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L’Etiopia sull’orlo della guerra civile?

Caffè lungoLe tensioni tra il Governo centrale del Primo Ministro Abiy e la regione del Tigray, nel nord del Paese, non accennano a spegnersi. In gioco c’è non solo la stabilità interna dell’Etiopia e il processo di democratizzazione avviato nel 2018, ma l’equilibrio dell’intero Corno d’Africa

1. LA SITUAZIONE NELLA REGIONE DEL TIGRAY

Il 4 novembre il Primo Ministro Abiy Ahmed ha ordinato l’avvio di un’offensiva militare contro il Governo del Tigray, una delle dieci regioni che formano l’Etiopia, e ha imposto lo stato di emergenza sul territorio per sei mesi. Le tensioni tra il Governo centrale e il Governo locale tigrino si protraggono ormai da mesi e hanno avuto inizio lo scorso aprile, quando Abiy ha rimandato a data da destinarsi le elezioni parlamentari previste ad agosto, a causa della pandemia in corso.
Il 20 novembre il Governo dell’Etiopia ha dichiarato che le proprie Forze Armate si stavano avvicinando alla capitale del Tigray, Macallè, e ha dato un ultimatum di 72 ore al Governo locale per cessare le ostilità. Tuttavia l’ultimatum è scaduto e la situazione è ancora in bilico. Fino ad oggi, secondo i dati delle Nazioni Unite, negli scontri sarebbero morte centinaia di persone e in 30mila sarebbero fuggite nel vicino Sudan. Non è facile ricostruire l’esatta situazione sul posto: le comunicazioni nella regione tigrina sono bloccate, internet, cellulari e telefoni fissi non funzionano, ed è stata sospesa l’erogazione della corrente elettrica.

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Fig. 1 Il ministro della Giustizia etiope Gedion Timothewos (a sinistra) e il portavoce dello stato di emergenza dell’Etiopia Redwan Hussein durante una conferenza stampa sull’operazione militare lanciata in Tigray contro il Tigray People’s Liberation Front

2. IL PRIMO MINISTRO ABIY E L’UNITÀ NAZIONALE

Il conflitto in atto vede contrapposti l’esecutivo del Primo Ministro etiope Abiy e il Tigray People’s Liberation Front (TPLF): la questione è molto complessa, con radici profonde. Dagli anni Settanta e per più di vent’anni in Etiopia il potere è stato nelle mani di una coalizione di governo, l’Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front (EPRDF), composta da partiti rappresentativi delle diverse etnie: tra questi il Fronte del Tigray era la forza politica maggiore. Il TPLF rappresentava (come oggi) un’etnia minoritaria, quella tigrina, che conta il 6% della popolazione etiope totale, ma ha alle spalle un passato di vittorie: nel 1991 guidò la marcia che rovesciò la dittatura militare del colonnello Menghistu Haile Mariam, nel conflitto con l’Eritrea tra il 1998 e il 2000 ha sostenuto buona parte delle operazioni militari e, ancora oggi, la sua forza militare è intatta.
Nel 2015 esplosero le proteste contro il Governo di Addis Abeba, accusato di corruzione. Soprattutto nelle regioni di Oromia e Amhara le insurrezioni volevano porre fine all’egemonia del Fronte del Tigray sulla politica nazionale. Per risolvere la crisi, nel 2018 venne designato Abiy Ahmed come Primo Ministro, di etnia oromo. Per i tigrini fu l’inizio di un progressivo declino politico a livello nazionale; per gli oromo la speranza, presto disattesa, di avere maggiore peso nella vita politica. Fin dall’inizio l’obiettivo di Abiy non è stato quello di promuovere riforme per “riscattare” la propria etnia, ma garantire l’unità attraverso la creazione di una forte identità etiope: per questo venne istituito un unico partito a vocazione nazionale, il Prosperity Party.

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Fig. 2 – Il Primo Ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed Ali durante la cerimonia di consegna del premio Nobel per la pace ricevuto il 10 dicembre 2019, come riconoscimento per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto con la vicina Eritrea

