Il sabotaggio può servire a fermare il programma nucleare iraniano senza far scoppiare un conflitto aperto? Ecco la seconda parte dell’analisi sulla guerra segreta in atto contro l’Iran, nella quale presentiamo gli scenari sul tappeto. Una guerra convenzionale sembra l’ipotesi piĂą remota e rischiosa, ma le potenze occidentali hanno meno fiducia nell’ipotesi di poter fermare Teheran senza far ricorso all’uso della forza.
SABOTAGGIO – Fermare il programma nucleare iraniano in assoluto richiederebbe la distruzione di tutti gli impianti ad esso collegati e l’eliminazione di gran parte degli scienziati. Solo un attacco sistematico su larga scala può raggiungere un tale risultato. Pertanto l’obiettivo rimane rallentare il processo di ricerca per almeno una decina d’anni, tempo ritenuto sufficiente per portare Teheran ad accettare una soluzione diplomatica o sviluppare contromisure piĂą efficaci.
In tale ottica le operazioni di sabotaggio già svolte non appaiono ancora sufficienti. Lo spionaggio ha fornito informazioni preziose sul programma ma le sanzioni economiche che ne sono derivate, come già accennato, non appaiono decisive. Il sabotaggio invece ha colpito solo limitatamente: è stato registrato un calo nel numero di centrifughe funzionanti a Natanz da 4920 in Maggio 2009 a 3772 in Agosto 2010 (-23% su un totale di circa 9000), dovuto a difficoltà tecniche forse causate proprio da ingerenze esterne; tuttavia il numero di quelle rimaste operative è risultato comunque superiore agli anni precedenti. Analogamente il virus informatico Stuxnet ha colpito pesantemente l’economia iraniana ma non ha bloccato il continuo arricchimento dell’uranio. Pertanto anche se si può ipotizzare un ritardo di 1-2 anni rispetto a stime precedenti (che ponevano il raggiungimento della bomba a fine 2010), il termine ultimo appare comunque molto vicino. Analogamente lo start-up del reattore nucleare di Busher, per quanto ritardato più volte, appare ora imminente.
EFFICACIA – Al momento il sabotaggio non può dunque assolvere altro che una funzione palliativa; sarebbe necessario conseguire risultati eclatanti in breve tempo, come la distruzione di almeno l’80-90% delle centrifughe e l’uccisione della maggior parte dello staff scientifico. Diminuirebbe così drasticamente la capacitĂ di arricchire grandi quantitĂ di uranio in breve tempo, allungandone notevolmente i tempi. E’ comunque presumibile che ora le misure di sicurezze vengano innalzate e per quanto altri attacchi siano possibili, potrebbero non essere piĂą possibili azioni maggiormente incisive.
L’attacco alla base missilistica mostra invece attenzione verso un altro aspetto del problema: l’apparato bellico iraniano. La distruzione delle rampe di lancio dei missili Shahab-3 contribuisce infatti a eliminare l’unica minaccia a lungo raggio che possa colpire Israele a partire da territorio iraniano. Questo ragionamento è valido sia per diminuire la capacità di Teheran di contrattaccare in caso di bombardamento preventivo dei siti nucleari, sia perché priva la repubblica islamica dei principali vettori ove montare un’eventuale futura testata atomica.
ATTACCHI CONVENZIONALI? – E’ interessante notare come in entrambi i casi questo indichi da parte occidentale una scarsa fiducia nei tentativi di fermare il programma iraniano con tecniche meno cruente. Risulta indicativa invece della necessitĂ di ideare e mettere in atto una strategia che risponda a scenari di conflitto causati da bombardamenti sull’Iran o, in caso estremo, a un “day-after”, ovvero a come reagire a Teheran nel caso dichiari di aver finalmente raggiunto l’arma nucleare. In tale scenario, il conflitto convenzionale appare ancora piĂą rischioso e maggiormente da evitare, mentre le azioni sotterranee delle forze speciali e dei servizi segreti diventano ancora piĂą rilevanti.