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La prima vittima di Wikileaks

Carlos Pascual, ambasciatore USA in Messico, si è dimesso pochi giorni fa  dopo mesi di braccio di ferro con lo staff del presidente Calderón a causa delle sue dichiarazioni poco diplomatiche sull’attuale governo messicano, pubblicate in questi mesi dal discusso sito di Julian Assange. Ecco gli attuali risvolti delle relazioni bilaterali tra Washington e Città del Messico

OBAMA E CALDERÓN – Lo scorso 4 marzo Barack Obama e Felipe Calderón, presidenti di USA e Messico, hanno avuto uno dei loro frequenti incontri per dibattere e risolvere le numerose questioni, dall’agricoltura al narcotraffico all’emigrazione clandestina, che legano questi due enormi paesi amici-nemici da moltissimo  tempo. In quell’occasione Calderón ha chiesto, ed ottenuto in solamente due settimane, le dimissioni di Carlos Pascual, ambasciatore statunitense in Messico da quasi due anni, il quale si era distinto per lodare in pubblico il governo messicano mentre ne criticava le sue politiche nei cablogrammi che mandava al Segretario di Stato Hillary Clinton e che Wikileaks ha pubblicato. Per esempio, nei suoi rapporti, l’ormai ex ambasciatore americano ha definito l’esercito messicano “lento” e “pauroso”, arrivando ad affermare che preferisce non combattere direttamente i cartelli della droga: questi commenti non potevano non lasciare pesanti strascichi dato che l’esercito è una delle istituzioni più appoggiate politicamente ed economicamente dal presidente Calderón, il quale ha deciso di fondare il suo mandato sul massiccio dispiegamento di militari in tutto il paese per combattere la guerra senza fine contro il crimine organizzato.

LE DIMISSIONI – Le opinioni di Pascual hanno spinto tutti i partiti politici dell’arco parlamentare a chiedere le sue dimissioni e l’intervento del presidente, il quale negli ultimi 3 mesi ha aspramente criticato l’operato dell’ex ambasciatore, prima di richiedere formalmente la sua rimozione. Tuttavia, le dimissioni di Pascual cercano solamente di distogliere l’attenzione dal vero nodo di geopolitica che si sta profilando nelle relazioni Messico – Usa e non faranno cambiare strategia alla diplomazia statunitense. Gli Stati Uniti non possono permettersi attualmente un vicino instabile come il Messico di oggi: dalla firma del NAFTA (North American Free Trade Agreement) i lacci tra Messico e Stati Uniti si sono fatti sempre più stretti, a tal punto che l’eventuale fallimento economico del Messico non sarebbe sostenibile per il suo fratello maggiore. Per esempio, nel settore agricolo una caduta del mercato messicano, principale compratore del mais statunitense, avrebbe una pesante conseguenza sui redditi di vari stati degli USA, colpendo in maggior misura la manodopera messicana che dal 1994 in poi è emigrata negli Stati Uniti per lavorare nei campi “foraggiati” da ingenti sussidi governativi.

LA STRATEGIA STATUNITENSE – Hillary Clinton, quindi, accetta di rimuovere Pascal, da anni uomo di fiducia della diplomazia americana soprattutto negli stati con evidenti problemi di sussistenza, in cambio di poter continuare con la sua strategia “antinarcos”. Per comprenderla dobbiamo fare un passo indietro ai primi mesi del 2009 quando entra in carica la nuova amministrazione Obama, la quale eredita l’appoggio incondizionato che Bush aveva concesso a Calderón nella sua guerra al narcotraffico, suggellata dal maggiore programma di assistenza bilaterale nella storia dei due paesi. SI tratta  dell’Iniziativa Merida, un pacchetto di aiuti pluriennale di più di 1 miliardo di dollari in cui gli Stati Uniti si impegnano a fornire al Messico denaro, armi e strumenti tecnologici per combattere i cartelli della droga. Un accordo simile al Plan Colombia, che dal 2000 approvvigiona il paese sudamericano. Oberati da questi vincoli, una volta al potere Obama e la Clinton non possono ritrattare gli accordi firmati con il Messico; decidono quindi di modificarne l’approccio: invece di appoggiare le strategie di Calderón, preferiscono influenzarle. Per questo mandano Pascual, di origine cubana, avvezzo ai mezzi di comunicazione, con una vasta esperienza nei paesi dell’est Europa e nelle operazioni di salvataggio di stati in difficoltà. Dopotutto era stato lo stesso Calderón a offrire la motivazione di questo cambio nella politica estera americana, quando aveva dichiarato in pompa magna che con la firma dell’Iniziativa Merida, gli Stati Uniti avevano riconosciuto che il consumo illegale di droga è un problema condiviso che ha bisogno di una soluzione condivisa. Quindi condivise anche le strategie difensive, dovranno aver pensato Obama e Clinton.

