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Storia ed evoluzione del JSOC statunitense (II)

Miscela Strategica – Continuiamo a parlare dell’evoluzione del Joint Special Operations Command, dalla fine della guerra in Iraq a oggi.

 

(Rileggi qui la prima parte dell’analisi)

 

L’ERA PETRAEUS – Nel contesto mediorientale il comando divenne strumento e bastione di supporto alla strategia controinsurrezionale attivata su input del generale David Petraeus nel biennio 2007-2008, in particolare perchĂ© il progetto di dispiegamento di truppe tra la popolazione locale permetteva di raccogliere in modo ancora piĂą estensivo quelle informazioni che erano divenute così rilevanti nel modo di operare delle truppe di Ă©lite. Ciò consentiva anche alle unitĂ  convenzionali di dimostrare agli iracheni, ora considerati chiave per vincere la battaglia contro gli insorti, che gli Stati Uniti erano in grado di eliminare le maggiori fonti d’instabilitĂ  e pericolo. Di conseguenza si può affermare che la strategia COIN si dimostrò di successo anche grazie al notevole impulso offerto dal JSOC, capace di decuplicare letteralmente il numero di raid mensili (che raggiunsero le svariate centinaia) e di mettere le reti terroristiche in condizione di non nuocere. Sostanzialmente la campagna controterroristica si configurò valida e necessaria alleata di quella controinsurrezionale.

 

NUOVE FRONTIERE – Un ulteriore mutamento al suo interno, o meglio nel suo impiego, iniziò a verificarsi verso la fine del comando di McChrystal, quando il JSOC espanse sempre piĂą la zona delle operazioni anche al di fuori dei due maggiori campi di battaglia, l’Iraq e l’Afghanistan. Si era, infatti, giunti in una situazione in cui il Governo USA riteneva che la minaccia terroristica si fosse espansa come metastasi anche in aree periferiche o secondarie sino a quel momento. In particolar modo ci si può concentrare su tre paesi: Pakistan, Yemen e Somalia.

 

IL PAKISTAN – Lo Stato pakistano entrò nel mirino in quanto santuario delle milizie talebane (che trovavano rifugio nelle montagnose regioni di confine). Da sottolineare come sotto la Presidenza Bush, il comando eseguì un raid tramite truppe elitrasportate nella regione del Waziristan. Tuttavia a causa delle vibranti proteste del Governo di Islamabad per lo sconfinamento in territorio sovrano, tale missione rimase l’unico esempio d’intervento diretto. L’eccezione, com’è ben capibile, si verificò la notte tra il 1° e il 2 maggio 2011, quando si decise di intervenire per mettere fine alla vita del “nemico numero uno”, Osama Bin Laden, nascosto nel fortino di Abbottabad. Sotto il comando del vice ammiraglio William McRaven, unitĂ  DEVGRU entrarono nello spazio aereo pakistano e svolsero la loro missione senza neanche informare l’alleato locale. Per ovviare alle possibili accuse di aver perpetrato un atto di guerra (truppe che colpiscono uno Stato non belligerante), la scappatoia legale che fu approntata fu di “trasferire” gli uomini del team sotto il controllo della CIA, che per sua natura ha l’autorizzazione a svolgere operazioni coperte.

L'ideologo
L’ideologo

LO YEMEN – Altro fronte che in quest’ultimo decennio ha visto il JSOC coinvolto fortemente è stato lo Yemen. Con il suo territorio montagnoso e desertico, la bassa legittimitĂ  e capacitĂ  di controllo governativa e l’ottima posizione geografica a cavallo tra Africa e Penisola arabica, lo Yemen ha offerto notevoli margini di manovra alle cellule terroristiche di Al-Qaeda, che non a caso hanno costituito il gruppo regionale piĂą potente e pericoloso tra tutti quelli che si richiamano al brand originale. Al-Qaida nella Penisola Arabica (AQPA), infatti, ha sempre avuto l’obiettivo di rovesciare il Governo yemenita, ma anche di colpire gli Stati Uniti e i loro alleati, visti come supporter dei regimi mediorientali e nemici dell’Islam. I programmi operativi del comando si sono avviati in loco sin dai giorni immediatamente successivi all’11 settembre per svariate ragioni (non si tralasci che bin Laden avesse buone connessioni, per le sue origini e per il precedente dell’attacco del 2000 alla “USS Cole”), per poi crescere esponenzialmente sotto il comando di McRaven, che ampliò ancora di piĂą le metodologie di lavoro del predecessore e le espanse a livello globale, creando un network tra tutte le task force esistenti, in modo da far convergere le informazioni raccolte e metterle a disposizione di qualsiasi altro “consumatore”. Il nuovo elemento portante di tale metodo era il “pacchetto” dedicato al singolo bersaglio, ovvero una sorta di dossier onnicomprensivo contenente tutte le informazioni possibili su di un individuo e le connessioni esistenti tra questo ed eventuali altri soggetti. Ciò risultava essere estremamente utile in quanto permetteva, contemporaneamente, di colpire singoli soggetti con precisione e di disarticolare intere porzioni di un gruppo tramite eliminazioni “intelligenti”. In Yemen, in ogni caso, l’arma piĂą devastante comparsa nell’arsenale fu il drone: come detto in precedenza, il JSOC era divenuto autonomo utilizzatore di tali piattaforme grazie a un programma analogo a quello guidato dalla CIA in Pakistan. Tramite tali mezzi sono stati eliminati (in particolar modo dal 2011 in poi) un numero crescente di terroristi, i cui principali esponenti sono stati Anwar al-Awlaki, predicatore e ideologo yemenita-statunitense, e Samir Khan, ispiratore del magazine terrorista “Inspire”.

