Rafael Correa è uno degli esponenti del ‘socialismo del XXI secolo’ che ha avuto Hugo Chávez come capostipite. Al netto di alcuni nemici interni – soprattutto i gruppi finanziari e la stampa – e alcuni rischi di ‘eccessi’, l’Ecuador sta conoscendo un importante progresso economico e sociale.
Da Quito (Ecuador)
FINANZA CONTRO – L’Ecuador ha compiuto passi da gigante, dall’ascesa di Rafael Correa alla Presidenza della Repubblica nel 2007, riconosciuti dalla stessa opposizione. Il Paese si è liberato dal fardello del debito pubblico, grazie a un escamotage dello stesso Presidente, che dichiarò illegali i bonds di debito, accesi dal Governo precedente e avallati da FMI, minacciando la bancarotta dello Stato e provocandone così il crollo in Borsa, per poi ricomprarli nel 2009 a solo il 35% del loro valore di emissione.
Così facendo, Correa si è procurato però un nemico formidabile: le banche europee e statunitensi, e la finanza in genere. Un’inimicizia confermata a livello locale nel 2012, a causa della riforma fiscale, che prevede un sostanzioso contributo obbligatorio da parte delle banche al Bono de Desarrollo Humano, garantendo così un aiuto alle pensioni di cittadini a basso reddito e alle donne single con figli a carico. Oltre alla creazione di nuovi posti di lavoro. Causa la riforma del codice penale, licenziata a marzo, e l’introduzione dell’art. 146/1, che sancisce la responsabilità penale dei medici in caso di mala pratica professionale, Correa ha allungato la lista dei suoi avversari. In questo caso si tratta della classe medica, una delle più potenti, che già aveva subito un ridimensionamento con il servizio sanitario gratuito per i pazienti, riforma fortemente voluta dal Governo, insieme al potenziamento della scuola pubblica.
Il welfare, finanziato dal 70% dei proventi incassati dall’estrazione del petrolio, è il fiore all’occhiello del socialismo ecuadoriano. L’unico che sopravvive, in buona salute perfino, all’interno di una società non in conflitto come quella venezuelana, o in via di restaurazione, come la brasiliana.
L’OPPOSIZIONE DELLA STAMPA – È però la stampa l’avversario più agguerrito che Correa deve affrontare, soprattutto il potente gruppo editoriale che sta dietro i quotidiani El Universo e El Comercio, i quali hanno svolto un ruolo cruciale nella sconfitta alle elezioni amministrative di febbraio del suo partito, Alianza País, che ha perso l’Alcaldía (municipio) di Quito, capitale del Paese, di Guayaquil, la città più popolosa, e di Cuenca, patrimonio storico della Sierra, oltre all’arcipelago delle Galápagos.
Il capo di Stato è il nemico da abbattere per buona parte della stampa locale: difatti è ancora fresca la ferita della sentenza giudiziaria, che ha condannato il giornalista del blog Plan V, Fernando Villavicencio, vicino alle testate in questione, a un anno e mezzo di carcere e a una multa pecuniaria da capogiro, per calunnia aggravata nei suoi confronti. Condanna che i fratelli Pérez, azionisti di El Universo, incassarono per il medesimo motivo, nel 2011, godendo poi del condono da parte dello stesso Correa.
Tale sentenza si riferisce all’accusa di crimini contro l’umanità che ha accomunato i giornalisti contro il Presidente, in merito ai fatti del 30 settembre 2010: una giornata sanguinosa di scontri tra polizia ed esercito nella capitale, che ha sfiorato il colpo di Stato, lasciando sul terreno una decina di morti.
UN MODELLO CHE REGGE – Stampa, finanza e medici. Un’idra a tre teste, contro un uomo solo. E con gli Stati Uniti che soffiano sul fuoco, intuendo l’occasione storica di rimuovere l’ostacolo principale rimasto, dopo la morte di Chávez, il Venezuela impantanato nelle rivolte, e il collasso economico del castrismo cubano. A differenza del bolivarismo venezuelano e dell’obsoleta dittatura cubana, Correa ha saputo pragmaticamente coniugare la visione socialista dello Stato centrale con una forte imprenditoria privata, che, organizzata in cooperative, ha fatto del turismo la seconda fonte di reddito del Paese dopo il petrolio. Un modello di successo simile a quello adottato da Evo Morales in Bolivia. Ed è proprio allargando i benefici dello sviluppo economico a quelle parti sociali che ancora ne sono prive, quali gli afro-ecuadoriani della costa e le etnie indios delle Ande e dell’Amazzonia, che Correa potrebbe rintuzzare gli attacchi degli oppositori e salvare le sue riforme. Quello che dovrebbe invece evitare sono gli eccessi di personalismo, che lo espongono a continue accuse, mettendo in discussione una democrazia, quale in sostanza l’Ecuador ha dimostrato di essere finora. Ha tempo per farlo, fino al 2017, data di scadenza del suo terzo mandato. Preparando magari un successore all’altezza, per evitare il ripetersi di quello che sta accadendo in Venezuela.
Flavio Bacchetta