In 3 sorsi – Da qualche anno l’Africa ha iniziato la propria corsa verso la blue economy per far fronte alle esigenze di un continente in rapido cambiamento. Benché alcuni risultati mostrino il potenziale del progetto, la mancata propensione alla collaborazione e alla trasparenza rimane un grande ostacolo.
1. IL “MONDO BLU” DELL’AFRICA
Se fino ad oggi avete pensato che i diamanti dell’Africa siano solamente quelli estratti nelle miniere del continente, dovrete ricredervi: i veri diamanti africani sono blu e sono corsi d’acqua, mari e oceani. Con i circa 20 milioni di chilometri quadrati di superficie d’acqua sotto la propria giurisdizione e con i suoi 38 Stati costieri, l’Africa svolge più del 90% del commercio via mare. L’acqua dolce dei laghi, che in totale contano 240mila chilometri quadrati, e la pesca negli oceani contribuiscono alla sicurezza alimentare di almeno 200 milioni di africani e creano un ricavo di circa 10 milioni.
L’incremento dell’utilizzo delle vie marittime in diversi settori economici, la rapida crescita della popolazione negli Stati costieri e la possibilità di sviluppare tecnologie più avanzate combinati ai cambiamenti socioeconomici e climatici del continente ha reso necessario l’impiego delle risorse in maniera più efficace, rendendo l’ambiente marino uno spazio dedicato allo sviluppo. Si parla, dunque, di blue economy: la conservazione dell’ecosistema acquatico e marittimo attraverso l’uso e la gestione delle risorse in maniera sostenibile sulla base dei principi di equità, di sviluppo a basse emissioni di carbonio e inclusione sociale.
Fig. 1 – Un mercato del pesce nella regione del Puntland, in Somalia
2. BLUE ECONOMY: UN OBIETTIVO DI SVILUPPO
L’Unione Africana (UA) gioca un ruolo chiave per lo sviluppo e l’implementazione delle strategie di blue economy. Oltre ad avere il potere di creare e allargare il consenso degli Stati sulla tematica, ha inserito la blue economy all’interno della Strategia Marittima dell’Unione Africana per l’Africa 2050 descrivendola una nuova frontiera per la rinascita del continente e l’ha resa uno degli obiettivi centrali dell’Agenda 2063 dell’Unione Africana. Le Nazioni Unite hanno introdotto la valorizzazione degli oceani all’interno dei suoi Sustainable and Development Goals (SDGs) per altro strettamente connessi alla blue economy: le risorse marine infatti ricoprono un ruolo cruciale nel fornire possibilità di impiego e di sussistenza, contribuendo così alla lotta alla povertà promossa dall’Organizzazione.
È interessante notare come nello stesso periodo all’interno di entrambe le organizzazioni il Sudafrica, che già è un Paese leader a livello regionale e continentale, funge da collante di istanze: il Presidente Cyril Ramaphosa è attualmente alla presidenza dell’UA e il Sudafrica a partire dal I gennaio 2019 ricopre la carica biennale di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Insieme alle Mauritius e alle Seychelles, il Paese arcobaleno è uno degli Stati africani più attivi sul piano della blue economy e potrebbe utilizzare le due Organizzazioni come palcoscenico ideale per porre l’argomento sotto il riflettore.
Fig. 2 – L’isola di Migingo nel Lago Vittoria, abitata interamente da pescatori e contesa tra Uganda e Kenya
3. PERICOLI E PREVISIONI
I settori coinvolti riguarderebbero la pesca, l’acquacoltura, il turismo, i trasporti, l’energia, le miniere sottomarine e le attività correlate. Infelicemente, soprattutto quando si parla di Africa, alcuni di questi settori presentano forti limiti e pericoli. Primo fra tutti l’assenza di confini e spesso anche di controlli nel mare porta a fenomeni di pirateria, traffico di umani o di armi e di pesca deregolamentata. Non dimentichiamoci poi delle minacce climatiche, come uragani e cicloni, innalzamento del livello degli oceani e acidificazione dei mari. Tutte questo ritrae solo una parte delle sfide che influiscono negativamente sulla blue economy e contro le quali il continente deve combattere. Quando infatti l’Africa non demorde, il successo non tarda ad arrivare. Alcuni progetti si sono rivelati molto efficaci, come quello per le coltivazioni di alghe marine e per la conservazione delle mangrovie in Kenya o quello sulla creazione di una comunità di pescatori in Madagascar. Un piccolo assaggio di ciò che il bilanciamento dei fattori ecologici, sociali ed economici combinato alla collaborazione fra Stati potrebbe regalare al continente.
Francesca Carlotta Brusa
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