A Buenos Aires il peso è in caduta libera rispetto al dollaro, l’inflazione è oltre il 25%, la crescita sta rallentando. Il calo del prezzo delle materie prime mette in crisi un modello economico fondato sulla svalutazione. La scarsa fiducia dei mercati finanziari internazionali e il rischio-contagio
Questa analisi e’ stata pubblicata originariamente su “Limesonline”
COME NEL 2001? – L’Argentina non viveva un evento economico così scioccante dal dicembre 2001, tristemente noto per i cacerolazos nelle strade e il default sul debito estero, preludio della pesantissima recessione che fece sprofondare quasi metà della popolazione sotto la soglia di povertà. Il 23 gennaio 2014 il peso, la valuta nazionale, ha perso in una sola giornata il 10% del suo valore nei confronti del dollaro statunitense, finendo a 7.16/1.
Il tasso di cambio è ancora più basso sul mercato nero (oltre 11 pesos per un dollaro), cui gli argentini fanno ricorso per aggirare le restrizioni imposte dal governo ai movimenti di capitale. Come l’ultima, relativa all’acquisto di merci su internet: dallo scorso 22 gennaio sono ammessi non più di due acquisti all’anno per un valore di 25$ ciascuno, oltre i quali scatta una tassa del 50%.
LA PUNTA DELL’ICEBERG – Quello che è accaduto 2 settimane fa, tuttavia, è solo la punta dell’iceberg di una situazione economica e politica sempre più complessa per la presidente Cristina Kirchner. A meno di due anni dalle elezioni, il “modello K”, ovvero la serie di politiche economiche di stampo nazionalista adottate dagli esecutivi Kirchner da un decennio a questa parte, si sta logorando. L’inflazione, a dispetto delle statistiche ufficiali, viaggia oltre il 25%; la crescita del pil sta rallentando ed è stimata per il 2014 di poco superiore al 2%; il surplus commerciale, vera chiave del “miracolo economico” argentino dell’ultimo decennio, si sta assottigliando sempre più: nel 2013 è stato di appena 9 miliardi di dollari.
Non è dunque un caso se il tasso di approvazione di Kirchner sia crollato dal 75% dei tempi della sua rielezione al 44% odierno, mentre in alcune delle città principali si sono verificati saccheggi e scontri con le forze dell’ordine, nei quali hanno perso la vita 3 persone. Alla luce di questi eventi, sorgono due domande. Come si è arrivati a questo nuovo crollo del peso? Ma, soprattutto, perché l’Argentina finisce sempre sotto accusa per la cattiva gestione della propria politica economica?
PERCHE’ SEMPRE L’ARGENTINA? – C’è una spiegazione di carattere contingente che va sotto la voce “credibilità”. Buenos Aires sconta ancora il “peccato originale” rappresentato dall’impossibilità di prendere a prestito valuta estera a seguito del default del 2001 che l’ha estromessa dai mercati finanziari globali. Negli ultimi anni il governo Kirchner ha fatto ben poco per riguadagnare la loro fiducia: dall’ostilità nei confronti del Fondo Monetario Internazionale alla mancata implementazione delle decisioni multilaterali assunte in seno al G20, passando per le misure volte a penalizzare gli investimenti stranieri (la più eclatante delle quali è stata l’espropriazione a Repsol della compagnia petrolifera Ypf), l’Argentina ha finito per isolarsi sulla scena globale. Una ricerca condotta dal G20 Research group dell’Università di Toronto ha dimostrato che l’Argentina è lo Stato con il più basso tasso di enforcement delle decisioni prese ai vertici annuali, soprattutto per quel che riguarda l’apertura commerciale e le misure di consolidamento fiscale.
