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Evviva il terremoto!

Il planetario aquilano e i suoi mondi distrutti. Il Pianeta Sisma e la sua costellazione di borghi e migranti. Tante le similitudini tra questo contesto e quello dell’esilio, dell’apolidia, dell’espatrio; di una vita, così com’era pensabile nel quotidiano, che per troppe sfumature non  ci sarà ancora. Questo mese la rubrica ci porta verso un Altro estremo: percepibile, narrabile, ma estraneo  all’empatia della completa comprensione.

“Onna era un segreto magnifico, i cui conoscitori rispettavano, nel tentativo di preservare il paese da intrusioni che ne avrebbero alterato la qualità arcaica di un territorio inesplorato”. Onna è una frazione del comune dell’Aquila, poco più di trecento abitanti, Un borgo incantevole e microscopico. Onna, quanti sapevano cosa e dove fosse, prima del 6 Aprile 2009? Invece, fulminea, è una colonna di polvere che si innalza da case in pezzi. Di tutti i tasselli dell’aquilano, è il più frantumato, quello che riporta il maggior numero di vittime per numero di residenti (circa quaranta, per lo più ragazzi, su 310 abitanti):il luogo simbolo di tutti i luoghi simbolo del terremoto 2009 che hanno oscurato la realtà di un territorio intero distrutto. Onna, oggi. Un cumulo di detriti e pietre accatastate, una sull’altra (nella foto in basso un'immagine del paese dopo il terremoto). Un paese che non esiste più, di fatto, che è ridisegnato e reinventato da chi ancora la vive.

Pasquale ha perso due figlie, quella notte; Edmondo due sorelle: “Benedetta, chesfidava la logica dell’impossibile, aveva il sole dentro” e Susanna,”un futuro magnifico(…) riusciva a essere presente rendendosi invisibile”. Il palcoscenico di un terremoto ha per protagonista soprattutto il dolore, prima di tutte le emozioni e le figure che riesce a far interagire. Da questo, dal Noi motivante d’apertura di questa serie da otto racconti cucita nel libro, gli autori “provano a immaginare e descrivere situazioni, fatti e persone per cui “Ci voleva il terremoto!” affinchè potessero migliorare o rivelarsi per quello che realmente sono”. Ecco il motivo della scelta di questo e non di altri innumerevoli prodotti letterari seguenti il sisma: il desiderio e la forza di narrare quello che è accaduto e che nessuno potrà negare, parlando di speranza, “che in questo momento fa fatica a prevalere nei nostri cuori”, di chi è riuscito a interrompere un pianto rovesciato su se stesso e a non arrendersi.

L’opera, mobile sulla linea di demarcazione tra fiction e non fiction, si compone di tanti personaggi comuni, della loro vita quotidiana, di avvenimenti semplici intrecciati a quello di durata così breve che li ha completamente sconvolti, distrutti e rimodellati nel medesimo vivere Post, laddove il latino del prefisso ha preso atto della morte del prima senza avere certezza alcuna sulla forma del dopo. C’è Giuseppina, con la sua misantropia rappresentata da un cancello alto e scuro, venuto su in una sola notte; il piccolo Pippo, il brontolio del suo stomaco e il suo amore per il mare; Nicola, contadino erudito e introverso, i suoi piccoli tic e una nuova scansione delle ore, che gli dà la possibilità di farsi ascoltare; Buono e la scoperta intempestiva del gentil sesso; Paolo, ligio alle regole e alla nicotina. C’è la Germania e il suo debito storico, il senso di colpa mai rimarginatosi per l’eccidio che nel giugno del 1944 costò la vita a diciassette cittadini onnesi:una storia della Storia fagocitata nel caos della guerra mondiale, al grandangolo molto simile a quelle inghiottite dalla Terra oggi, tornata alla memoria e ai media grazie all’impegno promesso dai tedeschi per la ricostruzione del borgo (il primo contributo concreto della solidarietà e del lavoro svolto dall’Ambasciata è “Casa Onna”,centro civico di aggregazione sociale inaugurato lo scorso ottobre).

C’è Pietro, una vita speculare al sostrato narrativo che la contiene. Ci sono Dada, Lola, Dora e Camilla, razza canina, felina e rettile declinata al femminile, con cui Benedetta aveva impreziosito il suo nucleo familiare, insieme al vicino di casa Sirè: pregi, vizi e aneddotti a mostrarli nel quotidiano, che quella notte l’hanno vissuta al pari degli uomini, fuggendo, ferendosi, arrampicandosi sui cumuli di detriti e “mugolando in un punto ben preciso”.

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Nessun colpo di scena, nessuna strumentalizzazione del dolore e delle crepe personali delle vittime degli eventi, che sono anche i sopravvissuti. Nessuna esposizione e scelta stilistica che avrebbero, e di fatto hanno, trovato spazio sui giornali e in televisione, dall’immediato della diretta straordinaria. Nessuna denuncia da realismo giornalistico, nemmeno una polemica taciuta, per quanto questo specifico scenario postmigratorio ne abbia bisogno come pochi altri. La lingua scarna, docile, modellata secondo le caratteristiche del luogo che rievoca, non ha pretese barocche, non ha guizzi letterari che non si confarebbero allo scopo della narrazione e della lettura. La capacità di Pasquale e di Edmondo è quella di colpire al cuore senza bisogno di spettacolo, senza creare pathos raddoppiato dall’invenzione.

La forza di opere come questa, la capacità di ridare voce alle pietre e ai cittadini, la combattività di chi non si è arreso al previsto imprevedibile nell’Europa Occidentale dell’ennesimo millennio, rende valore alla scritta che campeggiava sulle lacrime del mondo nel giorno dei funerali, sul piazzale della Scuola della Guardia di Finanza: Nec recisa recedit. “Neanche spezzata recede”, tradurrebbe compiaciuto Nicola.

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