Il “golpe” appena verificatosi in Honduras riapre scenari di instabilità politica che non si presentavano in America Latina da diversi anni. Che farà ora il Venezuela di Chávez, amico del Presidente deposto Zelaya?
NO AL REFERENDUM – Forse non tutti lo sanno, ma “golpe” è una parola spagnola. Significa “colpo”: colpo di Stato appunto. Non è un caso se molti, nel mondo, utilizzano questo termine: i numerosi rivolgimenti al potere che caratterizzarono l’America Latina dal Dopoguerra fino alla fine degli anni ’80 hanno fatto sì che “golpe” entrasse a far parte anche di altre lingue. Tuttavia, sembrava che la stagione dei colpi di Stato nel sub-continente fosse terminata. E invece no: il Presidente dell’Honduras, Manuel Zelaya, è stato deposto dall’esercito e trasferito in Costa Rica. Al suo posto, per ora, è salito al potere il Presidente della Camera, Roberto Micheletti. Le ragioni dell’intervento militare stanno nel tentativo di Zelaya di ottenere, tramite referendum, la possibilità di ripresentarsi ad libitum alle elezioni, modificando la costituzione così come hanno già fatto il venezuelano Hugo Chávez, suo principale alleato, e l’ecuadoregno Rafael Correa.
I CONTI SENZA “L’OSTE” – Zelaya tuttavia deve aver peccato di eccesso di sicurezza. Se Chávez e Correa sono riusciti ad ottenere la facoltà di essere rieletti in eterno, è perchè il loro potere si poggia su basi indubbiamente più salde. In Honduras, invece, è chiaro che l’esercito non sta dalla stessa parte del leader appena deposto. Zelaya è stato eletto democraticamente nel 2005 professandosi “liberale”, ma ha poi virato a sinistra aderendo al “socialismo del XXI secolo” di cui il caudillo venezuelano è la principale espressione.
LE REAZIONI NEL MONDO – Praticamente tutti gli Stati si sono affrettati a condannare il golpe militare: anche gli stessi Stati Uniti hanno espresso la loro disapprovazione, allineandosi in questo caso al Venezuela. La Casa Bianca ha però detto esplicitamente di auspicare che non vi siano “interferenze dall’esterno”: un messaggio abbastanza chiaro rivolto a Caracas, che ha annunciato il possibile ricorso all’esercito se non verrà ripristinata l’autorità di Zelaya. Due sono dunque gli schieramenti, che nella fattispecie si intersecano come due rette perpendicolari. Da una parte, la maggior parte della comunità internazionale non può esimersi dal condannare l’evento in quanto contrario alla legalità. Dall’altra, il Venezuela rischia di perdere un alleato nella regione. Certo è che in questo momento una ripresa dell’instabilità nel continente latinoamericano non gioverebbe a nessuno.
Davide Tentori 29 giugno 2009 [email protected]