Il recente tentativo di tregua a Gaza è fallito, nella più classica dimostrazione di come in diplomazia alcuni errori banali possano rovinare ogni iniziativa. Vediamo quali, in 5 punti
1. Niente tregua – La prospettiva di ieri di un cessate il fuoco tra Israele e Hamas non è durata a lungo: se da un lato Israele aveva accettato subito, Hamas ha invece rifiutato, vanificando ogni speranza che potesse avere successo. Israele stesso, che pure aveva fermato le operazioni, le ha poi riprese dopo la seconda ondata di razzi dalla Striscia. Mentre rimbalzano le accuse reciproche, varie fonti (tra le quali il quotidiano israeliano Ha’aretz) mostrano i perchĂ© del fallimento che, al di lĂ della retorica delle parti, indicano piĂą che altro una serie di errori diplomatici da entrambe le parti.
2. Egitto – Come già avvenuto in passato (2008-2009 e 2012) è stato l’Egitto a prendere il ruolo di mediatore, proponendosi come intermediario tra le due parti. Questo è stato il primo errore: nessuno può ergersi a mediatore di un conflitto se entrambe le parti non lo riconoscono come tale, e in questo caso l’Egitto del Presidente al-Sisi non è visto come affidabile da parte di Hamas, che ricorda fin troppo bene la repressione da lui condotta contro la Fratellanza Mussulmana.
3. Israele – La tregua era stata concordata tra il Premier israeliano Netanyahu e al-Sisi, con il beneplacito del Presidente dell’AutoritĂ Nazionale Palestinese (ANP) Abu Mazen. Netanyahu, in particolare, ha tenuto all’oscuro gran parte del suo Governo per evitare opposizioni, e ha così rispettato la sua parte dell’accordo. L’errore però è che paradossalmente la tregua non è stata concordata con… Hamas, alla quale è stato chiesto di accettare termini che non aveva mai discusso. Il secondo errore commesso è stato inoltre quello di immaginare che i termini offerti da una parte e dal mediatore andassero automaticamente bene anche all’altra. Anche peggio: confrontandosi con Abu Mazen e non con i leader di Hamas, il movimento estremista è stato di fatto ignorato.
4. Hamas – E qui c’è un altro errore: se una delle parti si sente ignorata, non importa quanto buona possa essere l’offerta diplomatica fatta, molto spesso si ottiene una risposta negativa a priori. Nel caso particolare poi, l’offerta di tregua non ascoltava nemmeno alcuni punti chiave per Hamas: prevedeva infatti la consegna di gran parte dell’arsenale di razzi e missili, cosa che il movimento non sarebbe stato disposto a fare, e non prevedeva nessuna particolare soluzione al blocco di Gaza. Abu Mazen da parte sua aveva cercato di far accettare la tregua come “punto di partenza” per un ulteriore dialogo, ma ancora una volta aveva presentato il proprio punto di vista senza ascoltare preventivamente quello di chi prende sul serio le decisioni a Gaza (che non è lui). Inoltre anche Hamas soffre di un problema identitario: ala politica e ala militare non sono la stessa cosa, e il fatto che le due debbano dialogare continuamente tra loro prima di prendere ogni accordo significa che la parte politica rischia di essere ostaggio di posizioni piĂą oltranziste.
5. Come si prosegue? – Oggi Hamas ha fatto una controproposta: 10 anni di tregua in cambio della sostanziale cessazione del blocco a Gaza (riapertura dei valichi, maggiore controllo dello spazio marittimo, possibilità di recarsi a Gerusalemme). E’ difficile immaginare che Israele accetti una proposta che, anche in questo caso, non ascolta le necessità base di una delle parti: lo smantellamento dell’arsenale di missilistico di Hamas.
Tuttavia gli accordi partono spesso da proposte eccessive fatte dalle parti, che poi vengono ricondotte a un qualcosa di meno estremo e condiviso. E’ stato così in passato e potrà essere così in futuro. Per questo motivo, si può comunque ipotizzare che i contendenti possano avvicinarsi nei prossimi giorni, per uscire da una situazione che entrambi trovano problematica . Sicuramente, però, dovranno essere superati i limiti mostrati in questi giorni proprio in occasione della fallita tregua: un mediatore incapace di interpretare la complessità della situazione, l’aver ignorato uno degli attori in gioco, la reticenza dell’ala militare di Hamas a rinunciare all’arsenale missilistico, e la mancanza di sangue freddo di Israele nel non rispondere al fuoco e guadagnare ulteriore supporto internazionale.
Lorenzo Nannetti