Da Mosca – Così lo scrittore croato Matvejevic descrisse quello Stato di diritto in cui, pur esistendo apparentemente meccanismi costituzionali ed istituzionali di tipo democratico, il vero potere è in mano a pochi, che ne fanno uso clientelare spartendolo tra i più influenti gruppi d’interesse economico e politico, allo scopo di mantenere un equilibrio di fondo nel sistema. Con le travagliate elezioni parlamentari del 4 dicembre, la Russia ha confermato di appartenere a questa categoria. Direttamente da Mosca, il resoconto della giornata e alcuni spunti di analisi
IL RESPONSO DELLE URNE – Per i prossimi cinque anni siederanno ai banchi della Duma i membri di quattro partiti: Russia Unita (ER) con 238 seggi su 450, Partito Comunista (KPRF) con 92 seggi, Russia Giusta con 64 seggi e Partito Liberal-Democratico (LDPR) con 56 seggi. Le altre formazioni, tra cui la social-liberale Mela (Yabloko), che pure è stata curiosamente preferita dai votanti negli Stati Uniti, non hanno superato la soglia di sbarramento del 5% e sono rimaste fuori.
I risultati non erano affatto scontati: ER, il partito attorno al quale orbita il (futuro) Presidente Putin (che però correrà da indipendente alle future elezioni presidenziali del 4 marzo) ha perso in un sol colpo 77 seggi, insieme alla maggioranza dei due terzi necessaria per emendare la Costituzione che, nel 2008, aveva permesso di prolungare il mandato presidenziale da 4 a 6 anni e quello dei deputati da 4 a 5 anni.
UNA GIORNATA LUNGHISSIMA – La giornata è stata tesa e interminabile. Nelle 21 ore trascorse dall’apertura dei seggi in Chukotka (a poche centinaia di km dall’Alaska) alla chiusura di quelli nell’exclave di Kaliningrad (confinante con la Polonia) è accaduto di tutto.
A Mosca, in tarda mattinata, il centro città è stato blindato e militarizzato, più di 50.000 poliziotti hanno serrato la Piazza Rossa e braccato ed arrestato alcuni oppositori che, riunitisi in gruppi nelle piazze antistanti a essa, Piazza del Trionfo e Piazza del Maneggio (sulla quale peraltro si affaccia la stessa Duma), denunciavano irregolarità e brogli.
Contemporaneamente, in rete, i principali siti di informazione libera ed antigovernativa tra cui Livejournal, la principale piattaforma di blog del paese, Radio Ecko, unica radio indipendente superstite, e Golos, ONG che aveva meticolosamente catalogato e sistematizzato migliaia di presunte irregolarità elettorali, erano stati resi inaccessibili con attacchi di denial of service.
Non solo, sin dai primi exit poll si sono propagate voci, alla fine del conteggio dei voti rivelatesi infondate, secondo le quali sarebbe stata in bilico la maggioranza assoluta di ER, che incredibilmente, in tal caso, avrebbe dovuto coalizzarsi od allearsi con alcune opposizioni per promulgare ogni singola legge.
Alla fine i risultati sono andati diversamente, e Putin è riuscito ad ottenere, una seppur risicata maggioranza assoluta. A questo proposito, sono illuminanti le ermetiche dichiarazioni di Garry Kasparov, ex campione di scacchi riciclatosi in nemico della politica:”In Russia, in tempo di elezioni, sono le regole ad essere imprevedibili ed i risultati ad essere fissi”. Nulla di più appropriato.

VECCHIO E NUOVO A BRACCETTO – La tendenza è bizzarra. Nonostante i russi (che sono il popolo più internauta d’Europa con 51 milioni di navigatori su 144 milioni di abitanti) riescano ad aggirare, mediante una rete che assorbe ogni voce ed informazione che non trova spazio nei media classici, censure e populismo di televisioni e radio generaliste controllate dai poteri forti, continuano a crescere i voti del KPRF, guidato da Ghennadi Zyuganov. Burocrate modello, egli è noto per essersi contraddistinto, quando era quadro del Ministero Sovietico della Propaganda, per aver criticato Glasnost e Perestroika e per aver appoggiato, nel 1991, il Putsch di Mosca, la svolta autoritaria interna al PCUS che accelerò il disgregamento dell’URSS.
E a votare i comunisti non sono solo gli anziani con pensioni non adeguate all’inflazione e gli abitanti delle città che punteggiano la ferrovia Bajkal-Amur o la costa dell’isola di Sakhalin dove nulla, davvero nulla è cambiato dagli anni ’80. Come infatti conferma il dato secondo cui, in occasione delle elezioni parlamentari del 2007, uno dei pochi seggi elettorali in cui il KPRF ebbe la maggioranza fu quello situato presso l’Università Statale di Mosca (la più prestigiosa istituzione accademica del paese), i comunisti sono popolarissimi tra studenti, intellettuali e scienziati, i quali vaneggiano il ruolo primario e rispettatissimo che cultura e scienza avevano, ora rimpiazzate dal denaro, nel vecchio sistema.
Evidentemente, mentre al russo medio, le cui principali preoccupazioni sono nutrirsi dignitosamente, cambiare la vecchia Lada e trascorrere più tempo possibile nella dacia di campagna, il partito di Putin ER, che garantisce un certo ordine di fondo, va più che bene, l’intellighentia non riesce, anche a distanza di decenni, a trascurare i suadenti e gloriosi richiami di un passato diverso, da alternativa, da superpotenza.
L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELLA MAGGIORANZA ASSOLUTA – Ma torniamo al voto ed alle sue implicazioni. Poco dopo la chiusura delle urne sono apparsi in pubblico per regalare delle lapidarie dichiarazioni il Presidente Medvedev ed il (passato e futuro) Presidente Putin.
Il primo, tra saluti e ringraziamenti quasi commossi, quasi a volersi congedare dai russi dopo una presidenza iniziata per caso e conclusasi nell’ombra, ha manifestato velata soddisfazione per i risultati, parlando di dimostrazione della democraticità del sistema. Il secondo, glaciale, ha provveduto a definire ottimale il risultato (pur non credendo in ciò che diceva).
La verità è che da quando, nello storico 24 settembre 2011, i due si sono scambiati arrogantemente le cariche, si è guastato l’ingranaggio del congegno che ha permesso a Vladimir Putin di tenere, nel consenso generale, le redini della politica russa per un decennio. È lo stesso Putin, ora, ad averlo capito.
Sul futuro c’è ora un immenso punto di domanda; i veri potenziali oppositori come l’ex sindaco di Mosca Yuri Luzkhov e gli oligarchi Mihail Prokhorov e Mihail Khodorkhovsky sono stati emarginati dalla politica statale poco dopo aver tentato di entrarvi, e sono rimaste solo le pittoresche opposizioni parlamentari, spazianti dal veterocomunismo al panslavismo.
Sembra perciò che Vladimir Putin diverrà il più longevo Presidente russo dopo Josif Stalin. Inizia ad essere chiaro però che sempre più persone sono desiderose di un forte cambiamento. Se questo verrà dall’alto o dal basso attualmente non è ancora dato saperlo; di fatto, il vento di novità ipotizzato in seguito agli exit poll sia rinviato a data da destinarsi.
Vittorio Maiorana redazione@ilcaffegeopolitico.net