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Viaggio nel cuore del Kosovo indipendente (II)

Seconda e ultima parte del nostro viaggio in Kosovo. In questa puntata facciamo luce sui gruppi etnici più penalizzati e sfortunati, rom e ashkali, e sui complessi problemi giuridici connessi. Ma gettiamo anche un seme di speranza per un Paese appena nato che vuole però provare a dimenticare le violenze degli anni passati per avviarsi con dinamismo verso un futuro migliore

 

(Seconda parte) – Leggi qui la I parte

 

OCCHI PUNTATI SULLE CASE DI NESSUNO – Oltre alla chiara spaccatura tra serbi ed albanesi, esiste anche un’altra contrapposizione, quasi impercettibile agli occhi del visitatore eppure indubbiamente presente: quella tra chi è rimasto in Kosovo durante la guerra e chi invece è fuggito e poi tornato.

 

Dal 1999 ad oggi, sono moltissimi i kosovari, sia serbi che albanesi, che hanno abbandonato il paese cercando rifugio all’estero, soprattutto nei paesi dell’Europa occidentale (Italia e Germania in testa). Tuttavia, ora che la transizione democratica sembra essere finalmente avviata, molti stanno cercando di rientrare (oppure sono costretti a rientrare, visto che lo status giuridico di rifugiato è per sua natura temporaneo).

 

Il ritorno in massa di migliaia di ex rifugiati rischia di paralizzare il neonato sistema giudiziario kosovaro, letteralmente travolto da dispute che ruotano attorno al diritto di proprietà. Uno stuolo di legittimi proprietari bussa alle porte di appartamenti illegalmente occupati per più di dieci anni. E’ il caos, per le strade così come nelle corti di giustizia. Il backlog giudiziario è impressionante: non ci sono abbastanza documenti per sostanziare le cause, non ci sono abbastanza magistrati per dirimere le controversie, non ci sono abbastanza avvocati per assistere le parti coinvolte.

 

Al quartier generale dell’OSCE, a Pristina, si fa il possibile per sciogliere tutti questi nodi: esiste un communities programme, che cura le problematiche legate al dialogo tra le diverse comunità etniche del Kosovo; esiste un ufficio interamente dedicato allo studio e alla documentazione delle dispute di proprietà ed esiste infine un ufficio legale che ha appena concluso un programma di vetting per magistrati ed ex magistrati kosovari. Quest’ultima, in particolare, è stata un’impresa titanica per i legal officers dell’OSCE, che hanno dovuto verificare che i magistrati (o aspiranti tali) avessero effettivamente i requisiti per esercitare la professione.

 

Ad esempio, come è possibile far sedere sulla trial bench qualcuno che non ha la più pallida idea del funzionamento del nuovo sistema giuridico kosovaro e che si ostina ad applicare i Codici serbi? Lungi dall’essere una disputa teorica ad appannaggio esclusivo di giuristi e operatori del diritto, il problema è decisamente pratico e tangibile, e il suo impatto sulla vita di migliaia di cittadini è enorme.

 

IL KOSOVO DEGLI ALTRI: ROM E ASHKALI – A pochi metri dall’ufficio OSCE di Mitrovica si trova una distesa di case anonime, coi panni stesi fuori dalle finestre e un vociare confuso di bambini che giocano. In questo quartiere, noto come Roma-Mahalla, abitano esclusivamente rom e ashkali. Per loro l’OSCE ha avviato un programma apposito, “Roma, Ashkali and Egyptians (RAE), che punta ad intensificare il dialogo con queste comunità troppo spesso dimenticate dalle istituzioni.

