La Bolivia il prossimo mese dovrà scegliere il nuovo Presidente. Il favorito è Evo Morales, che nonostante i toni accesi della campagna elettorale sembra non avere rivali. Il Presidente indigeno però, alla ricerca del suo terzo mandato consecutivo, dopo aver guidato con successo il Paese verso una maggiore stabilità economica e sociale, pare aver perso di vista i principi di un processo elettorale democratico.
ELEZIONI GENERALI – Anche per la Bolivia il 2014 sarà l’anno delle elezioni presidenziali. Il Tribunale supremo elettorale (TSE) ha convocato per il prossimo 12 ottobre le elezioni generali, le seconde dopo la riforma costituzionale del 2009 e le prime supervisionate dal nuovo Órgano Electoral Plurinacional (OEP). I circa 6 milioni di boliviani chiamati alle urne, oltre alla carica di Presidente rinnoveranno la composizione della Camera dei deputati e del Senato. Un momento importante per il consolidamento della democrazia in un Paese classificato, secondo l’indice Freedom House, «parzialmente libero». A garanzia di un processo elettorale trasparente, il Tribunale supremo elettorale ha stipulato un accordo con l’Organización de Estados Americanos (OEA) per l’invio di una delegazione di osservatori elettorali, che monitoreranno gli scrutini con altri rappresentati delle maggiori Organizzazioni regionali. Alle elezioni, che decreteranno il Presidente in carica dal prossimo 22 gennaio, potranno partecipare per la prima volta anche i residenti all’estero.
L’EX PRESIDENTE – Il protagonista assoluto è Evo Morales. Il Presidente uscente domina il panorama politico Boliviano dal 2005 e difficilmente la frammentata opposizione potrà tener testa alla sua rete di sostegno. Con il partito Movimiento al Socialismo (MAS), Morales ha garantito a uno degli Stati più instabili del Sud America una relativa prosperità e tranquillità dal momento in cui è salito al potere. La nomina del sindacalista ed ex coltivatore di coca ha coinciso con un processo di riforma volto a ridurre le disparità economiche e sociali. Durante il suo Governo il tentativo di coniugare crescita economica e benessere collettivo è stato portato avanti nazionalizzando alcune imprese delle telecomunicazioni e del settore energetico, come nel caso della britannica Rurelec nel 2010 e della spagnola Red Eléctrica nel 2012, e riducendo il peso delle imprese estere che operano in settori vitali dell’economia. Sul piano sociale, oltre a diversi programmi di assistenza, la lotta alle disuguaglianze è avvenuta attraverso l’adozione di una nuova Costituzione, nel 2009, che proclamando la Bolivia uno Stato plurinazionale riconosce i diritti delle minoranze indigene. Il Presidente è una delle personalità internazionali più critiche nei confronti degli Stati Uniti e del liberismo, una figura carismatica che è riuscita a divenire il leader dei coltivatori di coca e della popolazione indigena. Morales è alla ricerca di una terza conferma consecutiva, che potrebbe avvenire facilmente, ma che lascia alcuni dubbi sulla sua legittimità.
DUBBI – La popolarità del Presidente Boliviano sembra essere leggermente in calo. Oltre ad aver compromesso il mito del Presidente indigeno che tutela le minoranze a causa della decisione di costruire, nel 2011, un’autostrada che avrebbe dovuto attraversare il Paese e il Parco nazionale Isiboro-Secure, Morales ha subito pesanti critiche dall’opposizione per la sua controversa candidatura. L’articolo 168 della Costituzione della Bolivia, infatti, stabilisce che il Presidente e il vicepresidente possano essere rieletti, di seguito, solo una volta. La costituzionalità della sua rielezione è stata però giudicata positivamente dal massimo organo giuridico del Paese, il Tribunale costituzionale, stabilendo che il periodo del primo mandato, tra il 2006 e il 2009, non deve essere preso in considerazione, poiché antecedente all’entrata in vigore della Costituzione stessa. Il meccanismo di supervisione delle garanzie costituzionali appare però lacunoso e problemi come la corruzione endemica e la scarsa autonomia della magistratura rendono la Bolivia un Paese con uno status democratico non del tutto realizzato.
OPPOSIZIONE – I sondaggi confermano il vantaggio di Morales: secondo le statistiche diffuse dal Tribunale elettorale lo scorso mese, le intenzioni di voto per il 43% dei boliviani sono a suo favore. Per confermare la sua carica di Presidente e quella di vice presidente di Álvaro García Linera, Morales, dovrà ottenere la maggioranza assoluta o almeno il 40% con un margine di vittoria di almeno dieci punti percentuali. Il rischio, altrimenti, è di confrontarsi in un’eventuale seconda tornata elettorale che si terrà il 7 dicembre. Il Presidente, però, sembra poter avere vittoria facile. Le differenze ideologiche dell’opposizione non hanno permesso di individuare un unico candidato da presentare alle elezioni, cosicché gli sfidanti saranno quattro e disperderanno ulteriormente i voti. Samuel Doria Medina del partito Concertación de la Unidad Demócrata (CUD), un noto imprenditore con una visione politica lontana dall’attuale Presidente, sarà il principale rivale di Morales, con un favore del 16,3%. Jorge “Tuto” Quiroga, leader della Democrazia cristiana, ha un favore dell’8,1%, Juan Del Granado del Movimiento sin Miedo un 2%, mentre Fernando Vargas del Partido verde appena uno 0,3%. Nonostante le statistiche non impensieriscano Morales, il clima è di forte competizione. I partiti di opposizione lamentano la scarsa imparzialità del Tribunale supremo elettorale e difficoltà nel gestire la campagna stessa. Morales sembra in pieno vantaggio grazie alla sua posizione e alla popolarità ottenuta con gli scorsi mandati, soprattutto tra le classi sociali più disagiate. I candidati dei partiti di opposizione, invece, oltre a non avere fondi economici sufficienti per condurre una campagna elettorale che possa contrastare la visibilità del Presidente, a causa di una risoluzione dello stesso Tribunale elettorale non potranno apparire sui mezzi di comunicazione nei trenta giorni antecedenti le elezioni. Uno scontro che si basa non sui programmi di governo, ma sulla disparità dei mezzi tra i contendenti e l’imparzialità del Tribunale elettorale, elementi caratteristici di una campagna che minaccia la credibilità della democrazia.
Annalisa Belforte
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Un chicco in più
ALBA – Alleanza bolivariana per le Americhe)
L’ALBA è un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i Paesi dell’America latina e i Paesi caraibici, promossa dal Venezuela e da Cuba. L’aggettivo «bolivariana» si riferisce al generale Simón Bolivar, figura storica sostenitrice della liberazione di alcuni Paesi sudamericani dal colonialismo spagnolo. Nasce nel 2004 per volontà di Fidel Castro e Hugo Chávez in contrasto all’ALCA (FTAA – Free Trade Agreement of the Americas), organizzazione liberista voluta dagli Stati Uniti, ma subito naufragata per la resistenza dimostrata da diversi Paesi della regione. La Bolivia, con il presidente Evo Morales, ha aderito all’accordo nel 2006. La “nuova sinistra” sudamericana propone una visone alternativa rispetto all’egemonia statunitense, promovendo uno sviluppo endogeno della regione. L’ALBA pone in rilievo la lotta alla povertà e l’esclusione sociale proponendo un modello economico che riconosce le asimmetrie tra i Paesi membri e si basa sulla creazione di meccanismi che prevedono il pagamento tra Stati anche con prodotti agricoli e prestazioni professionali. Il futuro dell’alleanza, però, dopo la morte del leader carismatico Hugo Chávez sembra incerta.[/box]