In 3 sorsi – “Le orecchie sorde delle Nazioni Unite verso i nostri appelli, dell’Unione Africana e di molti altri Paesi hanno portato a una escalation di tensione e di incertezza con il Marocco e nell’intera area del Sahel. La tregua è rotta”. Queste le parole di Brahim Ghali, Presidente della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD) e Segretario generale del Fronte Polisario, riportate da Repubblica il 17 novembre scorso.
1. COME SI È GIUNTI A QUESTO PUNTO?
Procediamo con ordine. Già dal 1975, quando con gli Accordi di Madrid la Spagna decise di istituire “un’amministrazione temporanea nel Territorio”, alla quale Marocco e Mauritania avrebbero preso parte in collaborazione con la Djemaa (assemblea di notabili saharawi), si insinuò il seme della crisi. Pianta infestante che terminò di germogliare l’anno successivo quando Madrid, tirandosi indietro, lasciò de facto l’amministrazione del Territorio agli altri due Stati. Il che si tradusse prima in una spartizione tra Marocco e Mauritania cui seguì, con l’uscita di quest’ultima dalla regione nel 1979, un conflitto tra il Fronte Polisario e Rabat.
Uno scontro che produsse un muro di 2.700 chilometri e una guerriglia decennale. Almeno fino al 1991, anno in cui le parti accordarono un cessate-il-fuoco sotto tutela delle Nazioni Unite. Impegno sancito dal contestuale avvio della Mission for the Referendum in Western Sahara (MINURSO) con la risoluzione 690 del 29 aprile 1991. In quell’occasione il Consiglio di Sicurezza, approvando il settlement plan sul quale si sarebbe fondata la missione di pace, giunse ad auspicare che tale situazione di stallo fosse soltanto “un periodo di transizione” in attesa del referendum che avrebbe finalmente consentito al popolo del Sahara Occidentale di scegliere “tra indipendenza e integrazione con il Marocco”.
Fig. 1 – Il Presidente della Repubblica Araba Saharawi Democratica Brahim Ghali
2. IL TRANSITORIO SI È RIVELATO PERMANENTE
Eppure, dopo anni di immutata tregua – pur intervallata da ciclici momenti di tensione, finora sempre rientrati anche grazie alla decisiva opera di mediazione dell’ONU – si assiste a una nuova crescita della conflittualità nell’area.
Verso la fine di ottobre manifestanti civili saharawi hanno bloccato un importante passaggio tra i territori occupati e la Mauritania, generando non pochi disagi al Governo marocchino. Il corridoio di El-Guerguerat (estremo sud-ovest dell’area contesa), infatti, rappresenta un centro di interesse primario per entrambe le parti. Snodo commerciale strategico, buffer zone sorvegliata dall’ONU, dove vige un divieto generale di far accedere personale armato.
A ciò hanno fatto seguito proteste contro la risoluzione 2548, adottata il 30 ottobre dal Consiglio di Sicurezza con l’eloquente astensione di Federazione Russa e Sudafrica, attraverso la quale è stata prorogata di un anno la missione nel Territorio. Rappresentanti della RASD hanno in proposito lamentato, in un comunicato stampa riportato da Focus on Africa, “l’inazione” dell’ONU e la conseguente mancanza di “misure pratiche” atte a realizzare compiutamente il mandato della MINURSO.
In rapida successione gli eventi si sono presto avvitati. Il 10 novembre una nota del Governo saharawi ha denunciato movimenti di truppe marocchine lungo il cosiddetto “muro della vergogna”, nonché una insolita concentrazione di forze di sicurezza in un’area sottoposta a smilitarizzazione. E ciò avrebbe configurato, secondo la citata fonte, una vera e propria aggressione militare – ma “travestita da civile”.
Togliendo ogni dubbio, nella notte tra il 12 e il 13 novembre, Rabat è quindi intervenuta con una “operazione non offensiva” nei pressi del villaggio di Guerguerat. Intervento, quest’ultimo, volto a imporre manu militari il ripristino dei collegamenti con la Mauritania.
Aggravamento tale per cui, il giorno stesso, il Segretario Generale dell’ONU ha fatto sapere tramite portavoce di essere coinvolto in molteplici iniziative per evitare un’escalation nella zona, esprimendo inoltre “seria preoccupazione riguardo alle possibili conseguenze” degli eventi in corso.
Fig. 2 – Milizie del Fronte Polisario
3. CHE SVILUPPI ATTENDERSI?
Dure le dichiarazioni di Brahim Ghali, così i recenti attacchi del Fronte Polisario al berm (il muro che separa le aree contese). E neanche la risposta marocchina si è fatta attendere: un deciso “impegno” – per ora – a intervenire “ogniqualvolta sarà minacciata la sicurezza del suo Paese”, ribadisce Re Mohammed VI durante una telefonata con il Segretario Generale António Guterres.
Tutto ciò non lascia presagire un clima favorevole al negoziato. La proposta di autonomia avanzata già nel 2007 dal Marocco, difatti, non soddisfa la RASD. Perché no? Una soluzione intermedia, a prima vista, non sembrerebbe poi così irragionevole. Ma la contraddizione è nel metodo. Che sia integrazione, autonomia o indipendenza, deve essere il popolo saharawi a esprimersi. Questo, d’altronde, il mandato della MINURSO: un referendum per l’autodeterminazione. Appare tuttavia evidente, ad ogni buon conto, quale esito aspettarsi da una eventuale consultazione.
Eppure le complessità sono ulteriori. Tensioni e rigidità interne sono infatti rese, se possibile, ancor più acute dall’intreccio internazionale di interessi. In questo senso, l’inattesa quanto controversa decisione del Presidente degli Stati Uniti di riconoscere la sovranità marocchina sul Territorio: “Oggi ho firmato una proclamazione” – dichiara Donald Trump in un tweet riportato da Repubblica – “che riconosce la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale”.
Il futuro del Sahara Occidentale resta dunque incerto. E laddove regna l’incertezza, si creano anche pericolose incomprensioni: faglie profonde si riaprono, vecchie fratture si aggravano. Potrebbe allora rivelarsi determinante, ancora una volta, il ruolo giocato dalle Nazioni Unite nel processo di pace. Prima che una fragile, seppur prevalente stabilità finisca col degenerare di nuovo in caos ingovernabile.
Julian Richard Colamedici*
*Le opinioni espresse dall’autore non sono in alcun modo riconducibili all’amministrazione di appartenenza.
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