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"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

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Allunaggio di un immigrato innamorato

Terza puntata con la nostra rubrica letteraria Il mondo dei mondi. In questa rubrica trattiamo di mondi “diversi”, con il filo conduttore del tema della migrazione. Una rubrica che ci aprirà gli occhi sull'”Altro” e ci darà nuovi punti di vista. La terza opera recensita è "Allunaggio di un immigrato innamorato", un viaggio tra Brianza e Romania, tra scenari padani e ricordi rumeni…

Mihai e Daisy, il rumeno e la cameriera leghista. Questa è una storia d’amore, paradossale e impossibile, avverte la quarta di copertina; eppure accaduta davvero all’io narrante e autore. Questo è il suo journal, sull’amore e sul suo essersi ritrovato scaraventato -per propria scelta- in un paese straniero, dove la lingua ha fortissime affinità con quella madre, entrambe romanze. Per questo la sua ironica analisi sull’amore e sulla sua donna si intreccia a una riflessione sottostante, costante e profonda, sulla realtà che vive. “Michele”, si innamora della ragazza ma anche di questo nuovo “pianeta” in cui l’ha incontrata, di cui mira a far parte, immettendovi però se stesso e il pianeta da cui la sua astronave è partita tempo prima: la Romania del 1991, scheggia rossa del sud dell’est Europa, schizzata dall’implosione del colosso sovietico e ritrovatasi ingarbugliata in un indefinito meccanismo democratico marchiato dall’imprinting del regime di Ceaucescu. La storia è quella tipica a tutte le rivolte popolari che hanno stravolto il mondo nel 1989: Ceaucescu venne arrestato in Dicembre e processato per crimini contro lo stato e fucilato il giorno di Natale, insieme alla moglie Elena. Ma, è noto, non bastano tutte le positive istanze di un popolo affinchè si manifesti la democrazia: l’ “America”non si plasma nell’immediato.

Le disparità sociali si intensificarono ulteriormente e l’emigrazione a Ovest divenne inevitabile, dettata dalla necessità più che dal sogno. L’immigrazione romena è diventata la più alta in percentuale nel belpaese, a braccetto con quella albanese. Ma di rumeni l’Italia non parla, se non nelle pagine di cronaca: ubriachezza molesta, stupri, occupazione di fabbriche abbandonate, risse. “ Ma la Romania all’estero non è soltanto questo! Ai compleanni regalo libri di Eliade, Cioran, Istriati, Tzara (…)E qualcuno dice sorpreso: “Pensavo che il primo fosse inglese e gli altri francesi”. Ha importanza? (…)”. Mihai parte soprattutto per studiare e tra Monza e Milano approfondisce l’umanesimo che ha sempre coltivato da autarchico; confronta il “proprio” con il “resto” per costruire un “intero” levigato dalla sua persona. Daisy è la creatura che gli serve birra al Moon, affascinata dall’aria di mistero che gli vede addosso e dalle rotazioni della sua penna. Tutti lo chiamano il poeta, lì. Lo credono italiano, ma l’ indagine di lei lo porta all’ammissione identitaria: romeno, nello specifico transilvano:“ Lo sapevo io che c’era qualcosa … Raccontami dei vampiri. E’ vero?”. Le datazioni delle pagine diaristiche parlano del 1994, anno in cui in Italia risuona il “La” per un movimento che attacca il “giù” del Paese, gli extracomunitari, che organizza corsi estivi e parla di ronde notturne. E che quindici anni dopo diventerà la forza politica di Governo di maggior peso. Ma a “Michele” non importa: “l’inquietudine che ho nel cuore è per averti incontrata o perché ho aspettato troppo?”. Scorre la scrittura, e intreccia il suo amore viscerale agli esami di italiano; a feste padane in ville brianzole, dove “la povertà lessicale di “cioè” e “raga” compensava il lusso della casa”; a file romene –“senza alcun ordine”- al Consolato; a gare di rap in campeggio con gli amici, rievocazioni personali e storiche intrise degli effluvi del luppolo; a premi assegnatigli e poi ritirati dall’imbarazzo dei giudici, scoperta la sua provenienza –tra cui la menzione speciale per “lo stile vivace e coinvolgente con cui ha saputo descrivere la Brianza antica e moderna, ricca di tradizioni d’umanità”…. Questi sono i momenti in cui Butcovan si rende un “campione esemplare” della letteratura italiana della migrazione.

