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Geopolitica del Sinai (II): attori interni e policy a breve termine

La seconda parte della nostra analisi è focalizzata sulle politiche attivate da al-Sisi per affrontare la spinosa questione della sicurezza nel Sinai e più in generale in Egitto. Le misure prese dal rais sono imponenti e il segnale lanciato è di pieno accentramento del potere: il Presidente, per ora, non sembra temere scelte impopolari. Anche partiti, associazioni e personalità rilevanti si sono espresse in merito alla materia, e ne abbiamo riportato le posizioni più rimarchevoli.

(Rileggi qui la prima parte)

LE MOSSE DI AL-SISI – In risposta ai violenti attacchi che si sono registrati nell’ultimo periodo nel Governatorato del Sinai del Nord, il presidente egiziano ‘Abd el-Fattah al-Sisi ha annunciato imponenti misure logistiche e di sicurezza per far fronte a quella che è al momento la principale minaccia alla sicurezza nazionale: Ansar Bayt al-Maqdis e i suoi affiliati. Si procederà nei prossimi giorni alla creazione di una buffer zone al confine con la Striscia di Gaza e all’evacuazione totale della popolazione residente nell’area, cui verranno corrisposti, secondo la TV di Stato egiziana, significativi compensi economici. Elemento, questo, che rende chiaro come il Presidente sia conscio della totale disaffezione e dello scontento degli abitanti della penisola. I beduini locali sono infatti restii a lasciare le loro terre ed eventuali defezioni da parte di tribù che cooperano con l’esercito rispetto ai comandi di non-cooperazione lanciati da Ansar Bayt al-Maqdis saranno punite da quest’ultimo con esecuzioni sommarie. Il rais, facendo riferimento a una «lotta contro i miliziani per la sopravvivenza dell’Egitto», ha chiesto ai locali di non interferire in alcun modo con le operazioni dell’esercito e ha posto il coprifuoco dalle ore 17.00 alle ore 07.00. Al-Sisi ha inoltre decretato che chiunque compirà azioni di terrorismo o colpirà le infrastrutture critiche del Paese verrà giudicato in sede di corte marziale. L’esercito sta provvedendo a scovare e chiudere i tunnel di collegamento con la Striscia di Gaza (sarebbero circa 300 quelli ancora attivi), anche a causa delle molte infiltrazioni dall’estero nella scena jihadista egiziana. In questo senso, però, la frontiera più interessata da flussi umani è quella con la Libia: è anche alla luce di questo che va letto l’appoggio egiziano al Governo di Tobruk, al quale è stata inviata una unità speciale di anti-terrorismo. In particolare, il gruppo Ansar al-Sharia Libia è quello che mostra più ingerenza nel panorama jihadista del Paese confinante. A livello interno, invece, al-Sisi sta mostrando meno lucidità e capacità analitiche nell’accusare in maniera sistematica i Fratelli Musulmani di essere i fautori e la causa principale delle violenze nel Paese. Il leader della Fratellanza ‘Ali Fatah al-Bab incontrerà nei prossimi giorni il rais per avviare un dialogo volto ad avvicinare le parti e ad affrontare la questione di influenza, ideologica e materiale, degli Ikhwan nell’attuale situazione. 

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Torre di osservazione egiziana nei pressi del valico di Rafah, il punto di passaggio tra l’Egitto e il territorio palestinese di Gaza 

