Il Re Mohammed VI del Marocco ha indetto un referendum per chiedere l'approvazione di una serie di riforme costituzionali in senso democratico, come la libertà di associazione e di espressione e il diritto ad un giusto processo. Si tratta di un sovrano virtuoso, in controtendenza con gli avvenimenti di Libia e Siria? Non del tutto: le repressioni violente avvengono anche a Rabat e Casablanca e le riforme sembrano solo dei “contentini” di facciata.
Tratto da Notizie Radicali
ECCEZIONE MAROCCHINA? – Il Marocco potrebbe apparire come l’eccezione alla regola di ciascuna rivoluzione o repressione violenta che negli ultimi tempi ha preso corpo nei paesi arabi.
Venerdì 1 luglio si è tenuto un referendum a proposito di un ampio pacchetto di riforme costituzionali che il Re Mohammed VI aveva annunciato lo scorso 17 Giugno, apparentemente in risposta al 20 Febbraio – Movimento per il Cambiamento, un movimento di contestazione giovanile ispirato dalle rivolte di Egitto e Tunisia.
Tuttavia, nonostante in Marocco ci siano tutte le possibilità per una svolta autentica, i buoni propositi del Re non godono ancora di molto credito. Le mie recenti conversazioni con molti marocchini tra Rabat e Casablanca, lasciano intendere quanto sia ampio il divario tra la posizione ufficiale tenuta dal governo ed il modo in cui esso tratti i propri cittadini.
NO ALLE PROTESTE – I dimostranti mi hanno riferito che le forze di sicurezza hanno attaccato ripetutamente e violentemente, a colpi di bastone, chi manifestava, senza alcun ammonimento preventivo. In alcuni casi le guardie sono andate a scovarli in strada anche molto tempo dopo che la manifestazione era stata ormai dispersa.
Hamza, uno studente di giornalismo e filosofia di 25 anni, orgoglioso di aver scritto degli slogan per il movimento del 20 Febbraio, mi ha raccontato di come le forze di sicurezza l’abbiano picchiato così forte che, ad alcune settimane di distanza, continua ogni giorno ad accusare degli svenimenti. Alcune ragazze che hanno preso parte alle manifestazioni, invece, raccontano di essere state colpite tra le gambe dai manganelli della polizia, che le ha inoltre apostrofate come “puttane”.
Kamal Amari, un manifestante della città di Safi, è morto in ospedale quattro giorni dopo essere stato pestato. Il governo sostiene che il decesso non sia stato causato dalle ferite, ma il procuratore generale deve ancora comunicare alla sua famiglia il risultato definitivo dell’autopsia.
I racconti che ho avuto modo di ascoltare a Rabat e a Casablanca descrivono tutti lo stesso tipo di violenze perpetrate dalle forze di sicurezza in occasione di una serie di manifestazioni, la maggior parte delle quali svoltesi a Maggio, il che suggerisce l’esistenza di una decisione di natura politica di rispondere in questo modo. Quando, un paio di settimane fa, ho assistito ad una manifestazione a Rabat, è stato facile individuare gli agenti in borghese gironzolare attorno, intenti a fotografare me e i dimostranti.
Per i manifestanti è molto difficile credere che le riforme proposte dal re siano genuine, quando poi vengono picchiati per strada. Anche perché, mentre il sovrano afferma che il processo di riforme include le consultazioni con i giovani, nei fatti le modifiche alla costituzione sono state redatte dai comitati da lui pilotati, per lo più a porte chiuse.
Perfino il testo non è stato reso pubblico fino alla metà di Giugno. I Marocchini hanno avuto appena un paio di settimane per discutere circa 80 modifiche alla costituzione prima di votarle: più che partecipativo, si è trattato di un processo deliberativo.
VERA RIFORMA? – Le modifiche proposte comprendono alcune disposizioni degne di nota su diritti umani e separazione dei poteri. Esse assimilano alla legge Marocchina i trattati internazionali sui diritti umani ratificati dal Marocco, criminalizzano la tortura e la detenzione arbitraria e garantiscono il diritto ad un giusto processo ed alla libertà di espressione.
