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L’embargo russo: chi vince e chi perde?

All’inizio di agosto Mosca ha annunciato il varo di una serie di misure protezionistiche nel mercato agricolo contro tutti i Paesi che applicano sanzioni commerciali verso la Russia. Questo ha significato lo stop all’importazione di un’ampia gamma di prodotti alimentari prodotti da UE, USA e, in minor misura, Australia e Canada. Una decisione carica di conseguenze che porterà a interessanti cambiamenti nel mercato globale e che rischia di avere effetti controproducenti per i consumatori russi. Mosca, infatti, qualche giorno fa ha deciso di allentare le sanzioni per alcuni prodotti nella “lista nera”. Chi sono dunque i vincitori e i vinti in questa nuova battaglia commerciale?

L’ANTEFATTO – La decisione del Cremlino è solo l’ultimo affondo di un duello tra Russia e Occidente che procede serrato sin dall’inizio della crisi in Ucraina. Da marzo l’economia russa ha subìto un “assedio commerciale” da parte di UE e Stati Uniti. Una serie di attacchi a settori strategici ha innescato una fortissima fuga di capitali che sta duramente penalizzando il rublo. Già dall’inizio della crisi Washington e Bruxelles hanno adottato provvedimenti diretti contro esponenti politici ed economici russi e ucraini, ai quali è stato vietato l’ingresso in Occidente e impedita la disponibilità dei propri asset al di fuori della Russia. Gli Stati Uniti hanno poi rincarato la dose con sanzioni mirate a banche e aziende del settore energetico e militare. Fino a luglio l’UE ancora tentennava nella speranza di salvaguardare i rapporti con l’importante vicino. Tuttavia, dopo l’abbattimento del volo MH17 – sul quale il ruolo del Cremlino deve ancora essere chiarito – l’UE ha inasprito notevolmente le sanzioni a carico di Mosca. Oltre a replicare le misure adottate dagli USA, ha bloccato i finanziamenti concessi dalle banche multilaterali europee. La risposta russa non si è fatta attendere.

RISVOLTI IN EUROPA – La Russia, con i suoi 143 milioni di abitanti, costituisce lo sbocco di circa il 10% dell’export agroalimentare europeo. Un mercato che nel 2013 valeva in totale più di 11 miliardi di euro e oggi risulta dimezzato. Finora l’embargo russo è costato all’UE 130 milioni di euro, a supporto di piccoli produttori e aziende agricole di media dimensione. I Paesi più colpiti sono Lituania, Germania e Olanda, e produzioni specifiche come i latticini finlandesi, il pescato norvegese, la frutta polacca e il pollame statunitense. La conseguenza immediata di queste restrizioni sarà l’aumento dell’offerta di prodotti agroalimentari e la diminuzione dei prezzi nel mercato europeo a tutto vantaggio dei consumatori, che negli ultimi due anni hanno già beneficiato di un consistente rallentamento dell’inflazione. Tuttavia, questi nuovi sviluppi rafforzano ulteriormente il rischio deflazione. L’atteggiamento di Mosca inoltre crea preoccupazione in Europa soprattutto sul fronte energetico, data la sua forte dipendenza dalle forniture russe di gas e petrolio. Se la crisi ucraina dovesse prolungarsi, è prevedibile che l’UE si muova verso una maggiore diversificazione dei propri fornitori di materie prime.

Putin e Poroshenko si danno la mano e si scambiano un sorriso a denti stretti
Putin e Poroshenko si danno la mano e si scambiano un sorriso a denti stretti

RISVOLTI IN RUSSIA – La situazione attuale segna uno dei punti di basso nelle relazioni tra Russia e Occidente dopo la caduta del Muro di Berlino. È certo che la decisione di Mosca vada a intaccare sia il portafoglio, sia la tavola dei consumatori russi. Nonostante il primo ministro Medvedev abbia recentemente dichiarato che le misure protezionistiche non avranno alcun impatto sui prezzi, si stima che, almeno nell’immediato, il costo dei prodotti alimentari subirà un aumento di circa il 2%, che aggrava il dato sull’inflazione, stimato per quest’anno intorno al 7,5%.
Anche la qualità dei prodotti rischia di subire un peggioramento, poiché Mosca dovrà rivolgersi a Paesi che non necessariamente applicano gli standard occidentali nella produzione alimentare. Infine, l’embargo russo ridurrà di molto la scelta per i consumatori, che non potranno più accedere a prodotti ormai ampiamente diffusi come formaggi italiani e francesi, insaccati e pollame, olio d’oliva, frutta e verdura fresca non disponibili in Russia.

…E IL TERZO GODE – Il giro di affari aumenterà nei Paesi dell’area che non fanno ancora parte dell’UE, come Bielorussia e Serbia, che da sempre hanno un rapporto privilegiato con la Russia. Per quanto riguarda gli attori emergenti, da settimane le grandi aziende di agribusiness latinoamericane e cinesi corteggiano Mosca. In particolare l’Argentina è pronta ad aumentare le esportazioni di prodotti alimentari come vino, olio d’oliva, carne e formaggi. Nel solo settore caseario la maggiore domanda russa potrebbe tradursi in un incremento del 20% delle sue esportazioni totali.
Le multinazionali occidentali come McDonalds, Unilever e Nestlé, che producono e distribuiscono cibo in Russia non saranno toccate dalla decisione del Cremlino. Anzi, avendo contratti di fornitura per commodity agricole con molti di questi Paesi emergenti, esse potranno incrementare le vendite sul mercato russo e contemporaneamente godere di maggiori economie di scala.
In definitiva, mentre il mercato del cibo diventa più globale, la distanza tra Paesi sviluppati ed emergenti si fa più ampia.

Valeria Giacomin

[box type=”shadow” ]Un chicco in più

La Russia non è nuova alla pratica dell’embargo sui prodotti agricoli. Già dal febbraio 2013 il Governo di Putin aveva sancito lo stop alle importazioni di carne di maiale e manzo proveniente dagli Stati Uniti per un valore di circa 590 milioni di dollari. Ciò a causa dell’impiego della ractopamina, un farmaco utilizzato per rendere la carne più polposa e magra. Nonostante questa sostanza abbia generato pesanti effetti collaterali specialmente sui maiali, i produttori americani hanno bollato la decisione russa come «non scientifica», accusando il Cremlino di aver agito in risposta all’ingerenza degli Stati Uniti nel famoso – e nebuloso – caso Magnitsky. [/box]

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Valeria Giacomin
Valeria Giacomin

Laurea Triennale in Finanza presso l’università Bocconi nel 2009, Double Degree in International Management con la Fudan University di Shanghai tra il 2009 e 2011 e master di secondo livello in Economia del Sud Est Asiatico presso la SOAS di Londra nel 2012. Più di due anni in giro per l’Asia e gran voglia di avventura. Tra il 2010 e il 2012 ho lavorato in Vietnam come analista, a Milano come giornalista e a Città del Capo presso una compagnia e-commerce.
Le mie aree d’interesse sono il commercio internazionale, business development e dinamiche di globalizzazione nei paesi emergenti, in particolare nel settore delle commodities agricole.
Dal 2013 sono PhD Fellow in Danimarca presso la Copenhagen Business School. Sto scrivendo la mia tesi di dottorato sull’evoluzione del mercato dell’olio di palma in Malesia e Indonesia e più in generale seguo progetti di ricerca sul settore agribusiness in Sudest Asiatico.

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