Al di là della portata storica dell'evento, l'arresto di Ratko Mladic può davvero aprire le porte dell'Unione Europea alla Serbia? Vediamo assieme quanto questo evento possa significare una svolta per la vita del Paese. I grandi d'Europa non sembrano ancora pienamente concordi, eppure l'adesione di Belgrado all'Ue davvero potrebbe chiudere ferite profonde del passato e rappresentare una pagina nuova per la Serbia, che sembra finalmente pronta a guardare al futuro
MOLTO PIU' CHE UN ARRESTO – La cattura di Ratko Mladic era un evento atteso da tempo. Sedici anni di caccia all’uomo internazionale da quando il Tribunale Penale Internazionale dell’ex Jugoslavia dell’Aja aveva spiccato un mandato di cattura internazionale. Sedici anni di attesa dei parenti delle vittime delle atrocità compiute dai soldati dell’esercito serbo-bosniaco e paramilitari serbi. Una lunga attesa anche per i serbi che guardano con fiducia all’ingresso della nazione nell’Unione Europea. La cattura dell’ex generale era infatti l’ultimo ostacolo formale all’avvio del processo di ingresso di Belgrado nella Comunità Europea.
LA SERBIA CHIAMA, L'UE RISPONDE – Nei messaggi di soddisfazione espressi dai leader europei si fa spesso riferimento alla possibilità che il tanto atteso evento apra le porte dell’Europa a Belgrado. Si passa dai toni entusiastici di Frattini che spinge per l’avvio del procedimento d’ingresso entro l’anno, al più moderato Sarkozy che parla di un “passo avanti verso l’integrazione”, alla Merkel che parla genericamente di “buone basi per un riconciliazione e per un futuro europeo della regione”. La cancelliera non ha mancato di far riferimento all’attuale latitanza di un altro imputato presso la corte internazionale: Goran Hadzic, ex leader sei serbo-croati della Krajina.
La diversa sfumatura dei commenti riflette il grado di vicinanza delle cancellerie europee a Belgrado: l’Italia negli ultimi anni ha agito come uno dei principali “sponsor” alla candidatura della Serbia, in funzione anche delle importanti relazioni economiche stabilite tra i due paesi, mentre da sempre Berlino è particolarmente critica verso Belgrado e più vicina a Zagabria.
QUALCOSA E' CAMBIATO – Il presidente serbo Tadic, che molto si è speso per la causa europeista, non ha tardato a ha richiedere all’Europa di “accogliere il paese nell’Unione”. Sotto la guida dell’attuale presidente, la Serbia ha fatto numerosi passi di avvicinamento verso l'Europa e dato una svolta decisa rispetto alla politica radicale e nazionalista degli ultimi decenni. Il politico nato a Sarajevo ha compiuto importanti gesti di distensione, come recarsi a rendere omaggio alle vittime dei terribili massacri di cui si sono resi responsabili militari e paramilitari serbi, in città quali Srebrenica e Vukovar. Con Tadic, la giustizia serba ha consegnato all'Aja, dopo anni di latitanza, anche Radovan Karadzic. In una nazione come la Serbia, in cui il nazionalismo è ancora forte, questi gesti testimoniano un indiscutibile coraggio politico. Sarebbe a questo punto miope da parte dei leader europei non riconoscere questi sforzi.
ARRESTO A OROLOGERIA? – Rimangono ancora molti punti oscuri intorno al caso Mladic: chi ha aiutato il militare in questi anni di latitanza? È per lo meno singolare, inoltre, che il ricercato sia stato scoperto in una cittadina a 80 chilometri di Belgrado, dopo che, per quanto conosciamo, non ha mai abbandonato il suolo serbo, proprio mentre il ministro degli esteri dell’Unione Catherine Ashton è in visita ufficiale nel Paese. Ma al di là di questi pur importanti interrogativi, è politicamente importante che l’Unione dia atto a Belgrado di aver voltato pagina rispetto ai tristi anni di Milosevic, della guerra, delle stragi e della pulizia etnica.
PASSATO (MOLTO) PROSSIMO – Questa nazione deve uscire da un passato recente, in cui è stata trattata al pari di uno stato-canaglia, governato da una cricca di criminali, inquinato da un nazionalismo esasperato. La storia insegna come non venendo incontro a Belgrado, vi è un rischio concreto di consegnare l’opinione pubblica nelle mani dei populisti che agitano lo spettro del complotto internazionale, e che vedono nell’isolamento internazionale un motivo di vanto. In tutti i Balcani gli spettri degli orribili massacri di ieri pesano ancora sul presente (basti pensare al fragile equilibrio della Bosnia, divisa tra federazione croato-bosgnacca e repubblica serbo-bosniaca). Senza rinunciare a ricercare una giustizia per il passato, bisogna dare una possibilità alle nuove generazioni di costruirsi un futuro europeo.
Jacopo Marazia [email protected]