Altre norme rafforzano l’indipendenza delle autorità giudiziarie, conferiscono più poteri esecutivi al primo ministro e riconoscono alle popolazioni Amazigh (i Berberi) il Tamazight come lingua ufficialmente riconosciuta.
Ma i cambiamenti preservano anche molte delle prerogative del re, come il potere di sciogliere le camere a propria discrezione.
Ma la cosa più importante è il fatto che non sia chiaro se i cambiamenti costituzionali proposti possano effettivamente modificare il funzionamento quotidiano dello stato.
La costituzione del Marocco contemplava già, ad esempio, la libertà di espressione e di opinione, ma ciò non ha tenuto il governo al riparo dalle critiche, anche da parte dei giornalisti, per detenzione arbitraria. Né ha impedito all’amministrazione di negare il visto d’ingresso ai cronisti stranieri i cui racconti erano sgraditi. Al Jazeera TV è stata costretta a terminare le proprie attività dopo che il Marocco aveva negato l’ingresso a sette giornalisti.
Rachid Nini, un popolare giornalista che aveva fornito testimonianze della corruzione conclamata e delle violazioni dei diritti umani commesse dai funzionari governativi, è stato recentemente condannato ad un anno di prigione per aver “scritto di crimini non veri”.
La costituzione Marocchina inoltre prevedeva già la libertà di associazione, e la legge Marocchina afferma che, per agire in maniera legale, le organizzazioni debbano soltanto registrarsi alle autorità locali. Ma i funzionari del Ministero degli Interni sono soliti rifiutarsi di accettare le domande di registrazione quando il governo è in disaccordo con gli obiettivi del gruppo o con i suoi membri, così come documentato da Human Rights Watch in un rapporto del 2009.
Nonostante la costituzione proibisse già gli arresti arbitrari, e le leggi locali ponessero le condizioni per il diritto ad un processo giusto, le violazioni di questi diritti sono alquanto frequenti, con corti che abitualmente ignorano le richieste di accertamenti medici da parte di imputati che dichiarano di aver subito torture, rifiutano di citare testimoni a favore della difesa e condannano gli imputati sulla basi di confessioni apparentemente estorte. Recentemente il governo ha trattenuto tre attivisti non-violenti, che invocavano l’indipendenza del Sahara Occidentale, in custodia cautelare per 18 mesi, con l’accusa di “danneggiare la sicurezza interna” sulla base di prove esigue a loro carico.
Non sorprende che mentre alcuni dei manifestanti picchiati abbiano presentato reclami contro la brutalità della polizia, nessuna delle persone che ho intervistato abbia indicato un singolo caso che il procuratore di stato abbia portato avanti.

DISILLUSIONE – In un paese dove gli interessi dei potenti in genere pesano più della stessa legge, riesce facile comprendere il cinismo dei manifestanti relativamente ai cambiamenti della costituzione o delle altre leggi.
In troppi, fuori dal Marocco, guardano positivamente a ciò che sta a accadendo: dopotutto questa non è la Siria, la Libia o il Bahrain. Le forze di sicurezza non stanno massacrando i dimostranti. L’opposizione non è stata radunata e imprigionata. Ed il re ha proposto alcuni cambiamenti necessari.
Ma secondo molti dei giovani Marocchini che hanno spinto per un cambiamento – con slogan semplici come “libertà”, “giustizia” e “democrazia” – fin da Febbraio, l’appoggio incondizionato alle riforme proposte dal re equivarrebbe ad un tradimento dei propri valori, ad un accontentarsi di poco a causa del contesto geografico nel quale è inserito il loro paese.
Infine, il vero test per le riforme del Marocco, sarà se i Marocchini potranno esprimersi senza paura e partecipare alle decisioni che li riguardano, e se potranno contare sul fatto che le autorità giudiziarie operino indipendentemente e che puniscano le responsabilità di coloro che hanno usato la violenza contro il popolo Marocchino.
Maria McFarland