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Le operazioni “Artiglio” di Erdogan nel Kurdistan iracheno

In 3 sorsi – A giugno è iniziata la più grande operazione della Turchia nel Kurdistan iracheno, volta a smantellare la presenza del PKK nell’area. Le azioni militari portate avanti da Erdogan hanno però avuto dei risvolti problematici.

1. OBIETTIVO PKK NEL KURDISTAN IRACHENO

Le ostilità tra i movimenti di insorgenza curdi turchi, tra cui spicca il Partito dei Lavoratori Curdo (PKK) e, il Governo di Ankara risalgono ormai alle fine degli anni Settanta. Il PKK da decenni possiede dei punti di appoggio nel nord dell’Iraq usati come rifiugi e basi per pilotare attacchi. Dal 2015 l’escalation di violenza tra il gruppo di insorgenza curdo e il Governo di Ankara si è sempre più accentuata.
Il 17 giugno la Turchia ha avviato una massiccia operazione militare nel Kurdistan iracheno dispiegando forze militari senza precedenti e mirando a 81 obiettivi relativi a cellule del PKK. Le cosiddette Operazioni “Claw Eagle” e “Claw Tiger” hanno nel mirino 150 cellule del PKK. Il gruppo, ormai da tempo, si rifugia nelle montagne del nord-est dell’Iraq, territorio a oggi amministrato dal Governo Regionale del Kurdistan (KRG), per sfuggire a Erdogan.
Gli obiettivi militari su suolo iracheno non erano nuovi: includevano l’area montuosa di Qandil, il Sinjar Yazida e il campo profughi di Makhmour. Dal 2018 le operazioni si sono intensificate e nel maggio 2019 ha avuto inizio alla cosiddetta operazione “Claw”. Gli elementi di novità per le operazioni cominciate a giugno e tuttora in corso riguardano la durata, considerata la continuità con le operazioni avviate negli anni precedenti, la dimensione transnazionale e, soprattutto, l’intensità. Il dispiegamento di nuove tecnologie come quelle dei droni in maniera massiccia ha portato al raggiungimento di vittorie sul piano strategico. La Turchia ha sviluppato nuove tecnologie di pilotaggio da remoto che la vedono posizionata al primo posto per numero di attacchi condotti con i droni superando anche gli Stati Uniti.

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Fig. 1 – Il Ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, mentre discute delle operazioni “Claw Tiger” per neutralizzare le forze del PKK. Ankara, 18 giugno 2020

2. LE REAZIONI REGIONALI

Negli ultimi anni Erdogan si è spinto fino a 25 chilometri all’interno del suolo iracheno, violando così la sovranità del Paese confinante ripetutamente, ma non senza conseguenze. A giugno, poco dopo l’inizio delle operazioni, le truppe speciali turche si trovavano nella zona di Haftanin in Iraq, circa 15 chilometri all’interno del confine, violando dunque la sovranità nazionale irachena nuovamente. Episodi simili si sono ripetuti durante il corso dell’estate, con un crescendo di attriti fra le parti nella regione sempre maggiore.  
Le reazioni dei diversi attori internazionali non hanno tardato ad arrivare su più fronti. In primis la condanna da parte di Baghdad è giunta nell’immediato fin da giugno, seguita da annesso richiamo dell’ambasciatore da Ankara più volte, con pretesa immediata di un cessate il fuoco. Ad affiancare il Governo di Baghdad c’era anche la Lega Araba, l’Arabia Saudita e gli Emirati. Abu Dhabi, in particolare, si è esposta in seguito a una fuga di notizie che riferiva di transazioni a favore del PKK e che seguirebbero la logica che vede Emirati e Turchia antagonisti. Infatti i rapporti fra i due Paesi sono sempre più tesi dal 2017, quando Ankara ha mostrato il suo sostegno a Doha sotto embargo dal “quartetto”.
Molto diversa invece la risposta di Erbil, capitale del Governo Regionale del Kurdistan (KRG), che non ha inizialmente condannato Ankara. Al contrario ha addirittura fornito informazioni salienti alle forze turche. Infatti il KRG sta rafforzando i propri rapporti con la Turchia, condividendo la preoccupazione per il PKK come destabilizzatore.

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Fig. 2 – Una manifestazione curda a Erbil, il 10 ottobre 2019, contro un attacco turco a nord della Siria

3. GLI INTERESSI DI ANKARA

Nonostante gli attacchi abbiano colpito anche civili, nessuna audizione in merito alle responsabilità giuridiche si è tenuta in Turchia. La politica turca sta sempre più prendendo forma e Erdogan mira a espandere l’influenza della Turchia nella regione. È questo il quadro in cui si collocano le operazioni condotte all’interno del KRG da giugno, che hanno dunque un doppio obiettivo, sia di politica interna che estera.
Le operazioni “Artiglio” fungono dunque da distrazione per l’opinione pubblica dal collasso economico e come catalizzatore di efficienza delle politiche del neo-sultano per la sicurezza interna e estera del Paese. Ankara rappresenta al momento il principale partner economico del Kurdistan iracheno (sia KRG che KDP) e tra i più importanti per il Governo centrale Baghdad. Tuttavia, tra il Governo centrale iracheno e i Governi indipendenti del Kurdistan iracheno non c’è una posizione analoga nei confronti della Turchia, che anzi rappresenta una fonte di tensione.
In questo quadro di alleanze si aggiunge anche l’Iran che, combatte contro i gruppi di separatisti armati curdi non solo iraniani, ma anche del PKK. Turchia e Iran conducono da circa trent’anni una politica repressiva nei confronti delle minoranze curde tanto nei loro confini, quanto nei territori limitrofi. Queste operazioni possono dunque essere inquadrate all’interno di uno schema congiunto tra Turchia e Iran per espandere la loro l’egemonia nella regione.

Giulia Macario

Immagine di copertina: “Kurdish PKK Guerilla” by Kurdishstruggle is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • Il 17 giugno la Turchia ha avviato massicce operazioni nel Kurdistan iracheno con l’obiettivo di smantellare le fortezze del PKK nell’area.
  • Le operazioni, ancora in corso, si qualificano come le più lunghe mai condotte e come innovative dal punto di vista militare, con l’uso di droni che hanno colpito anche obiettivi civili.
  • La campagna militare avviata da Erdogan sottende interessi di varia natura e ha provocato diverse reazioni sia dal punto di vista delle relazioni tra potenze regionali, sia a livello di accuse per la violazione della sovranità e dei diritti umani.

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Giulia Macario
Giulia Macario

Al momento sto terminando il research master IMARC in Criminologia Internazionale. Ho vissuto un anno ad Amman dove, oltre ad aver lasciato il cuore, ho lavorato all’ “Arab Institute for Security Studies” (ACSIS) e studiato arabo al Qasid. Ho conseguito nel 2018 il Master in Middle Eastern Studies (MIMES) a Milano. Mi interesso principalmente di movimenti salafiti-jihadisti e islam politico.

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