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IL CAMBIO DI OBAMA – E infatti, dalla metà del 2009 Pascual prepara lentamente il cambio di strategia, spinto anche dai suoi stessi consoli che hanno cominciato ad esprimere numerosi dubbi sulla strategia militare di Calderon: come ci mostra Wikileaks (http://www.wikileaks.ch/cable/2010/01/10MEXICO202.html) , da un lato Pascual ottiene il via libera ai fondi dell’Iniziativa Merida, dall’altra prepara gli incontri che nell’autunno 2009 una serie di alti funzionari statunitensi, dalla Clinton a John Brennan, capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, svolgono in Messico con i propri omologhi con l’obiettivo di creare strutture di lavoro bilaterali per la lotta al narcotraffico. Un esempio è il gruppo di lavoro sulla sicurezza nazionale, comandato da Paul Stockton, responsabile della Sicurezza Emisferica del Pentagono, il quale ha il compito di modernizzare l’esercito messicano, attraverso anche corsi di giustizia militare e protezione dei civili durante gli operativi, aspetti su cui avevano espresso preoccupazioni sia i membri del Congresso statunitensi che le ong che si occupano di diritti umani. Inoltre gli Stati Uniti appoggiano l’intelligence messicana fornendogli informazioni della CIA sui principali narcotrafficanti, come avvenne del dicembre 2009, quando grazie alla soffiata statunitense, la marina messicana potette fermare Beltrán Leyva, uno dei capi dell’omonimo cartello.

LA PERDITA DI SOVRANITA’ MESSICANA – Grazie a queste ottime collaborazioni tra le intelligence di entrambi i paesi, la relazione tra i due fratelli nordamericani si fa più stretta e gli Stati Uniti acquistano con il tempo maggior potere nell’influenzare le scelte interne messicane. Nel gennaio del 2010 convincono Calderón a ritirare l’esercito da Ciudad Juarez, dopo aver constatato che l’esercito sembra non voler interferire sul Cartello del Chapo Guzman; recentemente hanno dato inizio all’operazione “Fast and Furious”, nella quale la polizia USA avrebbe consentito l’ingresso in Messico di armi da fuoco di grosso calibro, comprate in territorio statunitense, cercando, in questo modo, di cominciare a raccogliere prove sull’uso di armi statunitensi nella guerra al narcotraffico messicana. Infatti, come denunciano varie associazioni da anni, chi arma le mani dei messicani sono le fabbriche di armi statunitensi che vendono liberamente nei loro negozi qualunque tipo di arma a chi possa permetterselo, senza indagare se i loro compratori sono tra i principali ricercati narcotrafficanti. Queste operazioni, probabilmente decise congiuntamente dagli staff dei due presidenti, anche se Obama ha recentemente dichiarato di non essere stato a conoscenza di “Fast and Furious”, sono però un attacco alla sovranità messicana, secondo i principali partiti del Congresso di Città del Messico, che da sempre utilizzano i motivi del nazionalismo e del patriottismo, attaccato dai fratelli yankee, soprattutto alla vigilia delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo dove non si asterranno di certo dall’usare contro l’amministrazione in carica il cavallo di battaglia dell’antiamericanismo e dell’ingerenza strutturale che gli USA hanno sul Messico. Non sorprende quindi come le dimissioni di Pascual siano state salutate da tutti i partiti messicani come una liberazione, utile specchietto per le allodole in chiave elettorale, in attesa di lamentarsi sulla prossima nomina statunitense, mentre entrambi i governi assicurano che nonostante l’uscita di scena di Pascual, le strette relazioni tra i due paesi saranno mantenute.

Andrea Cerami

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