunisce, nel Castello di Chapultepec, a Città del Messico, i rispettivi rappresentanti dei principali partiti politici del Paese. L’occasione è quella della sottoscrizione del Pacto por Mexico, un accordo nazionale che comprende, tra i suoi punti, una riforma del sistema educativo destinata a rinnovare l’intero apparato della scuola pubblica.
I DATI UFFICIALI – Secondo l’annuale rapporto dell’OCSE, il panorama educativo messicano sta subendo un progressivo, seppur lento, miglioramento. Tutti i bambini di età superiore ai 4 anni sono ormai integrati nel sistema scolastico e il 44% dei giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni ha un diploma di scuola media superiore. Tuttavia, la percentuale di spesa governativa per studente risulta di gran lunga inferiore ai risultati attesi. La maggior parte delle risorse economiche destinate al sistema educativo, infatti, sono impiegate per pagare i docenti e il personale di servizio, mentre la mancanza di una regolamentazione nell’assegnazione delle cattedre favorisce ancora il proliferare di una sorta di “mercato nero” dell’educazione.
La disuguaglianza, sociale ed economica, che caratterizza i diversi Stati del Paese, infine, influisce pesantemente sullo sviluppo del sistema educativo che, in alcune regioni, deve spesso scontrarsi con la mancanza di beni di prima necessità (acqua, medicinali, elettricità, etc.).
LA RIFORMA DEL 2013 – Il Governo del nuovo presidente Peña Nieto sembrerebbe così voler far fronte alle carenze del sistema educativo messicano con una riforma che riguarderebbe, in prima persona, gli insegnanti. L’assegnazione delle cattedre, infatti, sino a ora delegata al SNTE, il sindacato nazionale per i lavoratori dell’educazione, sarà oggetto di un concorso pubblico al quale potranno accedere solo i candidati che rispettino il profilo stabilito dalle Autorità competenti. Tutti gli insegnanti di ruolo, inoltre, saranno sottoposti a valutazioni periodiche e obbligatorie che dovranno essere superate entro un limite di tre tentativi, pena la perdita del posto e il ricollocamento del docente alle funzioni amministrative. Delle valutazioni e dei relativi risultati si occuperà infine l’INEE, l’Instituto Nacional para la Evaluación de la Educación, che non renderà pubblici i posizionamenti in graduatoria dei singoli docenti, ma si limiterà a redigere delle stime per ogni istituto scolastico.
LE REAZIONI DEI SINDACATI – Dal suo primo giorno di vita, la riforma educativa proposta dal Governo priista (dal nome del PRI, Partido Revolucionario Institucional) non ha avuto vita facile. Elba Esther Gordillo, fino al febbraio del 2013 Presidente del SNTE, primo sindacato del personale impiegato nell’educazione pubblica, aveva annunciato «una resistenza pacifica», salvo poi essere arrestata con l’accusa di malversazione e delinquenza organizzata. Ben più duri, invece, erano stati i toni del CNTE, istituto sindacale sorto nel 1979 in opposizione al SNTE, che negli ultimi mesi ha mobilitato, attraverso manifestazioni e occupazioni, gruppi sempre più cospicui di “dissidenti”.
«Questa riforma non c’entra nulla con l’educazione», spiega al quotidiano locale “La Jornada” una maestra dello stato di Michoacán, che partecipa all’occupazione dello Zócalo da circa un mese. «Non siamo contrari alla valutazione, ma non può essere standardizzata per tutto il Paese, viste le enormi differenze che separano uno Stato dall’altro. Se si vuole realmente una riforma del sistema educativo, allora bisogna iniziare dai beni primari: dalle aule, alle quali spesso manca anche la luce elettrica, dalle lavagne, dalle strutture insomma. È inutile imporre l’uso dei computer quando manca l’elettricità».
«In alcuni Stati, – afferma un maestro dello stato di Oaxaca nel corso della stessa intervista, – ci sono dei livelli di sviluppo minori a quelli dei Paesi dell’Africa sub-sahariana. Con il concetto di autonomia amministrativa, il Governo sta delegando tutta la propria responsabilità sul rinnovo strutturale delle scuole alla popolazione locale».
Se da un lato il SNTE, dopo l’arresto della Gordillo e la nomina al vertice di Juan Diaz de la Torre, sembra aver cambiato rotta concedendo il proprio appoggio all’esecutivo, dall’altro lato, come emerge dai comunicati stampa più recenti, il CNTE mantiene la sua ferma opposizione. «Non siamo contrari all’essere valutati, però vogliamo un sistema di valutazione che non sia punitivo, che tenga conto di tutti gli aspetti, compreso quello delle infrastrutture».
LO SCETTICISMO DEGLI ACCADEMICI – Il mondo accademico, da parte sua, non rimane indifferente al dibattito sollevato dalla riforma: il professor Manuel Gil Antón, ricercatore del dipartimento di Scienze Sociali del prestigioso Colegio de Mexico, rivela, nel corso di un’intervista, tutto il proprio scetticismo in merito alle presunte innovazioni che la riforma dovrebbe apportare.
«In questa riforma manca un orizzonte educativo: considerare i professori l’unica causa del malfunzionamento del nostro sistema non modificherà la situazione attuale. L’unica cosa che succederà sarà che il Governo potrà recuperare il controllo del Magistero che era stato ceduto al sindacato». Riprendendo la linea del CNTE, Antón afferma: «Si sta confondendo una riforma educativa con quella che risulta essere alla fine una riforma del lavoro. […] Mancano informazioni su come procedere per avanzare nella propria carriera di docente. […] La fretta legislativa non ha fatto onore alla complessità del problema. Questo dovrebbe essere un trampolino di lancio per una vera riforma educativa, ma, oggi, a mio avviso, si tratta solo di cambiare chi controlla i professori».
Concludendo, il prof. Antón ribadisce quindi la propria perplessità: «Il mio sguardo è quello di uno scettico: non condivido né la maniera di comportarsi del CNTE, né la violenza dei mezzi di comunicazione, che sono arrivati a una sorta di razzismo contro i professori e incitano ad azioni di forza. Tra questi due poli manca lo spazio per pensare realmente la riforma».
SCONTRI E INCONTRI – Dallo scorso agosto, il CNTE mantiene la propria presenza nella capitale messicana attraverso l’occupazione di alcune zone strategiche della città quali, appunto, lo Zócalo. Il 13 settembre, in prossimità dei festeggiamenti per l’indipendenza del Paese, violenti scontri sono avvenuti tra gli occupanti e le Forze dell’Ordine, incaricate di disperderli. Da allora, la presenza del CNTE si è spostata in un’altra zona del centro cittadino, attorno al Monumento a la Revoluciòn. Alcuni dirigenti del sindacato, tuttavia, hanno chiesto d’incontrare il 29 ottobre il segretario del Governo federale per intavolare una trattativa e negoziare, eventualmente, la propria presenza nel centro della città. Intanto, il 10 settembre scorso, l’iter legislativo della riforma si è concluso con la promulgazione da parte del presidente Peña Nieto delle tre leggi che la compongono: la Ley General de Educación, la Ley del Instituto Nacional para la Evaluación de la Educación e la Ley General del Servicio Profesional Docente.
La risposta del sindacato non ha tardato ad arrivare e il 21 ottobre sono stati presentati, secondo le stime della CNN, circa 200mila amparos, una sorta di protezione giuridica che dovrebbe tutelare, in questo caso, il diritto al lavoro degli insegnanti e frenare l’applicazione della nuova riforma.
Per la scuola pubblica messicana, quindi, l’agonia non è ancora finita.
Benedetta Cutolo