Miscela Strategica – Riforme radicali come quelle affrontate dalle Forze Armate russe non si avviano senza che siano avvenute profonde riflessioni sulla natura delle nuove esigenze alle quali rispondere: le capacità che contraddistingueranno il nuovo sistema russo, i documenti ufficiali e le dichiarazioni non sembrano smentire ciò. Le minacce cambiano e a esse si adegua l’apparato militare. Quali sono queste nuove minacce? Ve lo spieghiamo.
RIEPILOGO – Le nuove Forze Armate russe operano avendo la brigata (eccetto le truppe aviotrasportate) come unità principale, in una gerarchia di comando su tre gradi: distretto militare, armata, brigata. Tutto ciò permette una maggiore vicinanza dei vertici alla zona delle operazioni, garantendo meno burocrazia e più velocità nella ricezione degli ordini. Sul campo di battaglia agiscono nel concreto i battaglioni, ottima soluzione quanto a capacità di dispiegamento di forza, specie contro insorti, gruppi terroristici e nei conflitti di nuova generazione. La riduzione nel numero di effettivi è accompagnata dall’aumento degli stanziamenti per l’addestramento e lo sviluppo e aggiornamento dell’equipaggiamento in dotazione.
QUESTIONE DI PERCEZIONI – Le capacità di dispiegamento rapido che i soldati russi stanno acquisendo, l’enfasi sugli aspetti informativi e sulle nuove caratteristiche dei conflitti che si riscontra nei documenti quali la “Dottrina militare della Federazione russa”, pubblicata nel 2010, l’attenzione per gli aspetti tecnologicamente più evoluti della guerra (cyberwarfare, armamenti di precisione, elettromagnetici, laser, droni) sono tutti sintomi della presa di coscienza di Mosca su quali sono le minacce che devono essere realmente fronteggiare: conflitti caratterizzati da asimmetria, rapidi sia nell’esplosione, sia nella conduzione e con nemici di non facile identificazione (lezione già appresa dagli Stati Uniti), dove l’efficienza nell’ottenimento di informazioni è fondamentale e il vantaggio tecnologico contribuisce enormemente al successo. Le nuove dimensioni dell’apparato militare dicono che il Cremlino non si aspetta più conflitti con un vasto impiego di uomini su campi di battaglia smisurati. Il confronto militare non sarà più quello contraddistinto da eserciti di massa contro l’avversario storico rappresentato dalla NATO.
PERICOLO VS MINACCIA – Si deve chiarire un punto: nella dottrina militare russa viene operata una distinzione fra “minaccia militare” e “pericolo militare”. La prima è definita come «uno stato di relazioni interstatali o intrastatali caratterizzato dalla reale possibilità dello scoppio di un conflitto militare tra parti opposte e da un elevato grado di prontezza nell’utilizzo della forza militare (o violenza armata) da parte di un dato Stato (o gruppo di Stati) o di un’organizzazione separatista (o terrorista)». Il secondo termine (“pericolo militare”) è così inteso: «Uno stato di relazioni interstatali o intrastatali caratterizzato da un’aggregazione di fattori capaci di condurre, in certe circostanze, all’emergere di una minaccia militare». Dunque la “minaccia militare” è ciò che per i russi può essere l’anticamera del conflitto e porta con sé rischi maggiori di un “pericolo militare”.
LE MINACCE – Ciò che emerge è la percezione di una minaccia da quelle che in alcuni studi specialistici in lingua inglese vengono definite “southern threats”. Minacce, nell’accezione appena descritta del termine, e “meridionali”, perché provenienti dalla parte sud di quello che è lo spazio ex sovietico (Asia centrale e Caucaso in particolare). Queste minacce possono concretizzarsi non solo in conflitti interstatali, specie in seguito a drastici deterioramenti delle relazioni, come nel 2008 con la Georgia, ma anche (e forse soprattutto, secondo i timori delle alte sfere moscovite) nell’attività di gruppi terroristici e/o separatisti con base nei territori adiacenti ai confini della Federazione, se non addirittura al loro interno. Ed è a queste minacce, con le proprie peculiarità nell’utilizzo della forza, che i soldati russi sono oggigiorno chiamati a rispondere. Si deve ora applicare ciò che Mosca aveva già appreso negli anni Ottanta dalla guerriglia afghana, ingestibile dal vecchio apparato militare sovietico.
