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Parliamo di sanzioni (3)

Concludiamo il nostro focus sul tema delle sanzioni internazionali. I regimi mostrano di avere un’alta resistenza alle sanzioni. E’ curioso invece come si continui a fare grande affidamento su di esse sperando possano avere effetti anche a breve termine. In realtà il problema è che le alternative sono o peggiori oppure non più applicabili. Quando si arriva ad applicare sanzioni infatti la situazione è già critica e lunghi tempi per cambiare approccio possono non essere più disponibili

 

Terza parte CHE FARE? – Nel momento in cui ci accorgiamo che le sanzioni, delineate come lo sono ora, non funzionano, bisogna però anche chiedersi che alternativa esista. Ovviamente esiste il conflitto, che non a caso è risultato essere l’unico sistema capace di operare un regime change laddove siano state implementate sanzioni: Serbia, Afghanistan, Iraq, Libia. Tuttavia i problemi diplomatici, politici, umanitari e operativi sono indubbi, soprattutto nei casi in cui il conflitto potrebbe non limitarsi al singolo paese ma essere foriero di maggiori instabilitĂ  regionali (è proprio il caso di Siria e Iran). Eppure la scelta militare continua ad essere quella di preferenza qualora infine ci si accorga che le sanzioni non hanno avuto effetto. PerchĂ©? Il motivo va ricercato probabilmente nel fallimento della diplomazia.

 

MEGLIO SENZA? – Si potrebbe dire che le sanzioni funzionano solo quando non vengono usate, ovvero quando la semplice minaccia di imporle basta a provocare un cambio di rotta al governo affetto. Questo non deve sorprendere perchĂ© se un regime si sente sufficientemente forte da non volersi piegare davanti alla comunitĂ  internazionale prima che scattino le sanzioni, probabilmente è perchĂ© sa proprio che può sopportarle, almeno per qualche tempo. Inoltre, ammettere di cedere davanti alle sanzioni viene visto come cedere all’intimidazione straniera, cosa che molti regimi, applicando una politica di potenza che si presenta capace di sfidare il mondo, non possono o non vogliono accettare. Al contrario, se quel governo si sente vulnerabile alle sanzioni, probabilmente cederĂ  prima di vedersele comminare.

 

FORSE E’ GIA’ TARDI – Dunque se l’imposizione di sanzioni è essa stessa l’espressione della capacitĂ  di resistenza del paese bersaglio (mi sanzionano perchĂ© non ho intenzione di cedere e so che non avrò bisogno di cedere perchĂ© ho tutte le contromisure), la guerra diventa poi l’unico esito plausibile per risolvere la questione dopo l’applicazione delle sanzioni. Cosa significa? Significa che una volta arrivati alle sanzioni è giĂ  un po’ troppo tardi e che perciò la comunitĂ  internazionale lo spazio di manovra dovrebbe trovarlo PRIMA.

 

DIPLOMAZIA – Le motivazioni per le quali la diplomazia non riesce a trovare tale spazio o arrivare a dei risultati prima dipende molto caso per caso, ma spesso manca la volontĂ  di osservare il problema da piĂą angolazioni e cercando soluzioni non sempre ortodosse. In molti casi questo implica il cercare di capire le motivazioni (non solo politiche, economiche e diplomatiche, ma anche culturali, sociali e psicologiche) dietro a determinate politiche di potenza o posizioni ostili, oppure l’offrire vie d’uscita che non risultino umilianti (quest’ultimo metodo ad esempio fu alla base della liberazione degli ostaggi USA in Iran dopo la rivoluzione del 1979). Spesso la diplomazia occidentale, indipendentemente da quanto giustificate possano essere o meno le sue richieste , si pone in posizione di esigere che l’altra parte accetti le sue condizioni senza offrire sufficienti contropartite, o meglio supponendo (spesso sbagliando) che le contropartite offerte abbiano un valore adeguato. A volte non viene nemmeno offerta la riduzione delle sanzioni. A questo si associ il clima di sfiducia che spesso si viene a creare dopo decenni di contrasti e che a volte rende impossibile una ridefinizione dell’intero processo negoziale: se tu hai cercato di danneggiarmi e ingannarmi in ogni modo fino ad ora, come posso crederti? Creare un nuovo negoziato che porti ad accordi seriamente accettati da tutti gli attori coinvolti diventa così molto piĂą complesso, a volte impossibile.