 

E’ bastata una mattinata trascorsa a chiacchierare con alcuni dei residenti di Roma-Mahalla per capire che, se la vita è dura per serbi e albanesi, per i rom e per gli altri nomadi del paese è quasi impossibile. “Sono stato per diciotto anni in Italia, a Bergamo, e lì facevo l’operaio e guadagnavo abbastanza per poter avere una vita dignitosa. Avevo una stanza in un piccolo appartamento e potevo uscire la sera. A Roma-Mahalla è diverso: la sera non si può uscire, rischi di essere picchiato e rispedito indietro. E poi non c’è lavoro. Ho fatto domanda per fare l’autista, l’elettricista, l’insegnante e tanto altro, ma non mi hanno assunto da nessuna parte. Sono disoccupato, e non riesco neppure a mangiare tutti i giorni” – ci racconta, in perfetto italiano, un residente di questo ghetto rom.

 

“In Germania avevo un lavoro, ma poi mi hanno rimandato in Kosovo, subito dopo la fine della guerra. Qui non ho trovato niente e nessuno ad aspettarmi, e non mi sono ancora rifatto una vita…. ma d’altra parte qui sono tutti disoccupati, non c’è lavoro neanche per gli albanesi, figuriamoci per i rom!” – aggiunge un altro, in perfetto tedesco.

 

Non c’è da meravigliarsi: il Kosovo ha un tasso di disoccupazione che sfiora il 60%, e i primi a farne le spese sono rom e ashkali: quasi nessuno di loro lavora o riceve sussidi dallo stato, e non è raro che bambini e anziani muoiano di fame e freddo nei rigidi inverni di Mitrovica. Come se non bastasse, al disastro economico si somma un feroce misto di razzismo e indifferenza. In un Kosovo che fatica a respirare, i rom sono solo un peso, sono gli ultimi tra i poveri, ai quali viene negato tutto o quasi. Durante un incontro organizzato dall’Università di Pristina e dall’Associazione KIPRED (ONG kosovara impegnata sul fronte della rule of law), chiediamo ai relatori di dirci, a parer loro, quale categoria sociale o gruppo etnico è maggiormente svantaggiato in termini di accesso alla giustizia.

 

La risposta non tarda ad arrivare. Un rappresentante delle ONG conferma le nostre impressioni: “I rom sono i più emarginati, vivono letteralmente privi di diritti”. Gli fa eco immediatamente il rappresentante dell’ufficio dell’Ombudsman, attivo in Kosovo da oltre dieci anni.

 

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KOSOVO A PIÙ VELOCITÀ – La strada è ancora lunga, e in salita, ma non si può non riconoscere che il Kosovo di oggi sia un paese dinamico e desideroso di mettere solide radici nel sistema internazionale. Stanco di essere preda di venti di guerra, l’ultimo nato tra gli stati balcanici sta compiendo i suoi primi passi nel mondo, dalla partecipazione politica internazionale al rispetto degli standard giuridici di diritti umani stabiliti nelle Convenzioni ONU.

 

Infatti, pur non essendo membro delle Nazioni Unite, il Kosovo ha già presentato due country report agli appositi meccanismi ONU, in materia di tutela dei diritti dei minori e di tutela dei diritti economici, sociali e culturali. Tutto ciò è potuto accadere grazie ad un accordo ad hoc realizzato durante l’amministrazione transitoria di UNMIK, la missione di peacekeeping facente capo proprio alle Nazioni Unite.

 

Ad ogni modo, i nodi irrisolti restano molti, e in questo articolo ho provato a raccontarne alcuni… quelli che mi hanno colpito di più, quelli che giudico più pressanti o semplicemente quelli che ho sentito nominare con maggiore insistenza e vigore durante il mio soggiorno a Pristina. Se è vero che bisogna essere consapevoli che la dichiarazione di indipendenza del Kosovo (17 febbraio 2008) rappresenta una partenza e non un arrivo, è anche onesto riconoscere, tre anni dopo, che non tutti sono “partiti”, o quanto meno che le varie comunità etnico-religiose e i vari gruppi socioeconomici si muovono a velocità nettamente diverse.

 

Non resta che osservare i prossimi passi del governo kosovaro e degli attori internazionali presenti in loco, sperando che la crescita del paese si sviluppi in maniera più armonica negli anni futuri.

 

Anna Bulzomi

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