3. ALL’ORIGINE DEGLI SCONTRI

Dopo più di vent’anni il TPLF abbandonò la coalizione di governo, considerandola come un tentativo di accentramento del potere nelle mani delle etnie maggioritarie. Da quel momento si è verificata una progressiva escalation di tensioni tra Addis Abeba e Macallè, culminata lo scorso aprile con la decisione di rinviare le elezioni parlamentari, che sarebbero state un banco di prova importante per il Governo. Nonostante il divieto, a settembre la regione del Tigray ha organizzato autonomamente le elezioni per rinnovare i seggi del Parlamento tigrino: il TPLF ha ottenuto 152 deputati sui 152 disponibili. Abiy ha dichiarato che le elezioni in Tigray devono essere considerate illegali, e dall’altra parte il Fronte del Tigray si rifiuta di riconoscere l’autorità di un Governo il cui mandato è scaduto.
Un ruolo non irrilevante all’origine della contrapposizione tra il Tigray e Abiy è stato svolto dall’Eritrea: nel suo piano di pacificazione, il Primo Ministro etiope ha firmato una pace storica dopo decenni di guerra. A livello geografico, il Tigray è  la regione che condivide con l’Eritrea più chilometri di confine, ma il Fronte non è stato interpellato durante i negoziati di pace. Questo episodio, unito alle elezioni non autorizzate, alla diserzione di ufficiali dell’esercito nazionale etiopico in favore delle forze armate del TPLF, l’attacco (non rivendicato) a una guarnigione federale in Tigray, ha fatto sì che il 4 novembre il Governo centrale lanciasse un’operazione militare contro il TPLF.

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Fig. 3 – Un cartello che raffigura i membri del Tigray People’s Liberation Front (TPLF) ricercati dalla polizia federale etiope e accusati di tradimento

4. CRISI INTERNA O REGIONALE?

L’Etiopia è il secondo Stato più popoloso del continente africano e ricopre un ruolo di leadership nel Corno d’Africa. Gli scontri in corso stanno attirando l’attenzione della comunità internazionale, anche perché il Primo Ministro etiope Abiy, nel 2019, ha vinto il premio Nobel per la Pace per la risoluzione dei conflitti con l’Eritrea e l’avvio di un processo storico di riforme e democratizzazione. L’entusiasmo però non è durato a lungo, e nel corso dell’ultimo anno Abiy è stato accusato più volte di aver adottato metodi autoritari: il premier è un ex militare deciso a opporsi con ogni mezzo alle forze che minacciano l’unità nazionale.
La crisi è prima di tutto interna: sono stati messi in discussione gli assetti federali e gli equilibri di potere esistenti. Il rischio è che, se non arrestata in tempo, potrebbe innescarsi un’ulteriore frammentazione politica. Altre regioni come quelle del sud, che rivendicano una maggiore autonomia, potrebbero diventare instabili. A rendere ancor più complicata la situazione è il ruolo che l’Etiopia ricopre a livello regionale: il Corno d’Africa è una regione complessa e questa crisi potrebbe azzerare i faticosi processi di crescita economica e di trasformazione sociale avviati negli ultimi trent’anni. Il Presidente dell’Unione Africana, Cyril Ramaphosa, ha invitato tutte le parti interessate ad adoperarsi per allentare le tensioni nel Paese attraverso negoziati: il Governo di Addis Abeba continua a parlare di una semplice operazione di polizia, ma in realtà gli scontri hanno assunto le sembianze di una vera e propria guerra.

Irene Dell’Omo

President Cyril Ramaphosa hosts Prime Minister Abiy Ahmed Ali on Official Visit” by GovernmentZA is licensed under CC BY-ND

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Perchè è importante

  • Lo scorso 4 novembre il Governo centrale etiope ha lanciato l’offensiva militare contro la regione del Tigray, nel nord del Paese.
  • Le tensioni vedono contrapposti il Primo Ministro Abiy e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, che per oltre 20 anni è stati protagonista della vita politica etiope.
  • All’origine degli scontri c’è la decisione di Abiy di rinviare le elezioni parlamentari di agosto a data da destinarsi, a causa della pandemia di coronavirus. Il provvedimento non è stato accettato dal Tigray, che lo scorso settembre ha indetto autonomamente le consultazioni per il rinnovo del Parlamento locale.
  • L’instabilità in Etiopia rischia di avere ripercussioni non solo a livello interno, ma anche regionale: il Corno d’Africa è un’area fortemente instabile e un’eventuale guerra civile etiope rischia di vanificare gli sforzi verso la pace degli ultimi decenni.

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Irene Dell'Omo
Irene Dell'Omo

Sono laureata in Scienze Politiche, indirizzo Cooperazione internazionale, con una tesi sulla cooperazione tra Unione europea e Paesi del Maghreb per le risorse energetiche rinnovabili. Vivo a Roma, dove lavoro in un’organizzazione umanitaria nell’area marketing e comunicazione. Le mie passioni: scoprire posti e cose nuove, viaggiare, leggere (soprattutto romanzi a sfondo storico e di attualità) e scrivere.

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