LE POSIZIONI DEI PARTITI – La brutalità e la regolarità con cui ultimamente si verificano attacchi nel Nord del Sinai ha scosso tutto l’apparato politico egiziano. Il partito laico liberal-democratico Free Egyptians si è detto pronto a sostenere al-Sisi e ad appoggiare qualsiasi manovra riguardante l’uso dell’esercito.
Il partito di centro-sinistra Dustur (Costituzione) è ugualmente a favore dell’utilizzo delle Forze Armate, ma chiede maggiore trasparenza e comunicazione relativamente alle loro operazioni. In particolare, Dustur ha avviato un’indagine circa l’inefficienza di alcuni ufficiali nella lotta al terrorismo. ‘Amr Moussa, ex Segretario generale della Lega araba, ha parlato della necessità di un’azione coordinata fra tutti gli Stati arabi per eradicare la minaccia jihadista nel Paese.
Anche il partito salafita Nour (Luce) ha condannato i responsabili degli attacchi e ha chiesto che si reagisca in modo esemplare per disincentivarne di futuri. È interessante notare come tale partito, costola politica del movimento al-Da’wa al-Salafiyya (Invito al salafismo), componga pressoché un unicum nel panorama islamista mediorientale: pur ponendosi come obiettivo la totale islamizzazione del Paese tramite l’implementazione della shari’a quale legge di Stato, ha accettato la via democratica come mezzo di  raggiungimento del potere.
Il partito Alleanza socialista popolare ha chiesto ai suoi elettori del Sinai di portare pazienza e accettare l’ingerenza dell’esercito, poiché la rimozione del terrorismo è un obiettivo in linea con l’agenda rivoluzionaria del movimento.
L’antico partito di centro-destra Wafd (Delegazione) è stato il primo a suggerire  un piano di sgombero ed evacuazione dell’area, chiedendo alla popolazione locale di lasciare le proprie case prima ancora dell’intervento dell’esercito.
Il partito Freedom Egypt si è limitato a esporre le proprie condoglianze non solo ai parenti delle vittime, ma all’intera popolazione egiziana, mentre il suo leader ‘Amr Hamzawy ha appoggiato pubblicamente l’esercito.
Il movimento Associazione nazionale per il cambiamento (paragonabile a una lista civica in cui sono confluiti diversi esperti d’area, politici e figure di spicco) ha chiesto una totale revisione dei piani di sicurezza egiziani. Il suo portavoce Ahmed Taha el-Nuqr ha condannato i “takfiri” e richiesto che l’Egitto si doti al più presto di dispositivi e armi moderne, oltre che di un personale più addestrato negli apparati di counter-terrorism.
L’NCHR (l’Agenzia governativa egiziana per i diritti umani) e l’ETUF (la Federazione egiziana per il commercio) hanno rincarato la dose, chiedendo maggiore sicurezza anche come base per politiche di sviluppo future. L’ETUF inoltre ha accusato diversi membri dei Fratelli Musulmani di danneggiare e distruggere alcune infrastrutture e servizi pubblici, chiedendone una separazione dalla vita pubblica del Paese.
I Fratelli Musulmani a loro volta hanno condannato gli attacchi in Sinai, sostenendo tuttavia che l’esercito non ha alcun diritto di interferire con la vita privata degli abitanti della zona. Secondo loro la creazione di una buffer zone andrebbe solo a favore del vicino Israele, mentre l’unica reale operazione attuabile al fine di aiutare i locali sarebbe un piano di sviluppo industriale, proprio come, sottolineano, era nell’agenda politica di Morsi.

Marco Arnaboldi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” ]Un chicco in più

Per approfondire le dinamiche di convivenza fra le tribù sinaitiche e le difficoltà che l’Egitto incontra nell’istituzionalizzazione dell’area è consigliata la lettura di The Bedouin Tribes of the Sinai, libro digitale gratuito di Larry Roeder.[/box]

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Marco Arnaboldi
Marco Arnaboldihttp://www.jihadistanblog.blogspot.com

Ventiquattro anni, saronnese, mi sono laureato in Relazioni Internazionali (studiando anche la lingua araba) presso l’Università Cattolica di Milano con una tesi sui combattenti europei impegnati in Siria. Sono stato Visiting Student a Siviglia e a Gerusalemme, attualmente frequento una specialistica in Politiche Internazionali. Ho lavorato come analista presso un’azienda di security consultancy, oggi collaboro con alcuni istituti di ricerca e diverse testate italiane. I miei temi di analisi sono il Medio Oriente, l’Islam politico, il jihadismo e l’home-grown terrorism. Da ultimo, curo un sito sul Jihadismo targato IT (www.jihadistanblog.blogspot.com).

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