Il triangolo del Sinai è oggi una fetta di terra contesa tra diversi gruppi terroristici, in grado di influenzare fortemente gli equilibri politici ed economici non solo dell’Egitto, ma dell’intero Levante: una regione che non riesce, al contrario, a mettere in sicurezza e stabilizzare la penisola. Lacerato da squilibri di ricchezza, assenza istituzionale, milizie jihadiste e traffici illegali, il Sinai sta conoscendo nell’ultimo periodo una forte escalation di violenza.
ASSETTO GEOPOLITICO – Punto di intersezione naturale fra Africa e Asia, il Sinai è una penisola di 60mila chilometri quadrati (tre volte la Puglia) storicamente strategica per l’Egitto, soprattutto in funzione di buon vicinato con Israele. Mentre il Sud della penisola (Governatorato del Sinai del Sud) è fiorito negli ultimi decenni grazie al turismo di massa e alla costruzione di diverse infrastrutture, la situazione nel Nord va peggiorando esponenzialmente a causa di una sempre maggiore marginalizzazione dei beduini rispetto alla vita politica, e alla proliferazione di traffici illeciti (droga, armi, flussi umani) che hanno arricchito i gruppi jihadisti. L’area con la maggiore densità di cellule terroristiche è il triangolo tracciato dalle città di Rafah (Striscia di Gaza), al-‘Arish e Shaykh Zuwayd (che si affacciano sul mar Mediterraneo). Anche qui il vuoto istituzionale ha creato le condizioni ideali per la fermentazione e la diffusione di gruppi di ideologia salafita-jihadista che hanno con il tempo guadagnato l’appoggio delle tribù beduine (fra le più importanti sicuramente quella dei Sawarka), radicalizzandone e reclutandone i membri. La commistione fra tribù e gruppi jihadisti ha contribuito a inasprire le tensioni tra le fazioni, elevando il codice tribale a unica fonte normativa dell’area. Con la presa del potere nella Striscia di Gaza da parte di Hamas (2007) e i tumulti interni esplosi nel 2011, il Sinai è diventato un safe haven (rifugio sicuro) per il terrorismo internazionale e si è assistito a una moltiplicazione delle cellule jihadiste: oggi le intelligence occidentali e locali (Egitto e Israele) contano la presenza di 24 gruppi terroristici.
Fig.1 – Un autobus brucia nel polo turistico di Taba, Sinai meridionale, in seguito a un attentato
ANSAR BAYT AL-MAQDIS – Jama’at Ansar al-Dawla al-Islamiyya fi Bayt al-Maqdis (Organizzazione di ausiliari dello Stato Islamico a Gerusalemme, da ora in poi ABM) è la maggiore delle organizzazioni terroristiche presenti nel Sinai, nonché quella che ha rivendicato la maggior parte degli attentati nella regione. La quasi totalità dei suoi membri è di origine locale, ma non mancano combattenti libici, afghani, algerini, sauditi e yemeniti, per un totale massimo di 2mila uomini. Durante le rivolte contro Mubarak nel 2011, molti carcerati sono riusciti a evadere e unirsi al gruppo. ABM sembra autofinanziarsi grazie al traffico di droga ed esseri umani, agendo anche da gruppo di allaccio verso i fronti del jihad siriano (in alcuni casi addestra i foreign fighter che si uniranno a cellule alleate). Localmente, il gruppo condivide alcune quote di cooperazione con fazioni minori quali Muhammad Jamal Network, Ajnad Misr, Jund al-Islam e Ansar al-Sharia Egypt, sebbene resti da verificare una reale alleanza fra le varie cellule. Non appare infatti possibile che ABM abbia oggi il potenziale per funzionare da hub terroristico. Cercando invece di inquadrare ABM in un più ampio contesto di jihadismo globale, si può affermare che il gruppo abbia relazioni con al-Qa’ida (AQ), i Fratelli Musulmani (FM) e lo Stato Islamico (ISIS). Secondo alcuni analisti, infatti, il gruppo sarebbe stato fondato da uomini provenienti dalla frangia più radicale di FM, e con la messa al bando dello stesso da parte di al-Sisi alcuni dei suoi membri si sono allacciati ad ABM. Il rapporto con AQ è invece meno chiaro: nonostante l’obiettivo di ABM (implementare la shari’a quale legge di Stato) e l’ideologia portante siano gli stessi del network di al-Zawahiri – e in passato i rapporti fra i due gruppi erano più fitti, – oggi è più ragionevole pensare che ABM abbia optato per una alleanza con ISIS. Lo dimostrerebbero le parole di un leader di ABM, Abu Usama al-Masri, che ha apertamente affermato di supportare lo Stato Islamico, oltre che il video dell’attentato perpetrato il 28 agosto 2014 da ABM, in cui erano riprodotte le bandiere, la metodologia e la dialettica di ISIS. Un portavoce dello Stato Islamico avrebbe inoltre chiesto ai fratelli egiziani di non unirsi subito a ISIS, ma di aiutare i compagni di ABM.