LA SOMALIA – L’ultima frontiera dell’impegno del comando è l’Africa, in particolar modo la Somalia. Ricordiamo che tale Stato (se così si può ancora definire) è da decenni preda di guerre civili che hanno distrutto sia le infrastrutture che il tessuto sociale, nonchĂ© reso il terreno preda di conquista per i gruppi estremistici islamici locali (come al-Shabaab) e internazionali (come al-Qaida). La vicinanza con lo Yemen non ha fatto altro che destare l’attenzione degli Stati Uniti, che hanno messo in luce la possibile collaborazione tra i due soggetti e il deprecabile mutamente dell’organizzazione somala in un elemento in grado di colpire nella regione e anche su scala globale. Ciclicamente il Governo a stelle e strisce ha deciso di eliminare target considerati strategici, ma sempre con un intervallo tra uno e l’altro. L’esempio piĂą significativo è stato l’operazione che ha portato uomini del DEVGRU a uccidere nel settembre 2009 presso la cittadina costiera di Barawe il noto militante Saleh Ali Saleh Nabhan, sospettato di essere un fundraiser di al-Qaida coinvolto negli attentati del 1998 in Kenya e Tanzania.

“Il mietitore”

Dal settembre 2013 alla fine del mese di ottobre si è assistito a quello che pare un cambiamento di rotta marcato, probabilmente in quanto il JSOC è riuscito a convincere il Presidente Obama della necessità di un atteggiamento più aggressivo, anche in seguito all’attacco condotto dai somali nel centro commerciale di Nairobi. Lampanti esempi sono stati il fallito raid contro un leader di altissimo profilo degli Shabaab nella città di Barawee e l’attacco con droni che ha portato all’uccisione di Ibrahim Ali, il più importante bombmaker del gruppo, avvenuto il 28 ottobre. Il futuro probabilmente riserverà altre operazioni di questo tipo.

LO STATUS ATTUALE – In definitiva va ricordato come l’importanza di tale comando sia divenuta grandissima nell’ambito militare statunitense, così come la sua influenza (basti dire che l’ammiraglio McRaven ora guida il SOCOM, incaricato di gestire tutte le SOF degli Stati Uniti e relative operazioni), anche se molti commentatori l’hanno accusato di eccesivo uso della forza e di metodi illegali (il riferimento è ai primi anni del conflitto iracheno, con l’inchiesta a Camp Nama) e d’essersi trasformato in una “killing machine”.

Manifesto del comando potrebbe essere la frase pronunciata dal generale McChrystal all’indomani della presa di coscienza di un cambiamento necessario in Iraq e dell’inizio della caccia a Zarqawi: «Non basta limitarsi a combattere una guerra, bisogna combatterla per vincerla».

 

Luca Bettinelli

 

Operazioni Speciali: esempio di ricognizione a lungo raggio in Iraq – Fonte: U.S. DoD


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Luca Bettinelli
Luca Bettinelli

Mi chiamo Luca, ho 28 anni e mi sono laureato in Relazioni Internazionali presso l’UniversitĂ  Statale di Milano con una tesi riguardante il Pakistan e la questione etnico-politica all’interno dei suoi confini.

Sono appassionato di geopolitica, soprattutto se applicata al contesto del mondo islamico in generale, anche se, per la veritĂ , ho un interesse piuttosto forte per tutto ciò che ruota attorno all’Iran ed alla parola Persia. Inoltre ho una notevole fascinazione nei confronti delle tematiche attinenti al mondo militare e della sicurezza in generale, sebbene da bambino non abbia mai giocato con i soldatini.

Oltre a ciò mi ritengo un lettore accanito ed onnivoro, un’amante del cinema e un gran tifoso della squadra di basket della mia cittĂ ,  l’Olimpia Milano.

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