In 3 sorsi – L’emergenza sanitaria ha aggravato il problema dell’inquinamento da plastica a causa dell’elevato impiego di DPI monouso. Il progetto indiano Shayya dimostra come si possa trasformare una crisi in opportunità, creando un modello dal valore universale.
1. L’INQUINAMENTO DA PLASTICA LEGATO ALLA COVID
Le misure adottate per contenere la pandemia sembravano inizialmente aver dato un respiro di sollievo all’atmosfera, vista la riduzione del 5% di emissioni di gas serra. Tuttavia un altro problema è stato esacerbato: l’inquinamento da plastica. L’utilizzo massiccio di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) a livello globale, come mascherine usa e getta e guanti, hanno risollevato la questione legata allo smaltimento dei rifiuti. Secondo uno studio dell’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo), sembra che circa il 75% degli scarti di DPI legati al coronavirus finiscano in discariche o nel mare, generando conseguenze negative per la salute dei fondali marini. Tradotto in numeri, si stima che una quantità di 129 miliardi di mascherine e 65 miliardi di guanti potrebbero essere usati dalla popolazione globale ogni mese in questo periodo di emergenza. Per fare un esempio, gli ospedali di Wuhan nel pieno della pandemia producevano più di 240 tonnellate di rifiuti al giorno, rispetto alle 40 tonnellate in tempi normali. È evidente che di fronte a un problema già molto radicato (300 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno nel mondo) e portato agli estremi dalla pandemia, nuovi metodi di gestione dei rifiuti debbano essere sviluppati.
Fig. 1 – Accumulo di rifiuti in una spiaggia a Mumbai, India
2. IL PROGETTO SHAYYA
Dopo la Cina, l’India è il secondo più grande produttore di DPI al mondo con 4,5 milioni di pezzi al giorno. Secondo un report (2018-2019), la quantità di rifiuti plastici annui in India ammonterebbe a 3,3 milioni di tonnellate, generando un accumulo difficile da gestire per il Paese. Da un’idea della stilista Lakshmi Menon, nello Stato di Kerala in India, dall’agosto scorso è in corso un progetto chiamato Shayya che trasforma i ritagli di produzione di DPI in materassi destinati ai centri Covid e alle case di accoglienza per i senzatetto. Si tratta di materassini composti da pezzi di scarto intrecciati tra loro e poi chiusi alle due estremità. Il risultato è un prodotto economico, leggero (2,5 kg), morbido e molto resistente. Inoltre, grazie alle sue componenti in plastica può essere lavato con sapone e riutilizzato in modo del tutto igienico, ovviando all’insufficienza di materassi nei centri Covid che sono obbligatoriamente bruciati dopo che i pazienti vengono dimessi. Viste le grandi quantità di rifiuti e le difficoltà nel loro smaltimento, questo progetto è la soluzione ideale da un punto di vista ecologico ed economico. Infatti aiuta l’ambiente tramite il riciclo di materiali che sarebbero altrimenti accumulati in quanto spazzatura oltre a creare posti di lavoro per le donne locali e stimolare l’economia. L’iniziativa di Lakshmi era nata a scopo benefico, ma ben presto le richieste di acquisto sono arrivate numerose e sono stati più di mille i materassini già venduti, corrispondenti a circa 3600 chili di rifiuti convertiti.
Fig. 2 – Il problema delle mascherine monouso disperse nell’ambiente
3. IL VALORE DI UN’IDEA
Il progetto Shayya è un ottimo esempio di upcycling, ovvero il processo attraverso il quale materiali di scarto vengono trasformati in nuovi prodotti di maggiore qualità ambientale. In questo caso un’idea semplice si è tradotta in opportunità per superare una crisi, dimostrando che per essere efficace un’iniziativa a sfondo ecologico deve essere anche integrata a livello sociale. Il coinvolgimento attivo delle donne locali, alle quali viene offerto un lavoro, contribuisce a creare un punto di partenza per sviluppare un approccio circolare e sostenibile all’uso della plastica. In termini universali, Shayya rappresenta il valore di un modello da seguire e da poter riproporre in altri Paesi. Non si tratta necessariamente di dover replicare questo progetto, sebbene lo smaltimento dei rifiuti plastici rappresenti un problema globale non limitato a questo periodo storico, ma di esportare un’idea: il concetto di best out of waste, la consapevolezza che grazie ad una nuova prospettiva le materie prime disponibili possano generare soluzioni innovative.
Elisa Boscolo Anzoletti
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