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Il vero ‘pepe’ dell’Uruguay è Mujica

Si parla poco dell’Uruguay. Eppure la piccola Repubblica sudamericana è un interessante laboratorio politico e sociale. Artefice dei grandi cambiamenti in atto è José “Pepe” Mujica, Presidente dal passato nei tupamaros che oggi tenta di coniugare l’uguaglianza sociale con un discreto sviluppo economico.

 

COME IL BRASILE? – Il piccolo Stato dell’Uruguay ha avuto una storia travagliata tipica delle democrazie sudamericane. Governi autoritari, dittatura militare dagli anni Sessanta fino agli Ottanta inoltrati. E come l’ingombrante vicino brasiliano è riuscito infine a partorire una Presidenza figlia del periodo di lotta. È così anche per José Alberto “Pepe” Mujica Cordano, arzillo quasi ottantenne Presidente della Repubblica uruguaiana dal 1° marzo 2010.

Ma le analogie si fermano qui. L’Uruguay oggi è forse una mosca bianca della politica internazionale. Il continente latino-americano offre un panorama vieppiù molto variegato di regimi politici, (quasi) tutte democrazie stabili. Ma “Pepe” Mujica è lontano dal populismo del defunto colonnello Chávez e ora di Maduro, non si occupa (perché non ne ha bisogno) di questioni etniche, né persegue la demagogia plebiscitaria di Evo Morales. E non rappresenta oligarchi, non segue la Kirchner (che definì “vecchiaccia”), né i poveri lavoratori di Lula ieri e di Dilma oggi.

 

PEPE IL CONTADINO – “Pepe” Mujica viene da lontano, dal carcere. Tredici anni di vita, di cui sette in isolamento totale («Senza neanche leggere un libro», ebbe a dire). Anche il piccolo e fertile Uruguay ha avuto la sua dittatura militare. Una volta liberato, Pepe ha continuato a svolgere l’attività che preferisce, gestire la propria fattoria insieme alla moglie (senatrice e in questi giorni Presidente della Repubblica ad interim perché le cariche più alte di lei sono all’estero). Non si è vendicato, non ha chiesto la testa di nessuno. Ferito sei volte in scontri armati, è stato deputato, poi senatore e nel 1999 ministro per l’Allevamento e l’Agricoltura. Il Frente Amplio da lui fondato nel 1971 è l’organizzazione politica di sinistra che guida il Paese.  È diventato senatore quasi senza volerlo e poi si è ritrovato addirittura Presidente della Repubblica. Nessuna tentazione di deriva antidemocratica, nessuna revanche; Cuba, e i sogni di gioventù che ne erano intrisi, è ormai lontana.

La notizia straordinaria è che questo ex guerrigliero è arrivato al potere proprio per mettere in pratica l’insegnamento dell’eroe per eccellenza del Sud America, il cacicco meticcio Tupac Amaru, ben descritto da Eduardo Galeano (Las venas abiertas de América Latina, Montevideo, 1970); nessuno schiavo, nessun padrone. Il concetto d’ispirazione marxista-leninista è stato ripreso dai tupamaros uruguagi di cui don Pepe fu guida e ci fa capire subito a quale fine tende la sua azione politica e statuale: l’uguaglianza. Applicata al senso pratico. Il contributo che questo Presidente ha portato allo Stato è di straordinaria importanza soprattutto nel campo dei diritti civili.

 

TRA PROGRESSISMO E CRITICHE – Da Paese cattolico e conservatore, in poco più di tre anni la piccola Repubblica atlantica è divenuta un interessante laboratorio socio-politico interessantissimo. Per contrastare il narcotraffico ha recentemente legalizzato la coltivazione e il commercio di marijuana, che sarà venduta a fini terapeutici da agenzie autorizzate dallo Stato: «La tossicodipendenza è una malattia e come tale va curata, il narcotraffico è un crimine e va combattuto». Il prezzo sarà popolare, un dollaro al grammo.

