Una settimana dopo, ci ricordiamo di una selfie, di un trionfo italiano e di un eterno secondo. Eppure la notte degli Oscar si è spesso intrecciata alla politica interna americana, e non solo. Vediamone qualche esempio, in tre sorsi
1. INTRECCI 2014 – Basta menzionare qualche episodio recente per capire come Oscar e politica siano molto legati. Sembra che recentemente Meryl Streep, candidata quest’anno a migliore attrice per I segreti di Osage County, abbia criticato moltissimo il film su Walt Disney Saving Mr. Banks. “Walt Disney era anti-semita”, avrebbe detto la pluripremiata attrice. Forse nessuno l’ha ascoltata, forse sarĂ un caso, ma nĂ© Tom Hanks, che interpreta Disney nel film nĂ© Emma Thompson, l’altra protagonista, erano presenti domenica alla cerimonia dell’Academy. Che dire poi di Woody Allen? Appena Cate Blanchett, premiata come migliore attrice per il suo film Blue Jasmine, l’ha ringraziato, c’è stato un tentativo di applauso bruscamente ridotto, non senza qualche imbarazzo. E volete sapere dove si è tenuta la prima di Mandela: a long walk to freedom? Alla Casa Bianca, per volere di Barack Obama. Del resto l’anno scorso ai Golden Globe era stato ospite lo stesso ex presidente Bill Clinton e non per presentare un premio, ma addirittura un videoclip sintesi di uno dei film premiati.
Tutto a Hollywood si pesa, anche e soprattutto le pellicole che si propongono come “cassa di risonanza” di lotte, battaglie, antipatie e simpatie, appoggi a questo o a quel partito. Del resto gli Oscar per l’industria cinematografica sono l’evento piĂą importante dell’anno. Chi vuole parlare di temi importanti è sempre ascoltato, come ad esempio Jared Leto ricordando l’Ucraina e il Venezuela, Matthew McConaughey con i diritti dai gay, Lupita N’yongo con la schiavitĂą dei neri, Angelina Jolie che parla dei rifugiati siriani. Tre milioni di persone in tutto il mondo in quel momento pendono dalle labbra dell’artista che ritira il premio. Basta chiedere il retweet di un selfie (foto che con gli smartphone facciamo a noi stessi) perchĂ© venga immediatamente retwittato da oltre un milione e mezzo di persone, record storico. Vincere un Oscar è importante per la stessa industria perchĂ© significa milioni di dollari di extra box office, ovvero guadagnare molti soldi extra, al di lĂ della classica proiezione cinematografica.
2. 12 ANNI SCHIAVO, UN OSCAR ANCHE POLITICO – Ellen DeGeneres quest’anno ha aperto la kermesse dicendo: “VincerĂ 12 Anni Schiavo immagino… o siete razzisti? (risata del pubblico). Bene, iniziamo con il primo presentatore bianco”. Frasi forse dette a caso, ironiche e buttate qui e lì, ma alla fine è il film di Steve McQueen ad aver vinto, non quello di un Woody Allen accusato di violenza carnale dalla figlia adottiva. Cate Blanchett da sempre era data per favorita come migliore attrice, ma quando la figlia del regista ha ricordato al mondo che Allen aveva abusato di lei quando era piccola, si temeva l’Oscar potesse sfuggirle di mano all’ultimo minuto a favore di Amy Adams o Sandra Bullock. L’anno scorso dopo la vittoria del pluripremiato Zero Dark Thirty, film sulla cattura di Osama Bin Laden, una senatrice disse che probabilmente c’erano delle connessioni tra i produttori della pellicola e la Cia. C’è mancato poco che non chiamassero la regista Katryn Bigelow a testimoniare.
La verità è che il film che ha vinto, come accaduto altre volte, rispecchia la pellicola che tradizionalmente viene premiata dall’Academy: si basa su una storia vera, ovvero le memorie del 19mo secolo di Solomon Northup; ha un cast di attori eccezionali in ruoli molto difficili (attori per la gran parte abituati ad esibirsi in teatro); offre ricchi dettagli del periodo storico raccontato; riflette una morale ineccepibile. In più, c’è Brad Pitt. La pubblicità che parlava del film di McQueen si intitolava It’s time (Trad. è ora) richiamandosi al fatto che l’Academy non aveva mai attribuito il più alto onore ad un regista di colore. Una pubblicità che ricordava molto quelle su Obama, del resto prima di lui non c’era mai stato neanche un presidente nero.
3. NEL PASSATO – Se la politica influisce indirettamente sulla cerimonia, non sono mancati eventi in cui invece il regno della politica è entrato nel Teatro di Los Angeles a sirene spiegate. Jane Fonda, che ai tempi era riconosciuta come la celebrity che maggiormente si opponeva alla guerra in Vietnam, era stata nominata per Klute. “Come faccio a stare di fronte a tutti questi attori e non dire nulla”, pensò. La sorpresa è che poi decise di non menzionare il conflitto dal podio se non con un semplice “Ci sono molte cose da dire ma non le dirò stasera”. Nel backstage però parlando con i giornalisti scatenò l’inferno. “In Indo-Cina – disse –  c’è il nostro nome su tutti i morti”.
E quando Marlon Brando vinse per Il Padrino, mandò l’attivista Nativa american Sacheen Littlefeather a ritirare il premio al suo posto, che ricevette un mix di applausi e mugugni quando spiegò che Brando si rifiutava di partecipare alla cerimonia per il trattamento che veniva riservato alla sua gente da Hollywood.
Nel 2003 Michael Moore ritirò l’Oscar per la categoria Miglior Documentario, con il bellissimo Bowling at Columbine. Il documentarista liberale aveva invitato gli altri candidati nella sua categoria a protestare contro la guerra in Iraq di Bush. “Viviamo in un periodo in cui abbiamo finti risultati elettorali che eleggono un presidente finto. In un tempo in cui ci mandano in guerra per ragioni false”. E a chi pensa che a Hollywood gli attori siano solo di sinistra farei notare la serie di buuuu che si sollevò subito dopo le parole di Moore.
Mariangela Pira