 

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TEMPISMO – Il processo diplomatico deve perciò iniziare il prima possibile e puntare a comprendere meglio l’altra parte per trovare punti di contatto subito, prima che la situazione degeneri oltre situazioni difficilmente recuperabili. La situazione attuale invece vede spesso un considerevole spreco di tempo in iniziative diplomatiche non appropriate. Meno tempo disponibile significa meno chance di un accordo in tempi rapidi. Dunque va continuato lo sforzo negoziale sempre e comunque? Le porte non vanno mai chiuse totalmente (almeno per permettere una soluzione davvero last-minute), ma non bisogna però neanche essere ingenui: proprio perchĂ© in alcuni casi (come in Iran) la situazione diplomatica appare giĂ  molto compromessa e difficilmente revisionabile, il dialogo rischia di diventare un’arma nelle mani di quei regimi che cercano solo di guadagnare sufficiente tempo per raggiungere i propri scopi prima di una risposta piĂą seria. Fu il caso di Milosevic in Serbia durante i massacri in Kosovo ed è il caso di Teheran ora per quanto riguarda il programma nucleare. Perfino lo stesso Bashar Assad ha recentemente affermato di accettare il piano di pace della Lega Araba per poi invece continuare la repressione. In tali casi, lo spazio diplomatico è quasi nullo e per ricrearlo ci vorrebbe tanto tempo, che a questo punto forse manca. Ecco perchĂ© l’opzione militare diventa piĂą appetibile.

 

COMUNQUE SERVONO – Badate, questo non significa che non vada eseguita nessuna sanzione. Come giĂ  detto, se si arrivano a considerare sanzioni, la situazione è giĂ  compromessa. Inoltre le sanzioni militari sono spesso efficaci davvero a ridurre le capacitĂ  belliche dei regimi (anche se non ne eliminano la pericolositĂ ), e quelle personali ed economiche sui patrimoni esteri strettamente legati alla leadership possono comunque, in alcuni casi, ridurre la loro capacitĂ  di usare fondi per scopi pericolosi. Ma non bastano e non basteranno, dunque non stupiamoci se nuove sanzioni non risolveranno i dossier diplomatici siriano e iraniano. Rimane importante il supporto di quella parte della societĂ  civile che, quando prende coscienza, può determinare essa stessa dall’interno un cambio di rotta o addirittura un regime change. E’ avvenuto in Tunisia ed Egitto, e altrove ha permesso riforme. Ma perchĂ© ciò avvenga questa parte di societĂ  civile deve esistere ed essere interessata a migliorare la propria condizione e guidare il proprio destino. Può accadere in Iran, mentre in Siria di fatto è giĂ  iniziata la guerra civile, fattore che aumenterĂ  quel processo di disgregamento interno della societĂ  e delle istituzioni di cui abbiamo parlato in precedenza.

 

GUARDIAMO LA REALTA’ – Era meglio affrontare diversamente la situazione in passato, perchĂ© ora l’alternativa, il BATNA dell’Occidente in questi casi, è poco favorevole: se non si trovano accordi diplomatici (ora compromessi), che alternativa esiste? Le sanzioni appaiono inefficaci, non risolvono il problema ma lo pospongono solo, spesso aggravandolo. Accettare che la situazione evolva da sola vuol dire prepararsi alle conseguenze che questo può comportare (dalla totale repressione della rivolta siriana, all’Iran armato di bomba atomica…). Siamo disposti ad accettarlo? Se sì ci stiamo preparando a tale opzione? La terza alternativa invece è la guerra, prospettiva certo non allettante.

 

Voi quale scegliereste?

 

Lorenzo Nannetti

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Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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