Il 27 giugno, la Georgia ha firmato l’Accordo d’associazione con l’UE. Altrettanto non hanno fatto l’Armenia e l’Azerbaijan, che con Tbilisi convivono nel Caucaso meridionale, per il quale Bruxelles ha impegnato una buona parte del budget negli ultimi anni.
IL CASO AZERO – A differenza della Georgia e dell’Armenia, l’Azerbaijan ha goduto di fondi meno consistenti da parte dell’Unione europea attraverso lo Strumento europeo di Vicinato e Partenariato (l’ENPI): 68 milioni tra il 2007-2010, cresciuti a 76 nel periodo compreso tra il 2011-2013. Bruxelles ha poi contribuito attraverso il Neighbourhood Investment Facility(il NIF), per esempio, alla ricostruzione delle strade regionali azere per favorire la «diversificazione dell’economia, stimolando settori non legati a quello petrolifero (specie l’agricoltura)». Un settore, quello agricolo, che ha contribuito al 5,3% del PIL azero del 2013, che è cresciuto del 5,8% su base annua e che ha raggiunto i 54,5 miliardi di euro (dati del Comitato di Statistica nazionale dell’Azerbaijan). Discorso diverso per greggio e prodotti derivati del petrolio, che da soli hanno rappresentato il 90% dell’export del Paese caucasico nel 2013 (21,4 miliardi di dollari). Piccolo appunto: secondo le elaborazioni dell’agenzia ICE sui dati del Comitato di Statistica azero, le risorse di petrolio e gas naturale a disposizione di Baku sono rispettivamente lo 0,5% e lo 0,7% delle risorse mondiali.
LE RACCOMANDAZIONI DI BRUXELLES – Baku non ha tuttavia soddisfatto le (diverse) richieste di Bruxelles. Leggendo l’ENP Country Progress 2013, molte sono le indicazioni europee disattese: i progressi fatti, seguendo le indicazioni dell’UE, nella lotta alla corruzione non sono stati accompagnati da un miglioramento nella governance democratica, nella tutela dei diritti umani e nel rispetto della «piena libertà d’espressione». Mentre alimenta qualche dubbio di troppo la legge elettorale, non in linea – secondo chi ha condotto il rapporto – con quanto richiesto dall’OCSE.

LA GEORGIA – Come già anticipato, il 27 giugno la Georgia ha firmato l’Accordo di associazione (entrerà in vigore il 1° ottobre) con Bruxelles, che promette: «Una volta completate le riforme richieste dall’accordo, l’economia georgiana crescerà a un ritmo del 4,3% annuo». Circa un mese prima (il 21 maggio), il primo ministro georgiano Garibashvili e il presidente della Commissione Barroso hanno sottoscritto un accordo di finanziamento, con il quale l’UE si impegna a investire – nell’arco di cinque anni – fino a 19 milioni di euro, fornendo così la maggior parte dei fondi (la Georgia contribuirà con 550 mila euro) necessari per il miglioramento delle principali istituzioni georgiane (tra cui il Parlamento e la Corte dei Conti) in vista dell’attuazione dell’Accordo di associazione. Denaro che va aggiunto a quello già stanziato con l’ENPI tra il 2007-2010 (117,4 milioni) e tra il 2011-2013 (180,7 milioni), oltre ai 22 milioni tra il 2012 e il 2013 tramite il Programma di Integrazione e Cooperazione del Partenariato orientale (EaPIC). Nel complesso, il periodo 1992-2009 ha visto l’Unione europea dirigere nella regione 829 milioni, per lo più attraverso diversi strumenti, ma necessari per l’attuazione dei tanti progetti sostenuti dall’Ue nel Paese georgiano oltre al NIF.
LE RACCOMANDAZIONI DELL’UE – Tbilisi deve però migliorare sotto diversi aspetti. Alcuni dei quali sono contenuti nell’ENP Country Progress 2013, dedicato al Paese georgiano. Emerge così che il potere giudiziario deve essere reso ulteriormente indipendente da eventuali interferenze politiche, salvaguardando anche il principio di presunzione d’innocenza. Ma c’è di più, perché il pluralismo mediatico va rafforzato e reso ulteriormente autonomo, così come vanno tutelate le minoranze (soprattutto religiose). Mentre la lotta alla corruzione, che nell’ultimo ha visto molti progressi, deve essere applicata anche «ad alto livello».
L’ARMENIA – Nel biennio 2012-2013, l’Armenia ha beneficiato di una maggiore assistenza finanziaria in linea con il principio “more for more”. In pratica: «Maggiori aiuti a fronte di maggiore impegno» nella costruzione di una democrazia «consolidata e sostenibile» e «nella realizzazione degli obiettivi connessi alle riforme», come spiegato in una nota il Parlamento europeo. Molti sono stati così i fondi stanziati dall’Ue attraverso l’ENPI: 98,4 milioni di euro nel 2007-2010, cresciuti poi a 157,3 nel triennio successivo (2011-2013), previsti dal National Indicative Programme, ai quali vanno aggiunti altri 40 milioni stanziati tra il 2012 e il 2013 tramite l’EaPIC. Lunga è la lista dei progetti “sponsorizzati” dall’Unione europea in Armenia. Molti sono programmi regionali (soprattutto per quanto riguarda l’ambiente, il settore energetico, dei trasporti e la cultura); alcuni sono invece interregionali e incentrati sull’istruzione (Tempus, Erasmus Mundus); altri, infine, mirano allo sviluppo economico ed energetico delle piccole medie imprese locali.

EREVAN HA ANCORA MOLTO DA FARE – L’impegno profuso da Bruxelles non è stato però contraccambiato da un eguale sforzo da parte armena, che – dopo essere stata vicina a far parte di una zona di libero scambio con l’Ue (DCFTA) – ha poi deciso di aderire all’Unione doganale con Russia, Bielorussia e Kazakistan.Numerosi, secondo l’ENP Country Progress Report 2013 del marzo scorso, sono gli impegni disattesi da Erevan. Qualche esempio? L’influenza dell’esecutivo sulle nomine giudiziarie resta «preoccupante», mentre è inadeguata la strategia anti-corruzione, così come è «insufficiente» la libertà di cui godono i media. Tra i molti aspetti (ancora) negativi, ce n’è qualcuno positivo, anche se solo in parte: l’Armenia ha infatti adottato una legge sulla parità di diritti e opportunità per uomini e donne, «che però – osserva chi ha stilato il rapporto, – manca di un meccanismo per le denunce». Quindi non è forse un caso se secondo il Global Gender Gap Index 2013 del World Economic Forum, l’Armenia è 94esima su 136 Paesi esaminati nella classifica delle pari opportunità. Di qui gli inevitabili – oltreché numerosi – inviti da parte della Commissione europea, perché quanto fatto non basta, in sostanza.
Mirko Spadoni