Politiche economiche fondate sul ricorso a svalutazioni competitive che generassero la crescita attraverso l’esportazione di materie prime, piuttosto che sullo sviluppo della competitività di lungo periodo grazie a riforme strutturali volte ad accrescere la produttività, si sono dimostrate inadeguate e hanno prodotto un’inflazione che rischia di andare fuori controllo. Se la mancanza di fiducia in un peso sempre più svalutato ha indotto gli argentini a tutelarsi acquistando dollari, il governo ha risposto imponendo restrizioni ai movimenti di capitale e cercando di impedire una caduta eccessiva del valore della valuta nazionale liberandosi delle proprie riserve in moneta statunitense. Il risultato è stato un rapido deterioramento dello stock di riserve, crollate nel giro di due anni da 51 a 29 miliardi di dollari.
C’è poi una spiegazione di carattere strutturale, legata alla ciclicità delle crisi economiche argentine: le stesse che hanno portato uno dei paesi più ricchi del mondo (fino allo scoppio della seconda guerra mondiale) a sprecare il proprio enorme potenziale e dover oggi arrancare rispetto alle economie più avanzate. Essa risiede nella latente instabilità che ha caratterizzato l’ultimo mezzo secolo di storia argentina, producendo fasi denominate “stop and go”: cicli economici brevi e ricorso alle svalutazioni competitive come mezzo per far ripartire la crescita.
Tutto ciò si è verificato anche nel decennio kirchnerista: il boom prodotto dagli alti prezzi delle materie prime ha distolto l’attenzione del governo dall’adozione di politiche che stabilizzassero la crescita nel lungo periodo. Decisamente il contrario di quanto è accaduto nel vicino Cile, dove un’accorta gestione della politica fiscale (il debito pubblico cileno è di poco superiore all’11%) e monetaria ha fatto sì che l’economia godesse della fiducia internazionale anche in periodi di congiuntura sfavorevole per le commodities.
LE ELEZIONI SI AVVICINANO – A meno di due anni dalle elezioni presidenziali, Cristina Kirchner non sembra avere più molte frecce nel suo arco. La bonanza offerta dal prezzo delle materie prime pare giunta al termine, dunque difficilmente il surplus della bilancia commerciale potrà aumentare. Se il peso dovesse continuare a deprezzarsi, le importazioni diventeranno sempre più costose. Inoltre sarà sempre più difficile aumentare la spesa pubblica, fino a questo momento la chiave per evitare il malcontento della popolazione. In vista della tornata elettorale, stampare moneta per finanziare la spesa sociale potrebbe essere una facile tentazione: il rischio sarebbe però quello di portare alle stelle l’inflazione.
In questo scenario, Kirchner non si potrà ricandidare per un terzo mandato e il Frente para la victoria non potrà contare sul suo carisma. L’opposizione non sembra passarsela meglio, ancora divisa e sprovvista di candidature di peso. Al momento, colui che sembra avere più chance è Sergio Massa, vincitore “morale” delle elezioni di medio termine nello scorso ottobre e kirchnerista dissidente.
PERICOLI DI UN CONTAGIO? – Il caso argentino e il rischio che il contagio si estenda ai mercati emergenti si inseriscono in un contesto finanziario internazionale già molto delicato per via del tapering della Federal Reserve statunitense. Sulla carta, il pericolo di una trasmissione della crisi agli altri paesi (Brasile in primis) è contenuto vista la bassa integrazione di Buenos Aires con i mercati globali. Tuttavia, due membri del Mercosur, Uruguay e Paraguay, dipendono significativamente dall’Argentina e potrebbero soffrire per via della nuova ondata di volatilità. Non a caso pochi giorni fa la senatrice Lucia Topolansky dell‘Uruguay (moglie del presidente José Mujica) ha dichiarato: “Se l’Argentina starnutisce, l’Uruguay prende il raffreddore”. Non va inoltre sottovalutato l’aspetto psicologico, che potrebbe indurre i risparmiatori di altri paesi emergenti a disfarsi delle valute locali per cercare rifugio negli asset denominati in dollari.
L’Argentina è così tornata a muoversi lungo un crinale pericoloso. Gli episodi delle ultime settimane hanno messo a nudo le fragilità strutturali del suo sistema economico e dovrebbero aprire gli occhi al governo che entrerà in carica alla fine del 2015. Per dare soluzione alle molteplici criticità della sua economia, sarà necessaria una forte volontà politica.