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L’ “uso della lingua” sbalordisce il lettore. In realtà è tipico di chi si impossessa del linguaggio dell’altro “prima nei pensieri e nei sogni, poi nella scrittura”, di chi lo interseca continuamente con la propria lingua madre e lo lascia uscire come razionalizzata ma spontanea espressione nelle sue relazioni. L’ironia è la prima caratteristica che si rileva. Sardoniche e pirotecniche le parole di Mihai. La pagina d’apertura lo vede riportare le espressioni con cui Daisy lo ha descritto e insultato nella sua ultima lettera, rigorosamente in ordine alfabetico: “amante sillogistico, barbone da promemoria tributario, bodyguard con un solo pallino… quello degli studi filosofici, corvo dell’interculturalità, dandy senza patente, fidanzato da Oktober Fest, iena bibliotecaria, marxista sessuomane, palestrato da osteria, parassita fotocopiatore, poeta da corte marziale, pseudocomunista che sputa sul proprio encefalogrammma, robocop del terzo mondo,romeno da carodiario, rubacuori con la chiave inglese, seminarista viziato e vescovo mancato, terrone romeno di radici neolatine (questo però te lo avevo spiegato io!), transilvano da crociera, vampiro birraiolo. Tira il fiato!”. Una padronanza da autore madrelingua, unita allo stupore della scoperta delle parole altre, lo porta a elencare tutti i luoghi comuni sulla figura rappresentata suo malgrado. Crea calembours di alta fattura, accostando lingue “nazionali” all’italiano popolare: “ cercare sul vocabolario famiglie di parole e fare piccole riflessioni sui significati(…)Scrivo: fiche = gettoni francesi:che bello averli sempre in tasca! Riflessioni da single. La fica è come l’allergia:se non ce l’hai non sai né che esiste né come è fatta. La fica è come un albero:con l’innesto diventa ibrido. Dalla sua radice nascono parole come “grafica”(gracchiante), “benefica” (ma anche buona)”, “serafica(fiche al tramonto)”, “raffiche(quelle della Royal Air Force) o “ficcanaso (sognare di essere Cyrano de Bergerac o Gerard Depardieu”. Così fa Mihai. Senza mai sfiorare la volgarità, accostandosi al livello popolare dell’italiano (uno dei suoi “maestri letterari” è Trilussa).

Cultura pop che lo appassiona: il calcio, quel Brescia scelto per spirito patriottico, “diventato colonia romena per calciatori in disuso” – chi ricorda Hagi?; l’inserire gettoni nel jukebox per ascoltare la canzone sanremese di Faletti. E il controcanto dei luoghi comuni italiani: la curiosità per Dracula e l’entusiasmo per Ramona Badescu. “L’osservatore romeno ”-così si definisce Butcovan – guarda con lo stesso occhio i connazionali delle sue radici e quelli d’adozione. Diverte moltissimo la “scena già vista” che descrive al consolato romeno: la coppia, “il muratore della bassa, baffi biondi e capelli lungi per compensare la pelata, pancia traboccante sul cinturone all’americana -ricordando Verdone, emigrato di ritorno dalla Germania -, accompagnato dalla solita tettona romena, plurisposata, pluridivorziata, pluriconsumata in patria dai patrioti, pluritruccata e monossigenata, valacca informata in osteria sulla fame di sesso di certi italiani non più giovani ma molto facoltosi”, di cui immagina dal principio la costruzione di un amore. Butcovan ci regala un punto di vista di rarefatta bellezza sull’agrodolce realtà migratoria di quella che nel tempo è diventata l’emigrazione più discriminata tra i nostri confini, accostandola al fattore padano che vi crea una doppia linea di discrimine. Senza averne l’intenzione e senza polemizzare. Con una prosa raffinata che nel 2003 è valsa a questo romanzo il primo premio sezione narrativa al concorso “Voci e Idee Migranti”. Una prosa che rapisce e disincanta; che lascia il dubbio: “su questo atlante scaduto troverò mai le mie origini?”.

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