Le critiche più feroci sono arrivate con la liberalizzazione dell’aborto nelle prime dodici settimane: cattolici oltranzisti si sono uniti ai latifondisti e all’oligarchia nell’odio verso il Presidente. Era il settimo tentativo di regolamentare la spinosa materia dal ritorno del regime democratico, afferma  “La Diaria”.

Mujica completa la sua personalità istituzionale low-profile pensando a un’altra emergenza sociale; gli omosessuali. Dallo scorso aprile il piccolo Uruguay (è grande come metà dell’Italia) è divenuto il secondo Paese dell’America Latina e il dodicesimo nel mondo, a permettere le nozze gay. La profondità dell’impegno civile ha fatto meritare a Montevideo l’appellativo di “Olanda del Sud America”.

Mujica ha permeato profondamente la società e lo Stato delle sue idee progressiste, al punto di essere definito da “El Paìs” come «leader di un nuovo radicalismo a bassa intensità». Ad alimentare l’identificazione completa tra il leader e il popolo è arrivata la notizia del pieno spirito di servizio: il Presidente vive nella sua casa, da lui costruita, di 45 metri quadrati; rinuncia allo stipendio (nel senso che il 90% lo devolve ad associazioni umanitarie); non ha la scorta; ha una macchina del 1987. Ma allo stesso tempo conserva la praticità della realpolitik e ristabilisce buone relazioni con il vicino argentino. Non solo, al Summit sull’ambiente di Rio denuncia con forza e passione, ma senza cravatta come sempre, i guasti del consumismo imperante, realizzando anche un record di visualizzazioni. Un personaggio degno di un film di Kusturica, che infatti sta pensando di girare una pellicola su di lui.

 

Una veduta di Montevideo, capitale dell'Uruguay
Una veduta di Montevideo, capitale dell’Uruguay

E L’ECONOMIA? – Da un punto di vista economico Mujica ha fatto quello che poteva, niente di trascendentale. L’Uruguay ha circa 3 milioni e mezzo di abitanti, la metà a Montevideo. L’industria è praticamente relegata al ruolo di trasformatore delle materie prime agricole del Paese, dirette per lo più verso i vicini Brasile e Argentina. Sono diffuse le colture agrumicole e la vite, con un buono sviluppo della zootecnia da carne. Le immense praterie, regno dei gauchos, ospitano bovini di ottima qualità. Fonte di guadagni è la lavorazione della lana e del cotone, ma si stanno sviluppando il turismo e l’industria metallifera, pur in assenza di materie prime.

Il presidente Pepe sarà ricordato per aver personificato un modello di sviluppo sociale e civile che non ha uguali nel continente e che potrebbe essere accostato a democrazie più antiche e consolidate. Mujica si appresta a diventare un eroe nazionale, il leader nel quale la popolazione (non tutta ma quella che è più in difficoltà) si incarna. Ricorda molto quanto avrebbe voluto essere Fidel Castro e quanto, fatte le dovute differenze, Perón ha rappresentato per gli argentini. Unisce la lotta per i diritti sociali all’uguaglianza e cerca di dare una scossa progressista al proprio Paese, senza però disinteressarsi dell’economia o lasciarla a derive nazional-populistiche. Insomma, un vero leader che, nel bene e nel male, lascerà la propria impronta nella storia.

 

Andrea Martire

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Andrea Martire
Andrea Martire

Appassionato di America Latina, background in scienze politiche ed economia. Studio le connessioni tra politica e sociale. Per lavoro mi occupo di politiche agrarie e accesso al cibo, di acqua e diritti, di made in Italy e relazioni sindacali. Ho trovato riparo presso Il Caffè Geopolitico, luogo virtuoso che non si accontenta di esistere; vuole eccellere. Ho accettato la sfida e le dedico tutta l’energia che posso, coordinando un gruppo di lavoro che vuole aiutare ad emergere la “cultura degli esteri”. Da cui non possiamo escludere il macro-tema Ambiente, inteso come espressione del godimento dei diritti del singolo e driver delle politiche internazionali, basti pensare all’accesso al cibo o al water-grabbing.

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