Fig.2 – Convoglio di militanti di Ansar Bayt al-Maqdis rende gli onori ad alcuni combattenti caduti in azione
ALTRI GRUPPI – Anche se apparentemente non più legato da una alleanza con ABM, AQ è presente nel Sinai con alcuni gruppi direttamente derivati o collaboranti. Fra i primi va citato AQSP (al-Qa’ida in Sinai Peninsula), un gruppo annunciato nel 2011 e guidato dal veterano del jihad afghano Ramzi Mawafi, insieme alle minime presenze di AQIM e AQAP (Al-Qa’ida in Islamic Maghreb il primo, in the Arabian Peninsula il secondo). Tuttavia AQ trova profondità operativa e influenza nel Sinai grazie ad altri due gruppi ben più radicati nel contesto egiziano, quali Egyptian Islamic Jihad e al-Jama’a al-Islamiyya. Il primo, attivo sin dagli anni Settanta, è stato a lungo uno dei maggiori nomi del jihadismo globale, con affiliati in gran parte del mondo islamico, per poi unirsi ad al-Qa’ida dopo il 2000, mentre il secondo è nato a inizio anni Ottanta, si è unito ad AQ nel 2006 e ha solo recentemente deciso di adottare pratiche non violente, oltre che piegarsi a meccaniche democratiche (con la fondazione del partito Building and Development) per perseguire lo scopo di uno Stato regolato dalla shari’a. I due gruppi avrebbero compartecipato all’assassinio del presidente Anwar Sadat nel 1981.
LA RILEVANZA DELLA STRISCIA DI GAZA – Un ulteriore fattore che ha contribuito all’espansione e al rafforzamento delle cellule jihadiste in Sinai è il passaggio di informazioni, uomini e materiali da una sponda all’altra del confine con la Striscia di Gaza. Sembra che diversi uomini di Hamas utilizzino la protezione di alcuni gruppi sinaitici come base operativa per dirigere attacchi a Israele. Ma lo stesso Hamas vede minacciata la sua egemonia da altri gruppi islamisti palestinesi che, banditi nella Striscia, si riorganizzano in Sinai: fra questi il Mujahideen Shura Council, Jaish al-Islam e al-Tawhid wa al-Jihad. La transnazionalità di questi movimenti rende molto più difficile la loro estirpazione, potendo essi rifugiarsi da una parte all’altra del confine. Infatti, nonostante la chiusura delle frontiere, solo l’80% dei tunnel è stato smantellato: è proprio la maggiore conoscenza del territorio l’elemento alla base della forza di beduini e cellule locali.
(Continua – Leggi qui la seconda parte)
Marco Arnaboldi
[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più
Se si desidera conoscere più approfonditamente il jihadismo nell’area del Sinai, si consiglia la lettura del capitolo di Giuseppe Dentice del volume ISPI New (and old) Patterns of Jihadism: al-Qa’ida, the Islamic State and Beyond.
Per una veloce consultazione circa il funzionamento delle alleanze fra gruppi terroristici, si rimanda a questo articolo di Jihadistan.[/box]