Caffè Lungo – All’indomani delle elezioni generali del 17 ottobre scorso la politica neozelandese si è scoperta più inclusiva che mai. Dietro questa ritrovata virtù, però, è celata l’intelligenza politica della rieletta Primo Ministro Jacinda Ardern e la sua rodata abilità nell’intrattenere relazioni diplomatiche con i partner dell’Asia-Pacifico.
UN GOVERNO NON SOLO MULTICULTURALE
Empatia e capacità di gestire le crisi, queste sono le due qualità che vengono associate a Jacinda Ardern. Due elementi fondamentali che, però, non sono sufficienti per fare un buon politico. Serve anche pragmatismo e capacità di mediazione, ed è proprio qui che Ardern eccelle. Ecco, quindi, che con la sua rielezione nasce un nuovo modello politico in cui inclusione e risolutezza fanno da capisaldi.
Detto fatto. Con la storica percentuale del 49%, che equivale a 64 seggi su 120, la nuova maggioranza parlamentare laburista vede la presenza del 55% di donne, del 25% di maori, del 10% di membri dalla comunità LGBTQ e dei primi tre parlamentari non originari della regione pacifica (uno di discendenza africana, uno latinoamericano e uno cingalese). Dal lato del Governo, invece, la quota femminile si avvicina al 50%, mentre numerosi sono i Ministri di origine polinesiana. Si tratta di scelte lungimiranti, che non guardano soltanto all’inclusione sociale. Da un lato, hanno lo scopo di indirizzare un forte messaggio ai partner neozelandesi del Pacifico, dall’altro mirano a evidenziare le priorità del nuovo Governo Ardern. Insomma, un Parlamento variopinto, ma con una visione e uno scopo ben precisi.
Fig. 1 – Il Primo Ministro Jacinda Ardern
AMBIZIONI POLINESIANE
Ardern sa bene che le minoranze etniche sono una risorsa fondamentale per il Paese e ha nominato a capo del Ministero degli Affari Esteri e del Commercio Nanaia Mahuta. Non solo la prima donna ad assumere tale carica, ma anche di discendenza maori, prima minoranza etnica del Paese per popolazione.
Politicamente parlando, la scelta di Ardern è molto perspicace e mira a soddisfare due esigenze.
Da un lato la popolazione maori è di fondamentale importanza per l’economia del Paese. Essa gestisce, infatti, circa il 50% della quota nazionale di esportazioni del pescato, il 40% del legname, il 30% delle carni d’allevamento, il 10% di kiwi e prodotti caseari. Storicamente l’economia maori si è sempre basata sui rapporti commerciali internazionali e, ora che la regione dell’Asia-Pacifico sta offrendo sempre più opportunità , si stima che la base patrimoniale del gruppo etnico sia arrivata a circa 50 miliardi di dollari. Inoltre l’ultimo censimento nazionale del 2017 ha confermato un netto trend di crescita demografica della popolazione maori.
Dall’altro lato ogni Amministrazione neozelandese che si sussegue deve gestire, in concerto con l’Australia, i problemi che affliggono i microstati polinesiani e che, per ovvie ragioni, questi non sono in grado di risolvere da soli: influenze straniere, traffico di esseri umani, innalzamento del livello del mare, pesca illegale, traffico di droga e di armi. L’ordine su questi piccoli Stati insulari non è solo questione di altruismo, ma, soprattutto, di commercio, di sfruttamento delle risorse e di sicurezza nazionale. Ecco, quindi, l’intelligenza politica di Ardern: dialogare e stringere connessioni culturali sempre più strette con le popolazioni polinesiane attraverso la voce di un Ministro di etnia maori.
Fig. 2 – Nanaia Mahuta, primo Ministro degli Esteri di origine maori
UNA DIFFICILE RIPRESA ECONOMICA
Se è vero che l’Amministrazione Ardern è riuscita egregiamente a tenere la pandemia sotto controllo, l’economia del Paese è in profonda crisi. Come nel resto del mondo, la chiusura dei confini inizia a farsi sentire: i mercati rallentano, il settore turistico (una delle principali fonti di ricchezza del Paese) è completamente fermo, le esportazioni procedono con difficoltà e i tassi di disoccupazione e di povertà sono in pericolosa crescita.
Inoltre le attuali circostanze di incertezza e isolamento minano ulteriormente le condizioni giĂ precarie delle economie dei microstati polinesiani. Questi, oltre a essere dipendenti dai sussidi neozelandesi e australiani, vedono il proprio settore turistico completamente paralizzato, le quote di esportazione ridursi e quelle di importazione aumentare, soprattutto quelle di beni sanitari.
La devastazione economica che ha travolto l’Asia-Pacifico potrebbe generare ulteriori implicazioni. In un momento di tale scompiglio la Nuova Zelanda potrebbe essere sottoposta a nuove e più gravose pressioni da parte della Cina, già suo primo partner economico, con lo scopo di diventarne anche partner strategico.
Fig. 3 – Jacinda Ardern e Xi Jinping durante un incontro diplomatico nel 2019
Eppure, l’onore di vedersi accreditato questo ruolo, in teoria, dovrebbe essere concesso dai neozelandesi agli Stati Uniti in nome dei vecchi legami politici e culturali che uniscono i due popoli, senza tralasciare l’ANZUS, ovvero la pluridecennale collaborazione in materie di sicurezza che nel 2021 compirà 70 anni.
C’è un però.
Le relazioni tra Cina e Nuova Zelanda, benché asimmetriche in quanto quest’ultima facilmente ricattabile a causa della sua dipendenza dalle esportazioni verso i porti cinesi, sono sempre state floride. Si pensi all’Accordo bilaterale di libero commercio del 2008 e al Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP) firmato nei giorni scorsi.
Per tutti questi motivi, Ardern continuerĂ , proprio come ha fatto durante il primo mandato, a perseguire delle relazioni trilaterali ambigue e ambivalenti con gli Stati Uniti e la Cina, tese a rimandare il piĂą possibile la scelta definitiva di un partner strategico.
Francesco Russo Di Masi
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