A distanza di quasi tre anni dalla deposizione dell’ex dittatore Zine El Abidine Ben Ali, che ha posto fine ad un regime durato oltre 24 anni, la Tunisia si trova ancora in piena fase post-rivoluzionaria, con tutte le difficoltà che comporta un processo di ricostruzione di un Paese non “abituato” alla democrazia.
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UNA PRIMA FASE INCORAGGIANTE – All’indomani delle prime elezioni libere del dopo-Ben Ali tenutesi nell’ottobre del 2011, e che videro la netta affermazione del partito islamista moderato Ennahda, la Tunisia sembrava incarnare nel modo migliore la versione più riuscita di tutto quel filone di “primavere arabe” originatosi proprio a partire da Tunisi e dalla rivoluzione dei gelsomini. Il primo governo post-rivoluzionario, agli occhi degli osservatori esterni, risultava concreto, stabile e soprattutto innovatore. Mohamed Ghannouchi, uno dei personaggi più influenti della rivoluzione e incaricato di gestire il primo periodo di democratizzazione, era inizialmente stimato sia dagli stessi cittadini tunisini che da tutto il mondo occidentale, e considerato (soprattutto dagli Stati Uniti) personalità pragmatica e rigorosa. Rispetto agli altri schieramenti politici, Ennahda era stato ritenuto dalla maggioranza della popolazione tunisina l’unico in grado di dare una svolta sia economica che sociale al Paese, tanto da aver ottenuto 89 dei 217 seggi disponibili in Parlamento.
PROMESSE DISATTESE E ACCUSE – Nei mesi successivi all’insediamento, il nuovo governo avrebbe dovuto redigere una nuova Costituzione e studiare una nuova legge elettorale, rendendola effettiva entro un anno. In realtà le cose sono andate diversamente: il governo non è riuscito a portare a termine il compito assegnatogli dalle parti sociali, ed è stato al contrario accusato più volte di tentare di inserire all’interno dell’ordinamento statale leggi ispirate alla sharia, la legge islamica. Le accuse rivolte ai vertici del potere legislativo sono state puntuali e pesanti: sono molti infatti coloro che sostengono che gli attuali governanti stiano tuttora tentando di distruggere le tradizioni faticosamente conquistate dalla Tunisia nel corso degli anni, ovvero una società laica, i diritti delle donne e tolleranza zero per la violenza islamista radicale. La rivoluzione, in sostanza, più che un’inclinazione di tipo sociale avrebbe assunto una pericolosa impronta religiosa.
OMICIDI POLITICI E CRISI DI GOVERNO – Il governo guidato da Ennahda ha poi vissuto le sue maggiori difficoltà in occasione dell’uccisione di due esponenti di spicco dell’opposizione, ovvero Chokri Belaïd e Mohamed Brahmi. Il primo, uno dei leader del Fronte Popolare – la coalizione di sinistra all’opposizione – è stato ucciso il 6 febbraio del 2013, mentre Brahmi, membro dell’Assemblea Costituente e fondatore del movimento laico “People’s Movement”, è stato assassinato il 25 luglio 2013 in circostanze molto simili a quelle che avevano portato alla morte di Belaïd. Ennahda ha dovuto fronteggiare l’accusa di coinvolgimento in entrambi gli omicidi, che hanno ovviamente scatenato manifestazioni anti-governative molto veementi. L’accusa per il partito di governo è stata duplice: da una parte c’è stato chi ha parlato di Ennahda come di un mandante “morale” delle uccisioni; dall’altra molti hanno accusato il partito di non aver preso le dovute precauzioni per arginare le crescenti violenze degli estremisti islamici. Nel frattempo, Ghannouchi era già stato sostituito nel ruolo di capo di Governo da Béji Caïd Essebsi, rimpiazzato a sua volta dopo meno di un anno dal segretario generale di Ennahda, Hamadi Jebali. Lo stesso Jebali poi è stato sostituito da Ali Larayedh, che, in seguito ad un accordo tra maggioranza e opposizione dello scorso dicembre, ha rassegnato le proprie dimissioni lasciando il posto a Mehdi Jomaa, insediatosi un mese fa, esattamente il 10 gennaio 2014. Il tutto per cercare di uscire dall’impasse in cui si trova – ancora – il Paese.
LA SOSPENSIONE DEI LAVORI PARLAMENTARI – Una situazione piuttosto nebulosa dunque, tanto che dopo l’omicidio di Brahmi il Parlamento ha deciso di sospendere a tempo indeterminato i propri lavori, a partire dallo scorso mese di agosto. Jebali, in un discorso alla nazione tenuto a seguito di tale decisione, aveva anche annunciato le dimissioni del Governo per formarne uno nuovo, cosiddetto di unità nazionale, che avrebbe avuto il compito di guidare il Paese attraverso una nuova fase di transizione fino a nuove elezioni, da tenersi a dicembre del 2013. Elezioni che poi non si sono tenute, e che lasciano il Paese in uno stato di incertezza sul futuro. Nel frattempo il Governo, per cercare di placare la nuova ondata di proteste, aveva a fine agosto dichiarato il gruppo islamico radicale Ansar al-Sharia una organizzazione terroristica, mettendolo al bando e arrestando numerosi dei suoi membri, con l’accusa di essere coinvolti negli omicidi politici che avevano scosso il Paese.
GLI SVILUPPI RECENTI – Gli oppositori di Ennahda reputano la repressione del Governo nei confronti di Ansar al-Sharia una mossa troppo poco consistente, e soprattutto arrivata troppo tardi, con il rischio susseguente di creare altre sacche di violenza. Dal punto di vista politico-istituzionale, inoltre, i diversi partiti piuttosto che cercare un’unità nazionale al momento necessaria, sembrano orientati verso un’ulteriore divisione che potrebbe avere effetti particolarmente negativi. Uno spiraglio verso uno sviluppo della situazione potrebbe essere rappresentato dall’approvazione da parte dell’Assemblea Costituente dell’articolo 20 della bozza della nuova Costituzione, raggiunta proprio negli ultimi giorni, che dovrebbe (il condizionale in questi casi è alquanto doveroso) introdurre sul piano legale la parità tra uomini e donne, senza alcuna discriminazione. Sembrerebbe così sconfessata la posizione dei membri di Ennahda, che più volte avevano dichiarato la loro idea circa la condizione di subordinazione e complementarietà della donna nei confronti dell’uomo. L’Assemblea inoltre ha recentemente approvato due articoli che decretano l’Islam come religione di Stato, ma che al contempo escludono la sharia come base del diritto del Paese. Ennahda, che si è dichiarato fortemente contrario all’idea che il genere non sia basato sulla complementarietà quanto sull’uguaglianza, ha già minacciato ripercussioni politiche.
Matteo Viola