In 3 Sorsi – Sviluppare norme che si focalizzino sulle esigenze delle donne nell’Africa subsahariana non è solamente una necessità politica, ma anche un imperativo economico e sociale. Nelle zone rurali, la parità di genere nel settore dell’agricoltura garantirebbe vantaggi in diversi ambiti, quali il lavoro, la salute, l’educazione e una nuova consapevolezza comunitaria.
1. PALADINE DEL CIBO
Nell’Africa subsahariana il 60% delle donne con un impiego è nel settore dell’agricoltura e, come forza lavoro, contribuisce alla produzione di cibo per la vendita o per il consumo famigliare del 60%-80%, a seconda del Paese preso in considerazione. In generale mentre gli uomini sono addetti maggiormente alla pulizia e alla preparazione del campo, le donne risultano fondamentali per le attività di semina, di sarchiatura, di distribuzione dei pesticidi e dei fertilizzanti, di raccolta, di trebbiatura e di lavorazione del prodotto prima che questo venga venduto. È presto detto che il ruolo di queste donne produttrici, trasformatrici e commercianti di cibo diventa cruciale in regioni del mondo come l’Africa subsahariana dove l’economia è principalmente trainata dal primo settore. Ma c’è di più. Se si considera la figura femminile nella sua totalità, prendendo decisioni nutrizionali per l’intero nucleo famigliare, la donna è, di fatto, spina dorsale della famiglia e della comunità, decretandone l’alimentazione e lo stile di vita. Purtroppo l’immenso potenziale delle “paladine del cibo” – che se sviluppato potrebbe essere un ottimo acceleratore nella lotta alla fame e alla povertà – continua a essere ostacolato da vecchie rigidità culturali che, tuttora, raccontano una delle pagine più tristi della società africana.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Una donna trasporta un carico di foglie di tabacco a Bromley, in Zimbabwe
2. SE ‘CULTURALE’ DIVENTA ‘ISTITUZIONALE’
Nel nuovo rapporto della FAO denominato “Leaving no one behind: A Regional Outlook on Gender and Agrifood Systems” viene specificato che i sistemi agroalimentari non possono essere cambiati in assenza di parità di genere. In effetti la disuguaglianza strutturale fra uomini e donne è uno dei principali ostacoli al decollo dell’agribusiness africano. Il cuore del problema consiste nell’accesso ridotto per le coltivatrici ai mezzi e alle risorse di produzione, condizione unicamente determinata dalla questione di genere (e non dal merito o dalla classificazione di rischiosità del lavoro). A causa di guadagni nettamente inferiori rispetto a quelli maschili le donne non possono permettersi tecnologie e macchinari agricoli per velocizzare le attività nei campi, come, del resto, non hanno la possibilità di utilizzare pesticidi e fertilizzanti chimici, dovendo affidarsi solo a quelli organici. Le lavoratrici del settore beneficiano meno della formazione e dei servizi predisposti per gli agricoltori, hanno un accesso inferiore ai finanziamenti rurali e spesso non vengono coinvolte nelle coltivazioni di prodotti qualitativamente migliori, essendo maggiormente destinate alla poco remunerativa agricoltura di sussistenza. Tutte queste problematiche (e molte altre ancora) sono riconducibili al vastissimo tema sui diritti di proprietà nell’Africa subsahariana, che all’interno di una cornice istituzionalmente e legalmente definita esacerba la disparità di genere, garantendo maggiori benefici agli uomini nel possesso, uso e controllo dei mezzi di produzione (terre, bestiame, macchinari e guadagni connessi).
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Lavoratrici della Moments Chocolate, un’azienda ghanese produttrice di cioccolato
3. L’ESEMPIO DEL GHANA
Ora la domanda è: quanto conta il retaggio culturale davanti alla possibilità di progredire socialmente ed economicamente? È stato infatti calcolato che, rendendo equo l’accesso ai mezzi di produzione per uomini e donne, la produttività delle coltivazioni potrebbe crescere di circa il 20%, rafforzando il PIL nazionale e togliendo dalla povertà migliaia di persone. Un esempio concreto lo fornisce il Ghana, secondo Paese produttore di cacao al mondo, nel quale le coltivatrici di cacao guadagnano il 25%-30% in meno degli uomini e dove, nonostante il 40% del lavoro nei campi sia portato avanti da donne, queste sono proprietarie solo del 2% delle terre. Possedendo la maggior parte delle piantagioni, il ricavato appartiene agli uomini. Grazie al programma Cocoa Life, lanciato nel 2012 dalla multinazionale Mondelez International (proprietaria, fra gli altri, di Milka e Oreo), questo paradigma è stato stravolto, garantendo alle lavoratrici formazione, microprestiti e maggiore accesso ai mezzi di produzione. I risultati parlano chiaro: la produttività delle piantagioni è aumentata, passando da 4 a 8 sacchi di fave di cacao in più per ettaro (ogni sacco pesa 62,5 chili). Ad aumentare sono stati anche i redditi, che nel tempo hanno garantito un tenore di vita migliore per molte famiglie e hanno permesso l’acquisto di macchinari agricoli e la meccanizzazione di alcune attività che prima venivano svolte dai bambini, ora potenzialmente liberi di andare a scuola. Il caso del Ghana dimostra che i risvolti sociali ed economici legati all’emancipazione della donna in Africa subsahariana sono molteplici e solo positivi e chissà che questo non contribuisca a estinguere l’infelice intreccio fra opportunità lavorative e differenza di genere.
Francesca Carlotta Brusa
“Dareshe Women” by Rod Waddington is licensed under CC BY-SA