QUALE RUOLO PER LA NATO? – La NATO non è comunque uscita dai pensieri dei policy-maker russi. Sebbene non sia più considerata l’avversaria di un tempo, l’Alleanza e le sue politiche sono classificate come “pericolo militare” (suscettibile quindi di tornare a essere una minaccia). L’attuale ridimensionamento degli effettivi dell’apparato militare e il focus che si concentra su altre forme di minaccia indicano che il Cremlino non si aspetta un confronto militare con l’Alleanza atlantica, almeno nel medio periodo. Permane tuttavia il pericolo che Mosca avverte nella NATO, dovuto all’ambizione di questa di trasformarsi da alleanza regionale ad alleanza i cui scopi e interessi si estendono all’intero globo. Ancor più che tale fattore della politica dell’ex avversario, a impensierire sono i suoi tentativi di espandersi nell’area ex sovietica, il cosiddetto “Blijnee Zarubejie” (“Near Abroad”), che è vista da Mosca come un’area in cui i propri interessi devono essere privilegiati rispetto a quelli di qualsiasi altra potenza o alleanza. L’espansione può considerarsi sia come installazione di nuove basi, sia come inserimento nel blocco atlantico di nuovi Stati (i cui primi passi possono essere le famose “rivoluzioni colorate”, tanto osteggiate infatti da Mosca). Le risposte ai tentativi di allargamento nel “Near Abroad” non mancano, si vedano le recenti pressioni sull’Ucraina in merito alla firma di un trattato di libero scambio con l’UE, il conflitto in Georgia (nel quale tuttavia rientrano anche altre dinamiche) e le fortissime pressioni sul Governo del Kyrgyzstan per la presenza di una base dell’Aviazione americana nei pressi della capitale Bishkek (base che dovrebbe essere chiusa entro luglio 2014).
NEMICI-AMICI – Le tensioni che si creano tra Russia e NATO (USA in particolare) sono solo parte del quadro delle relazioni tra il colosso euroasiatico e gli “atlantici”. L’espansione verso Est dell’Alleanza, l’eccessiva assertività atlantica, registrata soprattutto durante l’Amministrazione Bush, e la diatriba sullo scudo missilistico esasperano gli animi del Governo moscovita. Ciò perché la Russia vede rigettate le proprie ambizioni di partnership da eguale con chi viene percepito come il proprio parente più prossimo in un mondo sempre più diviso da tensioni basate su diversità ideologiche, culturali e di “civilizzazione”. Importantissimo a tal proposito è ciò che Rogozin, allora rappresentante russo presso la NATO, dichiarò nel febbraio 2010: «Dobbiamo semplicemente rendere insensibile la nostra memoria alle rivalità del passato e capire che solo insieme gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Russia sono in grado di salvare la civiltà settentrionale dalla decadenza politica e dalla scomparsa, sotto la carica di nuove culture meridionali […]. Esistono infatti forze influenti nel crudele e fragile mondo di oggi che gettano dubbi sul nostro diritto alla vita. E per loro, noi, russi, americani ed europei, abbiamo tutti la stessa faccia». Al di là della retorica di Rogozin, è chiaro però che i russi sono alla ricerca di una cooperazione con gli avversari del passato: collaborazione soprattutto nella lotta al terrorismo di matrice islamica, avvertito come altamente destabilizzante per gli equilibri di certe aree della Federazione a prevalenza musulmana (si ricordi la disponibilità russa in merito alla vicenda degli attentatori della maratona di Boston), nella stabilizzazione delle aree di crisi (Medio Oriente, Corea) e nella creazione di un sistema di sicurezza comune in Europa. Ma il muro contro cui spesso si scontrano le proposte di Mosca creano nel Cremlino la percezione di essere declassati a potenza sconfitta e subordinata ai vincitori della Guerra Fredda, alla quale non vengono riconosciuti i legittimi interessi (specie nel “Near Abroad”) e le esigenze di sicurezza (come nell’opposizione al progetto russo di uno scudo missilistico comune), che spetterebbero invece a un grande potenza quale essa stessa si identifica.
PER CONCLUDERE – La riforma delle Forze Armate di Mosca è quindi una risposta alle minacce provenienti in primo luogo non più da Ovest, bensì da quell’area di interessi russi corrispondente allo spazio ex sovietico, oggigiorno a forte rischio di instabilità interstatale e intrastatale. Un’area intesa come fondamentale per il rilancio del ruolo russo a livello globale e nella quale gli interessi di Mosca non possono essere salvaguardati senza un adeguato strumento militare a supportarli. In questo quadro, il ruolo della NATO sarebbe quello di partner di ugual rango in una cooperazione finalizzata all’ottenimento di stabilità e alla creazione di un’area di sicurezza comune nel continente europeo. La tendenza dell’Alleanza atlantica a vedere nel Cremlino un ex nemico sconfitto e a escluderlo dalle occasioni di riflessione sui temi evidenziati permette però il permanere delle tensioni e induce quindi Mosca a rifiutare di declassare USA e alleati europei oltre lo stato di “pericolo militare”.
Matteo Zerini