Diplomazia o attacco militare: queste sono le due opzioni oggi considerate per impedire all’Iran di costruire la bomba atomica; eppure nessuna appare avere sufficiente efficacia. In questo articolo, il primo di due, evidenziamo quale altra opzione esista e come essa si stia evolvendo lontano dai riflettori.
DIPLOMAZIA O GUERRA? – L’opinione comune è che esistano sostanzialmente due modi per evitare che l’Iran si doti dell’arma nucleare. In primo luogo vi è la via diplomatica, un mix di incentivi e sanzioni che porti la leadership di Teheran a rinunciare agli usi bellici fornendo sufficienti garanzie. In alternativa esiste l’opzione militare, presumibilmente una serie di bombardamenti aeronavali eseguiti da Israele e/o USA che danneggi o distrugga gli impianti nucleari coinvolti e rallenti il programma di almeno una decina d’anni. Tuttavia il primo è considerato inefficace, poco incisivo e non sta dando i risultati sperati; il secondo è invece temuto per le conseguenze diplomatiche e l’instabilità – o peggio – che potrebbe portare all’intera regione, in particolare nel caso il conflitto si allarghi.
Esiste tuttavia un’altra opzione, poco pubblicizzata anche se attualmente già in corso, e che pur basandosi sull’uso della forza la impiega in maniera mirata e nascosta.
GLI EVENTI – Le prime avvisaglie di un conflitto sotterraneo si sono avute nel 2007 con la sparizione del Generale Ali-Reza Asgari in Turchia. Asgari era stato un membro importante dell’intelligence iraniana in Libano e Iraq e oppositore di Ahmadinejad che si ritiene sia stato reclutato da intelligence occidentali, disertando quindi prima di essere scoperto dal VEVAK (il servizio segreto di Teheran). In seguito l’Institute for Science and International Security di Washington ha rivelato come la scoperta dell’impianto di Fordow vicino a Qom e altre informazioni sul programma nucleare iraniano siano stati ottenuti tramite dati racchiusi in un portatile esportato in segreto da uno scienziato coinvolto nei lavori.
Più recentemente l’intero sistema industriale iraniano è stato oggetto di un virus informatico chiamato “Stuxnet”, che ne ha parzialmente compromesso l’attività , con oltre 60.000 computer dichiarati infetti – anche se si sospetta la cifra possa essere più alta. Tale virus appare aver colpito anche i sistemi del reattore nucleare di Busher ed è forse alla base di un calo del 15% nel numero di centrifughe funzionanti nel sito di Natanz, secondo quanto riportato dall’AIEA. In tali occasioni le agenzie stampa iraniane hanno in seguito annotato l’arresto di alcuni scienziati accusati di essere spie per USA e Israele.
Il caso più recente si è invece avuto proprio durante la visita di Ahmadinejad in Libano; con l’attenzione mondiale rivolta al Paese dei Cedri, il 14 ottobre 2010 una serie di esplosioni ha colpito i sotterranei della base Imam Ali nelle montagne dello Zagros, considerata una delle installazioni missilistiche iraniane più avanzate e protette. Secondo le informazioni trapelate (pur senza conferme ufficiali) potrebbero essere stati colpiti numerosi lanciamissili normalmente destinati al vettore iraniano Shahab-3, capace di raggiungere Israele.
QUALE EVOLUZIONE? – Tutti questi eventi hanno in comune la caratteristica di colpire il potenziale umano e materiale coinvolto nel programma nucleare iraniano e le sue eventuali applicazioni belliche, senza tuttavia provocare particolari reazioni diplomatiche. In alcuni casi tali eventi sono stati rivelati con giorni o anche mesi di ritardo dalle autorità locali, poiché per Teheran di fatto costituiscono un’ammissione della propria incapacità di proteggere i propri assets più importanti. Allo stesso modo la natura di tali operazioni di sabotaggio e spionaggio non permette alla leadership iraniana di puntare il dito pubblicamente contro un avversario particolare; mancano infatti spesso le prove di chi sia il responsabile.
Se da un lato questo mette in imbarazzo l’Iran, dall’altro rimane comunque difficile valutare la reale efficacia di tale strategia. Teheran tende a minimizzare i danni subiti, eppure i rapporti di intelligence fatti filtrare al pubblico su alcuni siti specializzati indicano l’introduzione di significativi ritardi ed ostacoli alla normale attività di arricchimento dell’uranio e alla capacità missilistica a lungo raggio. Questa strategia può evitare un conflitto più grande? Il problema nel rispondere a tale domanda risiede appunto nella scarsa conoscenza degli effetti provocati. E’ necessario esaminare infatti quale impatto essi possano avere sul programma nucleare iraniano.
(continua)