Nemmeno in Brasile, al contrario di quello che si possa pensare, il panorama economico è idilliaco. Esistono infatti alcuni segnali che devono destare l'attenzione del Governo: una crescita che sta rallentando e l'inflazione in aumento, così come il valore troppo alto della moneta nazionale, che sta penalizzando l'export a vantaggio, manco a dirlo, della Cina. Quali politiche economiche adottare in un momento simile?
LA FRENATA – Dal + 7,5 % nel 2010 a un “magro” – molto probabilmente – + 3,5 % nel 2011. Si tratta delle prospettive di crescita del PIL brasiliano per l'anno in corso: un dato decisamente più basso rispetto al “boom” di un anno fa, e che ha destato qualche campanello d'allarme nelle istituzioni e tra gli analisti. Come mai il Brasile crescerà molto meno quest'anno, a differenza di altri Paesi, come la vicina Argentina, le cui prospettive di aumento del Prodotto Interno Lordo sono molto più alte (si aggirano intorno al 6%)? La causa principale risiede nel rallentamento delle esportazioni nel settore manifatturiero, che sta avendo ripercussioni anche sul mercato del lavoro interno. Andiamo a vedere che cosa sta accadendo con maggiore attenzione.
LA CINA E' VICINA – Da diverso tempo c'è preoccupazione in Brasile per l'eccessivo apprezzamento della valuta locale, il real. I dati più recenti (aggiornati al 9 settembre) dicono che un dollaro USA vale 1,67 reais: un valore decisamente troppo alto per un Paese che è ancora in via di sviluppo e che dovrebbe fare della competitività delle sue esportazioni uno dei maggiori punti di forza. Per dare un'idea, spostiamoci ancora nella vicina Argentina: qui un dollaro USA viene scambiato con 4,2 pesos. In questo caso la dinamica del tasso di cambio è stata opposta rispetto al Brasile: negli ultimi anni il peso si è deprezzato rispetto al dollaro e le esportazioni ne hanno giovato.
Questo piccolo “deficit” in termini di competitività accusato dal Brasile si sta traducendo in una riduzione dell'export in alcuni settori chiave dell'industria locale. Chi ne sta traendo vantaggio? Manco a dirlo, la Cina. Recenti statistiche affermano che il 57% delle imprese brasiliane hanno sofferto negli ultimi tempi della concorrenza cinese e il 21% delle aziende calzaturiere (il Brasile è uno dei principali produttori mondiali di scarpe) ha smesso di esportare proprio a causa di questa competizione. Il passaggio successivo è una minore offerta di lavoro: la creazione di nuovi impieghi ha subito un rallentamento, da 215mila nel mese di giugno a 14mila a luglio. Anche la crescita del PIL si è bruscamente arrestata: nel mese di agosto l'aumento è stato dello 0,8% su base annua.

GLI INTERVENTI – Da diversi anni la Banca Centrale brasiliana mantiene il tasso di interesse SELIC, che misura il “costo” del denaro locale, piuttosto alto, allo scopo di contenere l'inflazione. Da pochi giorni questo tasso è stato ridotto dal 12,5 % al 12%, al fine di inserire maggiore liquidità nel mercato e di ridare impulso alla crescita economica. Si tratta però di un'arma a doppio taglio: abbassare il tasso di interesse comporta il rischio di un aumento dell'inflazione, mentre dalla parte opposta alzare il tasso può contenere l'aumento dei prezzi ma può rivelarsi depressivo per la crescita. La coperta, insomma, è corta. Le autorità monetarie brasiliane prevedono un'inflazione più bassa per il primo trimestre del 2012, dunque hanno ritenuto che la misura fosse opportuna durante questa specifica congiuntura.
PROSPETTIVE – I brasiliani devono cominciare a preoccuparsi e i grandi sostenitori della crescita verde-oro devono cessare lo squillo delle loro trombe entusiastiche? Decisamente no. La situazione non è critica: il Brasile sta semplicemente entrando in una fase caratterizzata da tassi di crescita più “normali”, tipici tra l'altro di un Paese sviluppato. Un aumento del PIL nell'ordine del 10% è tipico di nazioni sottosviluppate (per esempio, gli Stati africani più dinamici come l'Angola) oppure è “finanziabile” solo sacrificando la stabilità dei prezzi (vedi la vicina Argentina).
L'eccessivo apprezzamento del real è tuttavia un fatto di cui tenere conto, in chiave di penalizzazione delle esportazioni. Dall'altra parte, però, va considerato che il Brasile possiede un mercato interno enorme (duecento milioni di potenziali consumatori) ed in continua espansione, visto che la povertà è in continua diminuzione e che la classe media costituisce ormai maggioranza nel Paese. Insomma: niente paura. Il colosso sudamericano, almeno per il momento, è ancora in corsa.
Davide Tentori